Scusate se oggi comincio parlando di me. Lo faccio perché vorrei sommariamente spiegare con quali criteri decido gli argomenti che tratto ogni settimana: alcune volte i temi scelti sono quasi obbligatori, come ad esempio gli articoli che precedono gli Slam. Altre volte può essere che un torneo suggerisca una protagonista, che magari prima non ha avuto particolari attenzioni. Altre volte ancora, tratto idee che trovano spazio quando mi pare che non ci siano questioni di stretta attualità.
Ma poi ci sono anche alcuni argomenti su cui sono incerto, perché non sono convinto abbiano il giusto grado di maturazione. E allora rimangono in sospeso, mentre cerco di valutare se meritano davvero di essere approfonditi, magari grazie all’intervento di qualche fatto nuovo.
Ecco, il pezzo di oggi fa parte di quest’ultima categoria. Sempre in attesa che fosse il momento giusto, ho rinviato questo articolo almeno tre volte; ma alla fine ho deciso che la finale persa di Linz poteva essere sufficiente per parlare di Anna-Lena Friedsam. Certo, avesse vinto il torneo sarebbe apparso tutto più logico, ma in realtà cominciava a pesarmi continuare a rimandare la segnalazione di una giocatrice che penso meriti di essere seguita con una certa attenzione.
Il mio interesse per Anna-Lena Friedsam è nato per caso, per una semplice decisione della sorte. Ero al torneo di Wimbledon 2015 come inviato, e tra le cose che avevo in mente di fare c’era quella di seguire dal vivo per la prima volta Belinda Bencic.
Purtroppo però al primo turno mi era mancato il tempo; un vero peccato perché il match contro Pironkova appariva come uno dei più interessanti dei primi giorni (sappiamo tutti quanto valga Pironkova sui prati di Wimbledon). In questi casi si deve stare attenti a rimandare, perché nessuno può garantire che la giocatrice che ci interessa non perda prima del previsto. Deciso a non correre ulteriori rischi, mi sono presentato al campo 18 per il secondo turno. Avversaria di Belinda, Anna-Lena Friedsam; sulla carta un passo indietro rispetto a Pironkova, ma questo era il volere del tabellone.
Nel campo 18 i sedili per la stampa sono sul lato lungo, di fronte al giudice di sedia. Ci sono soltanto tre file da quel lato, questo significa che si segue la partita dal basso, praticamente alla stessa altezza dei giocatori. Da quel punto si faticavano a capire la profondità dei colpi e alcune geometrie, ma in compenso si individuavano con precisione la velocità e gli spin impressi alla palla. Ancora non potevo saperlo, ma anche questo stava congiurando per farmi rimanere stupito da Anna-Lena, perché proprio seguendola da lì venivano esaltate alcune delle sue migliori doti.
Come detto, Friedsam non sembrava un termine di paragone eccezionalmente stimolante. Numero 87 del mondo, la conoscevo superficialmente per averla seguita in qualche spezzone di match, compreso quello nell’ultimo Roland Garros contro Serena, ma confesso che non mi ero mai soffermato in particolare su di lei: giovane ma non giovanissima (è nata il primo febbraio 1994), soprattutto se paragonata a Bencic.
Ero partito quindi convinto di concentrarmi su Belinda, ma a poco a poco anche la sua avversaria si è conquistata la mia attenzione.
La prima cosa che mi ha colpito di Friedsam è stato il servizio: una bella prima potente, con la capacità di tirare teso ma anche di variare kick e slice. Velocità massima 120 miglia/ora: solo Hradecka, Lisicki e le Williams a Wimbledon 2015 hanno servito più veloce. Le stesse 120 miglia (193 Km/h) raggiunte anche da Garcia e Keys. Tutte le altre 121 giocatrici, avevano servito più lentamente.
Ma soprattutto quello che mi ha meravigliato è stata la pesantezza della seconda palla. Il campo 18 ha gli indicatori con la velocità del servizio, per cui lo spettatore può controllare le miglia orarie di tutte le battute. E gli indicatori confermavano ogni volta la sensazione diretta: Friedsam serviva seconde ad una velocità assolutamente superiore alla media del circuito. Il dato statistico di fine match lo avrebbe certificato: velocità media della seconda di servizio 102 miglia orarie, vale a dire 164 Km/h. Valori di primissimo livello. Eppure non me ne ero mai reso conto prima: colpa mia, senza dubbio, anche se dalla TV la velocità di palla è molto più difficile da percepire con precisione.
Stupito dal servizio, ho cominciato a considerare anche gli altri colpi.
