Dopo essersi goduti il tennis splendido, ma poco vincente (relativamente, sempre in top-15/top-20 ATP siamo) di Grigor Dimitrov, che come si diceva è talmente bello nei gesti e nel modo di andare sulla palla da sfociare nell’autocompiacimento e nell’insufficiente concretezza, il contrappasso perfetto, e dal punto di vista del tecnico e dell’allenatore un’autentica boccata d’ossigeno, nel senso di soddisfazione nel vedere l’impegno e la dedizione totali, è andare all’allenamento di David Ferrer.
Ho già avuto modo di scrivere che vorrei un altarino votivo dedicato a Ferrer, con tanto di fotografia e candele sempre accese, in qualsiasi campo dove si allenino gli agonisti. Non è un discorso di tecnica, ma di attitudine: dare il massimo è scontato, dare più del massimo anche, arrivare all’impossibile e oltre? perchè no. La sua carriera parla da sola, una vita passata in top-ten, mezza vita passata in top-five, e diverso tempo da numero 3: con i personaggi che sappiamo là davanti, praticamente il numero uno degli “umani”.
Il buon vecchio David qualcosa di speciale, speciale davvero, ce la dovrà pure avere, insomma, lasciando da parte le autentiche sciocchezze dei fenomeni da circolo di periferia che sentenziano :“Ah ma Ferrer ha i colpi di un seconda categoria”. Lasciamo da parte dritto e rovescio, che sono belli carichi e pesanti, da vicino fa paura il ritmo che riesce a imprimere allo scambio, e lasciamo stare anche il fenomenale gioco di gambe, che ha pochi eguali in senso assoluto, per fargli punto devi sparargli, lui non molla una palla: l’altro giorno, prima che venisse sconfitto da Jeremy Chardy – a conclusione di una stagione per la prima volta da tanti anni un po’ zoppa, a causa di un fastidioso infortunio al gomito che lo blocca da prima di Wimbledon – sono andato al campo 17, la “mini arena”, e mi sono focalizzato a osservare quello che almeno in teoria Ferrer dovrebbe fare meno bene: il servizio.
Nella sequenza di immagini in testa al pezzo, vediamo fase di caricamento e swing fino a poco prima dell’impatto: fin qui, nulla di strano. Nelle immagini qui sopra, a sinistra siamo all’impatto vero e proprio, e subito dopo ecco la cosa interessante (frame centrale): invece di ricadere in modo standard, David con un autentico colpo di reni va a esasperare la sospensione andando ancora di più sopra la palla, con addirittura un accenno di richiamo delle gambe che si sollevano ulteriormente. Solo nell’ultima immagine a destra, il momento in cui si scarica la pronazione del polso in avanti/basso/esterno, Ferrer va a iniziare la fase di ricaduta con postura normalmente semidistesa degli arti inferiori.
Un gesto atletico fenomenale, da centroboa di pallanuoto, o da schiacciatore di volley: ed ecco spiegati i 200 all’ora (a volte abbondanti) che David raggiunge con la battuta, pur essendo alto 1.75 scarsi: è un tipo di prestazione fondamentale nel tennis di oggi in cui i colpi di inizio gioco sono ormai quelli più importanti in assoluto, un tennis di ragazzoni dall’1.85-1.90 in su, ma che dal mitico “Ferru” perdono spesso e volentieri. Ormai Ferrer va per i 34 anni, e la speranza è di vederlo magari per un’ultima stagione competitivo ai suoi livelli: poco tennis-champagne, certo, ma una tale feroce abnegazione, anche tecnica, nel raggiungere il proprio 100%, è uno spettacolo anche quella.
Gli (s)punti tecnici precedenti:
– Johnny Mac e il cuore di New York
– Grigor Dimitrov, specchio specchio delle mie brame
– La reattività frenetica di Camila Giorgi
– Il servizio estremo di Ivo Karlovic