A 31 anni e mezzo, Máximo González ha esordito agli Australian Open e ora può vantarsi di aver giocato in tutti e quattro gli Slam. Un obiettivo che sembrava ormai irraggiungibile due anni fa
Tandíl, 123.000 abitanti, è una fabbrica di tennis. O meglio, l’Accademia del club Indipendiente è una fabbrica di tennis. Negli ultimi quindici anni il club ha prodotto quattro top-100 che hanno seguito le orme di Mariano Zabaleta, Guillermo Pérez Roldán e Patricia Tarabini: sono il campione degli US Open Juan Martín Del Potro, Juan “Pico” Mónaco, Diego Junqueira e Máximo “Machi” González.
Machi ha esordito oggi, all’età di 31 anni, agli Australian Open, perdendo in cinque set contro Lukas Lacko. In passato González ha sempre preferito iscriversi a qualche challenger nel mese di gennaio: l’anno scorso, di questi tempi, l’argentino giocava al primo turno di Bucamaranga contro Paolo Lorenzi. Due anni prima, invece, il tennista argentino era fermo a causa di un infortunio ai legamenti del ginocchio, lo stesso infortunio che lo aveva fermato nel 2009 quando stava giocando il miglior tennis della carriera. Con la figurina di Melbourne Park, Machi ha ora completato la collezione degli Slam. C’è ovviamente il Roland Garros, il Major che lo ha battezzato a questo livello (nel 2008), il Major dove ha vinto più partite e dove nel 2009 si spinse fino al terzo turno battendo Mardy Fish e Andreas Seppi prima di arrendersi a Tommy Robredo in quattro set. C’è Wimbledon, dove riuscì a strappare un set a Lleyton Hewitt nel 2010. E ci sono gli US Open, lo Slam della rinascita avvenuta poco più di un anno fa, quando passò le qualificazioni da numero 247 del mondo e si permise di battere Jerzy Janowicz, testa di serie numero quattordici. La sua prima vittoria nel circuito maggiore dopo oltre due anni. Non c’erano gli Australian Open, fino ad oggi. Ma Machi non è un giocatore che va di fretta. Sembrava destinato a rinunciare ai piani alti della classifica, dopo essere precipitosamente sceso dal numero 58 conquistato nel 2009. Cinque anni dopo, il tandilense è riuscito a completare il suo Grande Slam. Perché per lui partecipare a un Major equivale a vincerlo: negli Slam, dice, “ti senti una stella. È un sogno: condividi gli spogliatoi e i ristoranti con Federer e Nadal, ti ci puoi allenare, li incroci di continuo“.
Forse perché non era abituato ad andare di corsa, nel momento più alto della sua carriera, dopo aver giocato il terzo turno al Roland Garros 2009 e la posizione numero 58 del ranking, González deve fermarsi. Durante una partita a calcio con i suoi amici di Tandíl si rompe i legamenti crociati e deve rinunciare alla preparazione per l’anno nuovo. Ricostruiti i legamenti, Machi deve ricostruire (o quasi) il castello faticosamente eretto fino ad allora. Riparte a giugno da numero 188 del mondo e per togliere la ruggine ci mette qualche mese. Poi vince due challenger di fila battendo Pablo Cuevas – un altro tennista che si è dovuto ricostruire – in entrambi i tornei. A gennaio 2011 non ha ancora la classifica per iscriversi agli Australian Open ma all’ATP 250 di Santiago batte l’avversario che più odia affrontare, l’amico Juan Mónaco, con cui ha raggiunto la semifinale nel doppio maschile degli US Open 2008. Due mesi dopo, nel challenger di Santiago, vince il torneo e ritorna tra i primi cento del mondo. Il Master 1000 di Montecarlo non fa che ribadire che sì, Machi è davvero tornato: passa le qualificazioni, vince al primo turno con Hanescu e poi dà vita al match più combattuto del torneo. Perde 6-7 (6) 7-5 7-6 (10) con la testa di serie numero 9, Nicolás Almagro, che deve annullare quattro match point in una partita equilibratissima durata oltre tre ore. Sembra una piccola delusione che si fa presto a digerire e invece è la prima di una serie di dodici sconfitte consecutive. E allora sono ancora i challenger a ridare fiducia a Máximo, che dopo cinque mesi torna a vincere una partita ma non riesce a chiudere l’anno nei primi cento. Passata la soglia dei trent’anni, la sua carriera sembra aver raggiunto e sorpassato lo zenit.
Il 2012 riparte ancora da un challenger, Bucamaranga, anche perché González non ha la classifica per iscriversi all’unico Slam che gli manca. L’unica volta che ha provato a passare le qualificazioni, nel 2008, ha fallito miseramente e l’argentino non ha certo bisogno di altre delusioni. Ma il 2012 regala poche soddisfazioni: Machi fatica a vincere due partita di fila e a fine anno si ritrova fuori dai primi 200. Il suo corpo è esausto e chiede un altro stop. Si rompono di nuovo i legamenti e stavolta sembra che la fine della carriera sia davvero vicina. Pensa al ritiro ma prova comunque a rientrare in febbraio. Non va come sperava ma del resto è normale: le cose fatte di fretta non fanno per lui. La svolta arriva nel torneo che non ti aspetti, sulla superficie che non ti aspetti: il cemento di New York. Máximo è al numero 247 del mondo e ha un coach, Leonardo Olguín, con cui ha stipulato un patto per risparmiare qualche soldo. Olguín viaggerà con lui solo se riesce a qualificarsi per il tabellone principale del torneo. Di certo non si aspetta che Machi riesca a passare tre turni in un torneo così ostico per lui. Viene sorteggiato con Matteo Viola, testa di serie numero 23 e parecchio più avanti di lui in classifica. González perde il primo set ma poi inanella una serie di sei set consecutivi. Batte Viola, Reid e Weintraub e si presenta alla prima partita dell’anno nel tabellone principale di un torneo del circuito maggiore. La strada è sbarrata da Jerzy Janowicz, che due mesi prima si giocava una semifinale a Wimbledon. González però prolunga la serie di set vinti e non ne lascia nemmeno uno al polacco, che naufraga in un vortice di errori non forzati e doppi falli. È il segno che serve all’argentino che la rinascita è possibile.
E così il 2014 è l’anno del secondo ritorno di Máximo González da Tandíl. Grazie all’accogliente mondo dei challenger (vince Santos, Blois e si qualifica alle ATP Challenger Finals di Saõ Paulo), certo, ma soprattutto grazie alla prima semifinale in un torneo ATP. A Kitzbühel, da numero 104, del mondo, passa le qualificazioni, batte due teste di serie e si arrende solo a quell’uragano di nome David Goffin, lanciato verso il suo primo titolo a livello ATP. Torna tra i primi cento del mondo ancora una volta e agli US Open, dodici mesi dopo l’incredibile exploit, porta al quinto set Sam Querrey. Questa volta Machi non ha mancato l’appuntamento con l’unico Slam che mancava alla collezione. Lui, che ha giocato sull’Arthur Ashe nel 2008 contro Federer (“Tutti mi dicevano che ero stato sfortunato ma non ero d’accordo. Quanti possono dire di aver giocato in sessione serale sull’Arthur Ashe contro il miglior giocatore della storia?”), si è dovuto accontentare del campo numero 11, dove non è riuscito a superare Lukas Lacko. Ma González non ha nessuna fretta: per vincere una partita agli Australian Open c’è ancora tempo.