dall’inviato a Londra
La splendida vittoria contro Kyle Edmund non è la prima nel tour per Denis Shapovalov, l’adolescente dalla carnagione lattea che attende sul balconcino di mattoni rossi affacciato sul centrale del Queen’s Club. La scorsa estate sconfisse un Kyrgios pigro e irritabile nell’abbraccio della Rogers Cup, il torneo di casa. Con quel risultato sorprese perfino i più ottimisti, dei quali però non faceva affatto parte: “Sapevo che probabilmente avrei perso, sono entrato in campo per godermela”, ricorda. Ne sono cambiate di cose, da quel giorno. Ed è per una in particolare che il successo di primo turno in questi Aegon Championships è il più importante della sua carriera finora.
Il 5 febbraio scorso, nella TD Place Arena di Ottawa piena per il tie di Coppa Davis contro la Gran Bretagna, Shapovalov reagì a un proprio errore di rovescio scagliando la pallina a tutta forza fuori dal campo, come spesso fanno altri ben più adulti dei suoi diciotto anni (allora neppure compiuti). Nella più esemplare delle “possibilità su un milione”, quella finì dritta nell’occhio del giudice di sedia Arnaud Gabas. Proprio Edmund, anche allora dall’altro lato della rete, guadagnò insieme al suo team nazionale una vittoria per squalifica. Per Shapovalov invece fu l’ultimo match con una vera e propria copertura televisiva, almeno fino all’altro ieri.
“Non sapevo che pubblico avrei trovato qui” spiega parlando della sfida appena vinta, “non avevo idea di come si sarebbero comportati con me. Ero molto preoccupato, ad essere sincero. Pensavo soltanto: non fare nulla di stupido stavolta, ci sono così tante telecamere puntate su di te.” E stavolta il diciottenne canadese è riuscito a non fare sciocchezze. Anzi, ha trovato il prima possibile ciò di cui aveva assoluto bisogno: la vittoria necessaria a evitare, come dice, di essere ricordato soltanto come “il ragazzino che accecò l’arbitro con una pallata”. Anche perché Shapovalov non è certo quello, in realtà, almeno non più. “Penso di essere davvero maturato molto da quell’incidente” confessa, “ora so cosa può accadere a qualcuno che si lascia andare all’ira anche per mezzo secondo.”
Il grande lavoro mentale svolto con il coach Martin Laurendeau, che per combinazione era ed è proprio il capitano di quel team di Davis, lo ha aiutato sia sul campo che fuori: “Penso abbia migliorato il mio gioco, questo cercare di rimanere mentalmente concentrato” spiega. “Quando le cose non vanno nella mia direzione, mi impegno per rifocalizzarmi e continuare a giocare l’incontro. Devi passare oltre, in un certo senso quasi riderci su e godertela.” Ricorda molto “control what you can control”, il mantra che Brad Gilbert trasmise ad Andre Agassi – un altro che a inizio carriera si ritrovò suo malgrado con la fama di ribelle irrispettoso appiccicata addosso.
Shapovalov prosegue nella sua spiegazione, con la calma di chi ha superato un momento complesso e non ha più paura di parlarne: “Anche fuori dal campo l’episodio mi ha aiutato molto a maturare come persona, perché sono passato dall’essere un adolescente che gioca la sua prima Coppa Davis a dover davvero diventare un adulto e gestire queste situazioni, queste persone che parlano di me in modo non troppo gentile.” Non esagera, visto che un quotidiano nazionale lo definì prontamente totally boneheaded moronic, un completo testa di legno deficiente, e non fu neppure il peggiore degli epiteti.
Eppure non tutti furono contro di lui, anzi il fattaccio lo aiutò a capire su chi poteva contare: famiglia, amici, i fan che erano rimasti dalla sua parte… e Gabas, l’accecato. “Lui avrebbe potuto prenderla malissimo, essere davvero cattivo a riguardo. Invece Arnaud è una delle migliori persone che io abbia incontrato. Non una parola negativa contro di me, neppure un attimo dopo averlo colpito. Già nello spogliatoio scherzava con me, diceva: magari adesso piacerò di più alle ragazze.” I due sono poi rimasti in contatto, continuando a mandarsi messaggi e diventando addirittura amici.
Avere un rapporto stretto con le persone a cui tiene, del resto, è qualcosa che a Denis sta a molto a cuore. Lo dimostrano i sorrisi e le chiacchiere che hanno accompagnato i primi allenamenti al Queen’s, durante i quali palleggiava con il coetaneo Frances Tiafoe commentando vicende comuni e scherzava con Reilly Opelka prima e dopo il match. “Ti fai un sacco di amici nel tour. Insomma, vedi questi ragazzi tutte le settimane, quindi o ci vai d’accordo o non ci vai d’accordo. E il modo più facile di vivere è ovviamente andarci d’accordo” dice sorridendo sotto i baffi biondissimi, una peluria quasi invisibile. “Sono gran bravi ragazzi, andiamo spesso a cena insieme, usciamo.” Ma c’è un ma: “La cosa difficile è che quando sei nei tornei juniores li vedi sempre, poi all’improvviso iniziate ad avere programmazioni differenti e finisce che non li vedi per un bel pezzo.”
