“È stata la partita del secolo”. “Il benchmark rispetto al quale misurare i match futuri”. È sempre bene diffidare di simili iperboli, specie se dette in pieno dopo-partita, con l’adrenalina ancora in circolo. Ma persino i commentatori dotati di maggior cultura tennistica e memoria storica non poterono fare a meno di esaltarsi, il 6 luglio 2008.
In palio c’è il trofeo di Wimbledon, a contenderselo i big two del circuito, Federer e Nadal (l’altra metà del quadrunvirato è in fase di rodaggio). Ma sul piatto c’è tanto di più: c’è aria di cambio della guardia. Il vecchio (quanto ancora avrebbe vinto!) campione assediato che cerca di contenere l’avanzata, almeno sul suo Centre Court, di quella freak of nature di Nadal, giunto alla sua terza finale consecutiva sui prati di SW19 e determinatissimo a non portare un altro piatto a Manacor. Se non in linea con la pesante stesa subita a Parigi un mese fa, l’inizio per Federer è ben poco esaltante. Si percepisce che il pallino ce l’ha Rafa. E che la maledetta diagonale sinistra ha assunto valenza freudiana per lo svizzero. Tutto sembra preannunciare la fine dell’usufrutto rogeriano a Church Road. Ma a complicare il tutto ci pensa la pioggia, senza la quale, forse, non staremmo a raccontare questa storia. In più, va detto, lo svizzero non molla. Non sarà bagel, come a Porte D’Auteuil. Anzi, Federer vince il tie-break, tenendo viva la speranza di avere un match. E così sarà. Anche il quarto si deciderà al tie-break. E qui si giocano punti incredibili, specie in rapporto alla tensione e alla posta in palio. Nadal si procura due matchpoint che non sfrutta. L’ultimo è una sorta di contrappasso tecnico. Con Federer a trafiggere con un rovescio lungolinea un incredulo spagnolo.
Il set decisivo è la massima espressione della cattiveria agonistica di Nadal. Serve per secondo, sempre indietro nel punteggio. Ma il suo sguardo dice che stavolta non tornerà a casa senza aver deposto il suo magnifico rivale. impermeabile persino al più beffardo degli scrosci, Nadal si prende il giardino del re. Essendo ora lui re. Per la cronaca, ma solo per quella, il set si chiude sul 9-7. Molto più insolita l’ora in cui finisce, le 21 e 15, a un pelo dalla sospensione per oscurità. E ci sarà tempo per qualche polemica pretestuosa sulla scarsa visibilità che ne avrebbe falsato l’esito. Il tetto non c’era ancora. E forse è stato un bene.
Andrea Ciocci