dall’inviato a Londra
Battere un top 10 ATP non è una cosa che capita tutti i giorni se sei uno di loro, figuriamoci se sei un ragazzo che non giocava due partite di fila dall’ottobre di due anni prima, quando Valencia aveva ancora un torneo. La soddisfazione di Thanasi Kokkinakis è quella di chi ha tenuto testa alla sfortuna e ora si prende il premio che merita, quello che aveva potuto soltanto guardare in mano ad altri per mesi e mesi di inattività forzata: una grande vittoria, sofferta come tutto il resto.
“In allenamento andava tutto bene, poi sono sceso in campo ed ero nervoso come non mai. Il primo paio di dritti è finito sulla recinzione a fondo campo. Ho pensato: cacchio, andiamo di nuovo male”. In effetti Raonic ha avuto una marea di palle break nell’incontro, anche se poi non è riuscito a convertirne nessuna. Allo stesso tempo invece, sembrava impossibile andare oltre il 30 nei turni di servizio del canadese. A chi gli chiede se non gli sia mai venuto in mente di cambiare strategia, Kokkinakis svela cosa gli è passato per la testa: “Stavo già cercando di fare cose differenti, soltanto che non funzionavano” ha ammesso, scherzandoci su. “Sembravo un cretino in risposta, saltavo da una parte all’altra nella speranza che non mettesse in campo la prima. Per fortuna che almeno nei tie-break ha funzionato. Il servizio mi ha aiutato e ho vinto i punti importanti quando serviva”.
La distanza tra esercizio e gara ufficiale è il leitmotiv di tutta la conferenza. Sui campi di allenamento, ripete Kokkinakis, andava tutto bene da un bel po’. Lo stesso Raonic confermerà poi, dicendo anzi di essersi stupito nelle ultime settimane dei risultati non eccellenti dell’australiano, con il quale aveva palleggiato a Istanbul. “In allenamento avevo mostrato il mio livello. Ma io voglio vincere. L’allenamento fa schifo. Vincere un incontro, quello sì che significa davvero qualcosa“. A dispetto di queste ultime frasi, Thanasi sembra meno pigro e distratto del suo amicone Nick Kyrgios. La causa del suo fastidio verso le sessioni di palleggio e palestra va ricercata soprattutto nel non aver potuto fare altro per lunghi mesi. “Passare tempo in palestra con i nastri elastici o facendo riabilitazione è la cosa peggiore che ci sia. Non lo so, cercavo di rimanere positivo e ogni settimana c’era qualche barlume di speranza… Ma poi ogni volta che sembravo vicino a poter tornare a giocare qualcos’altro andava storto. Quella è stata la parte più dura per me“.
Suona proprio come uno stillicidio, in effetti. “Se mi avessero detto: ‘Salterai un intero anno ma poi sarai pronto a ripartire’, avrei potuto accettarlo nella mia testa. Ma quando si tratta di quattro mesi e poi succede qualcosa e ci sono altri due mesi e così via… È stato questo il trend dell’ultimo paio d’anni”. E visto che i guru sembrano andare di moda, qualcuno ha provato a indagare: mai considerato qualche tipo di terapia alternativa? Qualche stranezza? “Tipo la roba psicologica? La medicina cinese? Nah, quella non fa per me. Il mio zen è guardare la pallacanestro e giocare alla PlayStation e passare il tempo con gli amici. Però quando sei abituato ad essere in giro per il tour, dopo un po’ che vedi i tuoi amici dici: ‘Ok, bello, però ora è il caso di fare qualcosa della mia vita’”.
Il fisico lo supporterà, se come ci si augura dovesse andare avanti nel torneo e nella sua carriera? “Lo spero, non lo so. Nessuno lo sa. Un sacco di giocatori si infortunano quando invecchiano, a me è capitato il contrario. Ho perso un sacco di tempo anche quando avevo 15 anni, ho perso sette mesi. E quando ho compiuto 17 anni ho perso altri sette mesi. In totale sento di aver perso probabilmente tre anni, quindi cerco di fare tutto ciò che posso per stare in campo quanto più possibile”. Parlare delle disgrazie di Kokkinakis per così tanto ha reso la situazione talmente surreale che il ragazzo si è spontaneamente messo a enumerarle una per una, “da capo a piedi”: il problema con la spalla, ovviamente, per il quale è stato operato; lo strappo al muscolo obliquo esterno dell’addome; l’osteite pubica; lo strappo ai pettorali; una complicazione al gomito. E tutt’ora il poveretto sta combattendo con l’inguine, di nuovo la spalla e una schiena irrigidita. “Non so come mi sentirò quando avrò passato i trent’anni, sarà interessante”. Per un medico, poco ma sicuro.
La bomba è in arrivo, però: alla domanda successiva, Thanasi si fa improvvisamente serio. Prima del Roland Garros, girava voce che fosse a un passo dal ritiro definitivo. “Sì, è vero”. Sul serio? Domandano i cronisti con gli occhi sgranati. “Sì, ero serio. Di solito non sono una testa calda ma in allenamento, un paio di settimane prima del torneo, non facevo altro che rompere racchette, ogni giorno. Quello non sono io. Odiavo tutto. Gli allenamenti andavano bene ma non riuscivo a trasmettere nulla di quello che facevo nei match. Sentivo che i problemi che avevo avuto per tanto tempo erano ancora tutti lì“. I più cinici potrebbero dire che il tennis sarebbe sopravvissuto anche senza di lui, che chiama il successo di primo turno al Queen’s “la migliore vittoria della mia vita” perché in totale è riuscito a giocarne giusto una quindicina. Ma sarebbe stata un’ingiustizia per lui, finire senza aver mai davvero iniziato.
Alla fine Kokkinakis si è convinto, e a Parigi ha giocato. Il suo unico incontro è terminato in una sconfitta, ma è riuscito a dare battaglia a Kei Nishikori e strappargli addirittura il primo set. “È stato bello confermare che potevo ripetere quanto fatto in allenamento nella partita, almeno per un certo periodo di tempo. La sfida adesso per me è rimanere continuo fisicamente e anche mentalmente. In passato ho mostrato di poter giocare bene a sprazzi, ma spesso non sono stato capace di mettere in ghiaccio gli incontri. Siccome so qual è il mio livello, ho trovato che la cosa fosse frustrante per tutta la mia carriera”. Appena terminata la frase, Thanasi ripensa mentalmente a quanto ha detto e sbotta a ridere: “Carriera… È durata tipo un anno, in totale. Non so di che sto parlando”.
Per fortuna ora le cose sembrano finalmente cambiate. “Sono stato molto paziente e determinato nel tempo. La mia famiglia e soprattutto il mio coach Todd”. Parla di Todd Martin, dal quale si era separato in via ufficiale nel 2015 ma che evidentemente lo segue ancora da molto vicino. “È stato con me da quando avevo 9 anni, il mio primo coach in assoluto. Sono qui al Queen’s con lui, è una grande persona“. La prossima sfida sui prati londinesi lo vedrà opposto a Daniil Medvedev, per tornare nei quarti di un torneo ATP. A Wimbledon Thanasi non ci sarà, ma con questa tenacia fra 12 mesi potrebbe essere tutto diverso.