Oggi, nel corso del notiziario di SkySport24, Gianni Clerici ha presentato la sua autobiografia, intervistato da Stefano Meloccaro. “Quello del tennis – Storia della mia vita e di uomini più noti di me“, edito da Mondadori, non può che essere un must per gli appassionati di tennis e dello stesso Clerici, unico italiano presente nella Hall of Fame di Newport assieme a Nicola Pietrangeli.
Stefano Meloccaro, competente interlocutore dello Scriba, parte dal presente e chiede a Gianni un commento sul dominio di Djokovic. “In questo momento, oltre a essere di gran lunga il più forte, è sempre molto sicuro di sè ma senza che questo lo porti alla presunzione o a una debordazione del suo ego“. Parlando invece di Federer, Meloccaro stuzzica lo Scriba sul tennis dei gesti bianchi, di cui Roger è forse l’ultimo lontano e degno rappesentante. “Roger ha fatto riemergere nella mia mente il primo giocatore che ammirai da ragazzino, Bill Tilden. Fu il primo che mi ha fatto sognare per il tennis, lo veneravo“.
A quel punto l’audace Meloccaro prova a mettere alle corde Clerici sul calcio, da lui sempre vituperato durante le storiche telecronache in coppia con Rino Tommasi: “Gianni, tra le chicche di questo questo libro ce n’è una sorprendente, quando fai outing affermando che hai avuto a che fare anche col calcio, nonostante le tue costanti critiche a quel mondo“.
“Da ragazzino giochicchiavo a tennis al Tennis Club di Como. Vennero al circolo due importanti giocatori di football (lo Scriba lo chiama sempre così, come se la parola calcio sia per lui maledetta) dell’epoca e mi dissero ‘tu avresti un futuro nel football‘. Cominciai a giocare nei pulcini del Como, avevo come allenatore non uno qualunque, ma Annibale Frossi (campione olimpico nel 1936 alle Olimpidi di Berlino con l’Italia di Vittorio Pozzo, ndr): me la cavavo benino, ma scelsi definitivamente il tennis quando lui mi disse: ‘se vai avanti col calcio al massimo arrivi in serie A, se insisti col tennis al massimo in Coppa Davis’“.
Il conduttore di Sky a quel punto vira su un’altra sfera sportiva che lo ha riguardato: “Ho scoperto dal libro che nella tua vita c’è stato in qualche modo spazio anche per i motori“.
“Non direttamente, ma quasi: ai tempi, parliamo di prima che io nascessi, ovvero prima degli anni Trenta, mio padre Luigi correva in moto, era il terzo pilota della scuderia Bianchi, capitanata da un certo Tazio Nuvolari. Poi si dedicò all’imprenditoria nel settore dei carburanti. Non fu una scelta sbagliata“.
Tornando al tennis, scorrono le immagini di Martina Navratilova: “Martina è stata una grandissima campionessa ma anche una grande donna, fu coraggiosissima quando fece coming out in un periodo in cui farlo ti costava moltissimo”.
Si parla poi del confronto tra il tennis con le racchette moderne e quello con le racchette di legno e Clerici è chiarissimo: “Il tennis con le racchette di oggi è un altro sport. Ora peraltro le racchette di legno sono di fatto inutilizzabili perchè nel frattempo sono cambiate di conseguenza anche le palline“.
Sulla finale Pennetta-Vinci ai recenti USOpen, gli viene chiesto se in qualche modo si potevano immaginare due italiane in finale agli USOpen: “Assolutamente no, non l’avrei mai detto, ma non sai quanto sono felice per Flavia, per la quale ho sempre avuto un’adorazione particolare: diversi anni fa, all’inizio della sua carriera, mentre la guardavo giocare dissi a un signore seduto davanti a me:”Se non avessi tutti questi anni in più di lei, non le nascondo che le farei una corte sfrenata”. Il signore si alzò in piedi e mi tese la mano: “Piacere, Oronzo Pennetta (il padre di Flavia, ndr)”.
Insomma, da queste prime battute d’anteprima, l’autobiografia di Gianni Clerici promette molto bene. Del resto, non poteva essere altrimenti.