Eh già: c’è una bella differenza tra essere i migliori under-18, quelli che ogni settimana arrivano tutti insieme in fondo a un torneo, e dover seguire l’entry list che ti concede di giocare le qualificazioni, o il torneo che ti regala una wild card. “Però è ancora più bello quando riesci a ritrovarti” dice raggiante. Attende che si aggiunga al gruppetto anche Felix Auger-Aliassime, un anno e mezzo in meno ma un bel pezzo di strada fatta insieme. “Ha vinto un Challenger poco fa! Gli ho mandato subito le congratulazioni, è davvero fantastico. Avevo il record di canadese più giovane ad averne vinto uno, e lui me lo ha già portato via. Quando vinsi il mio Challenger dissi: Mi godrò il record finché Felix non me lo strapperà.”
E siccome si parla di giovani, è d’obbligo la domanda sulle Next Gen Finals. Shapovalov non sembra essere molto ferrato sulle nuove regole però, perché non aveva la più pallida idea della novità riguardante gli spettatori, i quali potranno camminare liberamente sugli spalti durante il gioco. Un attimo di genuina sorpresa, una risata e poi trova il lato positivo anche qui: “Potrebbe finire come il basket, in cui sei autorizzato a distrarre i giocatori. Penso che più che altro sia una questione mentale: sai che la gente non dovrebbe fare una cosa, quindi ti distrae di più quando la fa. Ma se fa parte delle regole, devi semplicemente conviverci.”
Dribblata più volte una enorme ape, che sembra essersi presa una cotta per lui, Shapovalov torna sul discorso della crescita personale. Il 2017 è il suo anno della maturità anche sotto il profilo strettamente tennistico, del resto, perché per la prima volta la sua programmazione comprende principalmente Challenger e qualificazioni di tornei ATP. Ma non ci sarà il rischio che metta troppe aspettative su se stesso? “Nooo. Una volta che hai finito con il circuito junior ti rendi conto che ok, era una bella parte della tua vita, ma non ha nulla… non ha molto a che fare con quello professionistico. Magari può aiutarti ad ottenere wild card e cose del genere, la gente inizia a conoscerti, ma ad un certo punto dovrai ricominciare tutto da capo. Quello dei professionisti è un gioco completamente diverso, completamente nuovo, un nuovo inizio nella tua vita.”
“Ci sono un sacco di giocatori che hanno fatto incredibilmente bene nei juniors e non altrettanto nei pro” spiega sicuro, “e viceversa giocatori che non hanno giocato molti tornei junior e all’improvviso sono diventati professionisti incredibilmente forti. Con i juniors è sempre un po’ una trappola, non sai mai. Ti dicono che hai talento e che puoi giocare bene su alcune superfici ma non puoi davvero saperlo.” Insomma, non sembra proprio esserci bisogno di metterlo in guardia: il ragazzo sa a cosa va incontro, e non si abbatterà se le cose non andranno subito per il meglio. “Ho soltanto diciotto anni, i miei risultati saranno un gran saliscendi nella mia carriera… Non sarò devastato” ridacchia, sottolineando la parola come se imitasse un giornalista.
Il sole continua a picchiare sui campi, così la squadra di giardinieri inizia ad annaffiarli col tubo. Denis ci butta uno sguardo. Qualcosa sull’erba inglese deve pur saperla, del resto, visto che è campione in carica del torneo “boys” di Wimbledon. E dire che l’amore tra Shapovalov e i prati nasce davvero per caso: “Non ci sono campi in erba in Canada. Forse ce n’è uno in un club a Toronto, ma non ci ho mai messo piede. E la prima volta andai a giocare le qualificazioni di Wimbledon perché avevo perso un match in un Futures!” Come, prego? “All’epoca non avevo punti ATP, se avessi vinto non sarei riuscito ad andare a Wimbledon. I miei genitori stavano aspettando, pronti a comprare i biglietti. Nel terzo set mi feci prendere dalla tensione e persi, ma non me la presi troppo. Fu interessante per me andare a giocare sull’erba per la prima volta.”
Dire che l’approccio alla superficie verde “è stato molto naturale” – come quello al rovescio a una mano, che da bimbo giocava istintivamente – è minimizzare. “Ebbi un giorno di preparazione in totale” rammenta. “Del resto sono giusto quelle due settimane nei juniors, per l’erba, Roehampton e Wimbledon. Poi basta, non ci metti più piede.” Finché non arrivi nel circuito maggiore, almeno, dove sull’erba si gioca per un mesetto abbondante. “Però ogni anno che torno sull’erba sono dubbioso: giocherò allo stesso modo, avrò le stesse sensazioni in campo?” Si ferma un attimo, poi si ricorda che ha appena vinto: “Ho giocato bene almeno quanto l’anno scorso, forse anche meglio. Sì, penso proprio che sia una superficie sulla quale mi diverto.”
Shapovalov si sente pronto per le qualificazioni di Wimbledon, che si giocano proprio a Roehampton nella settimana che segue il torneo del Queen’s. “Penso che le giocherò” dice sovrappensiero e immediatamente si corregge: “Ma certo che le giocherò! Sarà bello, spero di poter tornare sui campi dello scorso anno, perché le qualificazioni si giocano a Roehampton. Ma sarà incredibile tornare lì ed essere sui campi di quel torneo di nuovo. L’anno scorso li ho amati, e sarà una splendida sensazione tornare e avere tutte queste persone che mi guardano giocare Wimbledon per la prima volta.” La prima volta tra i grandi, intende. Perché il ragazzo che è dovuto crescere davanti al suo errore si sente ormai proiettato tra loro.