Scala A., (2011) I silenzi di Federer, tr. Giarda A., O barra O edizioni, 2012
Questa volta per provare a risolvere l’enigma estetico rappresentato da gesti di Federer ci prova addirittura un filosofo francese. In un libro sorprendentemente asciutto André Scala ci mette a disposizione gli strumenti della filosofia per provare a dire quello che Federer non ci dice né può dire. “Il mio compito è giocare bene, sta a voi trovare le parole”. “I silenzi di Federer” del titolo stanno tutti in questo piccolo enigma. Le parole rimangono, i gesti s’immortalano nell’istante del colpo, per essere subito travolti dal vortice del tempo. E i gesti di Federer alludono a un tennis che non c’è già più nonostante trasudino una contemporaneità miracolosa.
“Si osservi in Federer il portamento della testa: il capo è diritto (…). La testa deve essere indipendente, fungere da bilanciere per l’equilibrio del movimento, restare inespressiva, ma sciolta. (…) L’occhio che guarda la palla, solitamente verso il basso, non coinvolge la testa. Come per gli attori dei film di Robert Bresson, il movimento degli occhi è indipendente da quello della testa”.
“Siamo nell’epoca delle rifrazioni aberranti, improbabili, dovute alle curvature dei lift, alla rotazione disarticolata dei polsi. Fino a quando la racchetta era una superficie di rifrazione, la palla poteva simboleggiare la luce, materializzare un raggio, smaterializzarsi proprio come aveva osservato Cartesio. Ma la palla non è più, salvo per Federer, quel raggio di luce che si rifrange da un lato all’altro della rete, essa diventa un proiettile che ciascuno, al proprio turno, scaglia mirando a una zona mobile. Zona, una delle parolacce del tennis contemporaneo. Così il tennis rischia di (…) assomigliare a quei duelli di “ridicoli schermitori che hanno un colpo preparatissimo e lo eseguono senza curarsi dei movimenti dell’avversario”. (p. 74)
Il momento di passaggio tra le due epoche è per il filosofo il 1984, quando McEnroe sbagliò a Parigi una volée impossibile da sbagliare (per lui) e, invece di salire nel gradino dell’immortalità, consegnò a Lendl il testimone. Il passaggio è di quelli epocali. Da quella volée sbagliata il gesto meccanico si sostituisce a quello analogico e il tennis non sarà più uguale. Federer non ripristina il prima, ne fa una sintesi miracolosa e indicibile.
Ma è sbagliato ridurre il libro a questa lettura. Nel libro c’è molto di più ma anche molto di meno. Le spiegazioni non arrivano alla telepatica empatia di Wallace[1] e il meglio è nelle definizioni, alcune notevoli: “Nel tennis non si può privare l’avversario della palla come nel calcio o nel rugby. La palla può essere ricevuta carica di tutte le intenzioni dell’avversario (…) è lo spirito dell’avversario che diviene velocità”. “La palla di Nadal è la materia nera che di rado Federer restituisce alla luce. Nadal considererà di essere in generale meno forte di Federer (…) sono meno forte ma alla fine lo batto quasi sempre (…) io non penso di essere il migliore, penso alla vittoria, è tutto”.
“Se Federer non ha un coach ha un demone (…). Sembra posseduto da una preoccupazione cosmica, l’avversario è portato a pensare che stia meditando su qualcosa di ben più importante di quello che sta avvenendo in campo. Federer dà costantemente l’impressione di guardare oltre le tribune” in pratica “Federer è della stessa stirpe di Sergej Bubka: un preparatore fisico sì, un coach, no” perché “un sapere riferito è sempre un sapere inferiore” quello che conta è essere lì. Da fuori vedi meglio solo l’avversario non certo il tennis né quella “solitudine circolare” che ci ostiniamo a chiamare pallina.
[1] https://www.ubitennis.com/blog/2014/11/24/wallace-federer-sampras-tennis-come-esperienza-religiosa/. Per una lettura allucinata e psicosensoriale del fenomeno rappresentato dal tennista svizzero vedi https://www.ubitennis.com/blog/2015/05/11/federer-freud-cronaca-di-una-malattia/
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