C’era una volta l’Abierto Mexicano Telcel, torneo che dal 2001 – prima si disputava a Città del Messico – rappresentava una colonia spagnola in quel di Acapulco. Terra rossa, e come poteva essere altrimenti? Gli iberici venivano e facevano razzia, sporcandosi appena i calzini per alzare al cielo la pera più famosa del tennis. Sì, il trofeo è una pera gigante. Bizzarro, ma per bruttezza non ancora al livello di altri trofei (però è meno utile del vaso da notte di Cincinnati). L’albo d’oro dice che la pera se l’è portata a casa per ben quattro volte David Ferrer (primatista insieme a Muster, che però giocava a Città del Messico), due volte Moya ed Almagro, così come Nadal – negli anni in cui non si è lasciato tentare dai petroldollari di Dubai. Rafa (che farà il suo esordio nella notte italiana tra martedì e mercoledì, non prima delle 03) ha tentato la tripletta lo scorso anno, fermato in finale da un Querrey demoniaco a cui riusciva ogni colpo.
Ma perché l’ATP 500 di Acapulco è tornato in auge? Semplice: per una questione logistica e di trasformazione. Il cambio di superficie, con l’avvento del cemento, ha creato un ponte con i Masters 1000 americani molto gradito ai giocatori. Dubai è lontana geograficamente, e quindi il suo livello sta scendendo drasticamente a livello di tabellone, mentre il Messico permette di giocare prima qualche torneino su terra, per poi abituarsi al cemento in vista delle sfide più prestigiose ad Indian Wells e Miami. E, come per magia, la pera gigante è diventata più ambita. Certo, rispetto allo scorso anno mancano nomi importanti come Djokovic, Cilic e Kyrgios (gli ultimi due hanno annunciato il loro forfait solo negli ultimi giorni), ma il tabellone è di tutto rispetto. Abbiamo un agglomerato di ragazzoni in cerca di rivincite. C’è Nadal, costretto al ritiro negli ultimi tre tornei giocati (Bercy, Finals e Melbourne) che pretende con veemenza risposte positive dal suo fisico e punticini preziosi da sgranocchiare al “nuovo” numero uno svizzero. Ci sono quelli che da mesi stanno inanellando sconfitte inopinate e tentano una riscossa: su tutti Zverevino (ma anche Zverevone non scherza), del Potro, Sock e Querrey. C’è chi vuole riaffermarsi a certi livelli, mettendo alle spalle i malanni (Nishikori e Kokkinakis) e l’età che avanza (Ferrer, che di pere giganti a casa ne ha una collezione). Infine abbiamo il solito marasma di giovani rumorosi e impertinenti (Chung, Shapovalov, Donaldson, Rublev e Bublik).
Insomma, gli ingredienti per un torneo piacevole ci sono tutti; da adesso sarà il campo a parlare. Nella prima giornata più che parlare sussurra, è infatti un antipasto di un programma ben più succoso che da martedì prenderà il sopravvento. Si comincia con Donaldson che approfitta del ritiro di Basilashvili (quando il georgiano era già sotto di un set ed un break) e con l’ennesima sconfitta precoce di questo periodo per John Isner. Stavolta a sconfiggerlo è stato il connazionale Harrison che, messosi alle spalle le polemiche con Young, ha avuto la meglio in due set.
Il match più interessante della giornata però arriva con la sfida generazionale tra Rublev e Ferrer. I due si sono affrontati recentemente all’Australian Open, dove a prevalere è stato il giovane russo in una partita combattutissima, chiusa al quinto set. Il buon vecchio Ferru viene da tre eliminazioni consecutive al primo turno, Rublev invece è ringalluzzito dai due quarti di finale raggiunti nella stagione indoor europea, a Montpellier e Rotterdam. Mentre l’Italia è invasa dal gelo siberiano, ad Acapulco le massime sfiorano i trenta gradi (di giorno) e si suda parecchio anche di sera, per via dell’umidità. Questa non è una motivazione valida per spiegare la schizofrenia del primo set. Il giovane Rublev, volto dostoevskiano che non sfigurerebbe nei panni dello Smerdjakov dei Fratelli Karamazov, parte malissimo. Ferrer, vecchia volpe, entra in campo con l’intenzione di prolungare gli scambi; il russo, grande potenza ma poca variazione, cade nel tranello e tenta di accorciare, incappando in svariati errori. Ferrer in un batter d’occhio si trova 5-1 e servizio. Subisce il break quando serve per il set, poi non riesce a mantenere il suo piano di battaglia e perde nuovamente il servizio. Sembra il risveglio definitivo di Rublev, che però sul 5-4 – quando è chiamato a servire per riportare tutto in parità – si fa prendere dalla fretta e dal pressapochismo, e si trova 0-40. In questa sceneggiatura folle è quasi naturale lo sbandamento dello spagnolo, che si irrigidisce e si fa annullare i tre set point consecutivi. Ci pensa però Rublev a capovolgere di nuovo le sorti di questo pazzo set, perdendo le misure con il campo e cedendo infine la battuta. 6-4 tra errori, orrori ed occasioni sprecate.
Nel secondo set Ferrer prende subito il largo, poi riesce a resistere all’offensiva di un Rublev che è salito di livello troppo tardi (regalando comunque un secondo parziale di intensità notevole), e chiude 6-3, prendendosi la rivincita dopo la sconfitta in Australia. Lo spagnolo dimostra che, nonostante le gambe non frullino più come un tempo, la scaltrezza e la grinta son quelle di sempre, mentre Rublev al momento non ha un piano B: martella in continuazione senza un cambio di ritmo, ed inoltre il servizio è un colpo che va necessariamente migliorato. Chiude il programma la comoda vittoria di Anderson su Albot. Il sudafricano, dopo il recente successo nella Grande Mela, prova dunque l’assalto anche alla Grande Pera.
Mattia Madonia
Risultati:
J. Donaldson b. N. Basilashvili 6-2 3-2 rit.
R. Harrison b. [8] J. Isner 6-3 7-6(5)
D. Ferrer. b. A. Rublev 6-4 6-3
[5] K. Anderson b. R. Albot 6-4 6-3