(da New York, Antonio Volpe Pasini)
Il tanto temuto “provincialismo sportivo” degli americani, alla fine non si è manifestato. Chi pensava che dopo la clamorosa debacle di Serena Williams gli spalti dell’Arthur Ashe Stadium sarebbero rimasti desolatamente semivuoti per quello che era stato denominato “The Italian Job” si è dovuto ricredere. Ancora una volta i newyorkesi (e gli americani in generale) hanno dato prova di grande sportività, assiepando lo stadio in ogni ordine di posti. E alla fine si sono anche divertiti, come riconosce Merdith Tanner, una “tifosissima di Serena” venuta apposta da Austin, in Texas, per poter dire “c’ero anch’io” ad assistere alla storica impresa della conquista del Grande Slam da parte della sua beniamina.
“Devo ammettere che in un primo momento volevo regalare il biglietto e andare a fare un po’ di shopping – dice – poi ho deciso di venire lo stesso e devo riconoscere che mi sono divertita”.
Certo, non sarà stata una partita da tramandare ai posteri dal punto di vista qualitativo, ma l’importante è che la gente non l’ha snobbata né prima, né durante. Nei primissimi game infatti l’atmosfera nel grande catino di Flushing Meadows era piuttosto freddina. Solo un “Viva l’Italia” urlato a squarciagola da un tifoso ha scosso il torpore generale. Ma con il sussegursi degli scambi è andata via via scaldandosi. Dapprima senza una vera e propria favorita, poi con il pubblico che ha cominciato a propendere, sia pur leggermente, a vantaggio di Roberta Vinci. Vuoi perchè in fondo era la ragazza che solo 24 ore prima aveva compiuto il “miracolo” , vuoi perchè era la sfavorita (e da che America è America, qui tifano sempre per l’underdog), vuoi perchè il suo gioco fatto di slice, smorzate e volée piace. Piano piano ogni drop shot, ogni scambio a rete, ogni lob venivano salutati da applausi sempre più scroscianti.
Applausi che hanno accolto anche le immagini sugli schermi giganti dei vip venuti al Billie Jean King Tennis Center per la finale. Il più forte e convinto lo ha ricevuto il mitico cantante James Taylor, seguito a ruota da Queen Latifah, e da Michael Douglas e sua moglie Catherine Zeta Jones. Nulla però in confronto alle ovazioni tributate a due icone del tennis femminile come Billie Jane King e Virginia Wade.
Un attimo di perplessità, il pubblico lo ha avuto tra il primo e il secondo set, quando è stato inquadrato il box della Usta, che ospitava le autorità italiane. Solo quando in sovrimpressione sono comparsi i nomi dei personaggi inquadrati la gente ha applaudito il premier Matteo Renzi, il presidente del Coni Giovanni Malagò, il presidente della Fit Angelo Binaghi e, più degli altri, l’ambasciatore italiano a Washington Claudio Bisogniero. Applausi che l’ambasciatore si sarebbe meritato ancor di più al termine, quando sul parapetto è comparsa la bandiera italiana messa alla rovescia con il ministro Bisognero unico ad accorgersene e a rimettere le cose a posto. Ma nessuno, o quasi, se n’è accorto.
Nel secondo set lo stadio si è schierato ancor più decisamente a favore di Roberta; in parte perché sperava che la partita potesse continuare per un altro set, in parte perché tutti volevano vedere il finale strappalacrime della “Cinadrella Story”. Sul 3-0 per Flavia Pennetta con Roberta alle prese col tentativo di annullare due palle break, il pubblico ha cercato in ogni modo di trascinarla, ma non è servito: la favola di Cenerentola è praticamente finita in quel momento. Non però l’incitamento alle due italiane, che si è trasformato in un assordante boato durante il lungo, bellissimo abbraccio tra Flavia e Roberta al termine di questa finale tra amiche, forse non bellissima ma di certo divertente e che soprattutto ha scritto una splendida pagina di storia del tennis. E non solo italiano.