A. Panatta / P. Villaggio, Lei non sa chi eravamo noi, Mondadori, I edizione settembre 2014
Compio gli anni in aprile. Quando mia sorella mi ha porto un pacchetto che indiscutibilmente celava un libro sono iniziati i sudori freddi. Temevo il ripetersi di scene già viste, io che scartoccio e alla vista di un Banana Yoshimoto o simili cerco di dissimulare un certo sconforto mostrando interesse, quando in realtà penso a un angolo recondito della libreria dove esiliarlo. L’ultima volta però non è stato così. Ho aperto il regalo sotto lo sguardo indagatore di lei, sembravo un pokerista alla ricerca del terzo asso per un full. Mi appare un piccolo volume, una copertina verde prato con due figure in completo candido che impugnano racchette di legno. Il pensiero vola subito sul Centre Court di Wimbledon. Guardo meglio. Il titolo recita “Lei non sa chi eravamo noi”, le due figure sono, per motivi diversi, due persone che hanno certamente segnato la loro epoca.
Il primo è Adriano Panatta e ricordo pressoché ogni suo colpo perché quando stavo imparando a giocare era un mio idolo. Quei servizi piatti centrali che erano bombe, i rovesci d’attacco in chop, il dritto giocato con la faccia della racchetta lievemente aperta. E il tocco, soprattutto il tocco. Comprai anche la Wip che usava lui ma pesava come una putrella d’acciaio e non perdonava nulla. L’ho visto sconfitto nella finale di Davis 1977 ma anche rifilare un doppio 6-0 ad un giovane Ivan Lendl, perdere contro il semi-dilettante Szoke ma anche impegnare strenuamente, lui ventottenne, il ventiduenne Borg fino al quinto set sulla terra di un Foro Italico trasformato in bolgia. L’altro è il rag. Ugo Fantozzi, al secolo Paolo Villaggio. Vedere in Villaggio solo Fantozzi è come il noto paragone con l’iceberg, quel che appare è un decimo. Parliamo di un uomo dall’intelligenza sopraffina, che coltiva cinismo e autoironia in pari grado, che ha attraversato gli anni ruggenti del cinema e della cultura italiani traducendoli con originalità in maschere amare, grottesche, tragicomiche ma infine vere. Uno da amicizie fraterne come quella con De André, col quale scrisse e dovette mondare per censura la splendida “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, con Tognazzi, Fellini, Gassman, di cui diceva “Lui è così, parla come Gassman, si muove come Gassman…” e tutti i grandi di un’epoca che non c’è più.
Che c’azzeccano ‘sti due? Questo è il primo pensiero.
Diciott’anni di differenza, estrazioni opposte, uno sportivo di fama mondiale e un attore. Chi sono, Jack Lemmon e Walter Matthau nella “Strana Coppia”? Alfine apro il libro e lo finisco in una sera. Apprendo così che i due diventano amici negli anni settanta come a volte accade agli opposti e questo è il racconto di un paio di episodi che di cui sono stati protagonisti. Il primo si svolge nei primi anni ottanta e ha per teatro la Sardegna, dove Villaggio ha affittato per gli amici la villa più sfarzosa della Costa Smeralda dal proprietario della VolksWagen. E gli amici sono Adriano, Ugo Tognazzi e consorti ai quali si aggiungono via via Gassman, Pietrangeli, Sergio Corbucci e Renato Salvatori, il divo di Poveri ma belli. Quest’ultimo vuole Villaggio morto perché Paolo lo ha soprannominato Kong alludendo alle sue doti d’attore. Sarà Panatta, con paraculaggine tutta romana, ad adoperarsi per fargli sotterrare l’ascia di guerra. Il secondo è antecedente di tre anni, siamo al torneo di Wimbledon 1979, quello che Panatta doveva e poteva vincere. Ho ancora negli occhi la sua marcia sicura verso i quarti di finale, persi incredibilmente al quinto contro un “vulgaris” Pat DuPre non per altri versi noto. Quel che non sapevo era che Adriano ha avuto al fianco un amuleto di oltre ottanta chili fino a quella sciagurata partita, uno che non ha perso l’occasione di scambiare due colpi con Borg o di proporsi come quarto per un doppio con i Moschettieri di Francia. E che – accidenti a lui – ripartì prima del fatidico incontro.
Solo qualche altro accenno, per ingolosirvi senza togliervi la sorpresa della lettura, con una premessa fondamentale. Quanto narrato è accaduto veramente. Estate 1982, Panatta, Tognazzi e Villaggio on the road sulla tratta Forte dei Marmi – Porto Rotondo via Corsica. Allacciate le cinture e godetevi il volo Pisa-Figari a bordo di un Cessna pilotato nel temporale da capitan Leonzu Ventura. Stessa estate, Sardegna. Sedetevi comodamente al Country Club e assistete a due doppi di tennis che non vedrete mai più. Fra i protagonisti un campione sul viale del tramonto, un ex campione e tre giganti del cinema italiano, uno dei quali è disposto a tutto pur di vincere. Wimbledon 1979. A Londra un uomo si presenta alla reception dell’albergo come allenatore su erba di Adriano Panatta. Attende nella Hall finché arrivano Adriano insieme ad un giovane John McEnroe che esclama “Hey Adriano, who is this strange man?”. Poche sere dopo, nel miglior ristorante italiano di Londra sono a tavola in quattro. Un attore e un campione italiani, un tennista argentino che scrive poesie e uno romeno poco raccomandabile ma di gran talento. Tre dei quattro gusteranno una cena ottima.
Il libro è breve e termina troppo presto per il coinvolgimento che crea ma è come una boccata d’aria fresca o un sorso d’acqua limpida, ci voleva. Leggete e rigeneratevi con l’atmosfera di un’Italia che non c’è più, un tempo nel quale con la parola attore pensavi a Mastroianni.
Oggi solo tronisti.