E mi sono reso conto di avere di fronte una giocatrice molto, molto completa sul piano tecnico. Piuttosto sicura da entrambi i lati nel gioco da fondo, quello che mi meravigliava era la facilità con cui alternava il top spin allo slice: soprattutto di rovescio, naturalmente, ma anche con il dritto, se le esigenze lo richiedevano. Il rovescio in back eseguito ad una mano, con un movimento fluido, quasi più naturale del più consueto top spin a due mani. Grazie a questa base tecnica e alla discreta mobilità (è alta 1,74), era buono anche il gioco di contenimento.
L’altra sorpresa è stata la qualità del gioco di volo, considerando che tra le giovani tenniste l’esecuzione sicura e corretta delle volèe è diventata sempre più rara. Invece Friedsam mostrava un discreto controllo, che emergeva particolarmente nelle traiettorie sopra la testa: era capace di muoversi bene all’indietro per colpire gli smash e perfino per eseguire la veronica, cioè la volèe dorsale alta di rovescio, altro colpo che richiede grande controllo del corpo e una naturale capacità di coordinazione.
Man mano che la partita di Wimbledon si sviluppava, veniva spontaneo chiedersi perché una giocatrice con così tante qualità si ritrovava attorno alla centesima posizione. Una parte di risposte l’ho avuta il giorno stesso, una parte nei match seguiti successivamente.
A Londra, indietro di un set, Friedsam era riuscita a pareggiare i conti strappando il servizio a Bencic sul 5-4 secondo set. Un game con alternanza di buone giocate ed errori, e in cui il set point era stato deciso da un doppio fallo di Belinda. A quel punto il match era in equilibrio: 7-5, 4-6.
In quella fase si sono verificate due situazioni abbastanza sorprendenti: la prima è che Friedsam aveva lasciato il campo subito dopo aver vinto il secondo set, e si era fatta attendere a lungo. D’accordo, a volte una pausa è fisiologicamente necessaria, ma lasciava davvero perplessi il fatto che a fermare il gioco fosse stata la giocatrice in rimonta, che avrebbe dovuto fare di tutto per non interrompere il momento favorevole.
La seconda era il suo comportamento durante i game finali del secondo set: spesso negativa nel body language, malgrado il punteggio fosse ben lontano dall’essere compromesso, tanto è vero che si sarebbe poi andati al terzo set.
Fra le due giocatrici in campo quella che appariva molto più matura e positiva negli atteggiamenti era la diciottenne Bencic. Che infatti avrebbe finito per chiudere addirittura a zero il set decisivo.
Malgrado la sconfitta inglese, da allora il file “Friedsam” è entrato a far parte del mio archivio di argomenti in attesa; nel frattempo ho approfondito qualche dato biografico e l’ho seguita altre volte per cercare di capire perché una giocatrice con le sue qualità non fosse almeno tra le prime 50 del mondo.
Ho così scoperto che Anna-Lena si allena sin da giovanissima all’Andernacher Tennisclub.
Andernach è una cittadina di 30 mila abitanti della Renania Palatinato, circa 50 chilometri a sud di Bonn. Per dodici anni (da quando ne aveva nove, quindi) è stata seguita dallo stesso coach: Bijan Wardjawand, che collabora con la federazione tennis tedesca come capo allenatore nella regione renana.
Insieme a lui ha scalato tutti i gradini del tennis, prima quello giovanile e poi quello professionistico. Miglior ranking da junior: 18. Prima classifica WTA nel 2011: 655. Poi 189 nel 2012, 126 l’anno dopo e 87 a fine 2014, a venti anni. Nella seconda metà del 2014 vince un 125K WTA in Cina (a Suzhou) e raggiunge la semifinale a Linz.
Nella prima parte del 2015 qualcosa si inceppa nel percorso di crescita, i risultati latitano (3 vittorie e 8 sconfitte) e dopo dodici anni arriva la separazione dallo storico allenatore. Entrambi dichiarano che dopo così tanto tempo il rapporto si era semplicemente usurato, e c’era la necessità di cambiare. Anna-Lena non è più la bambina che segue le istruzioni del maestro: sempre più spesso vuole dire la sua e capita che metta in discussione i consigli del coach. Friedsam si rivolge ad un altro allenatore della Renania, Sascha Mueller; cambia, quindi, ma senza allontanarsi dal suo ambiente.
Il momento del cambio di tecnico è anche quello della partita persa a Roland Garros contro Serena Williams: una sconfitta sì, ma in tre set, per 5-7, 6-3, 6-3.
E’ vero che nel 2015 Serena ha vinto tanti match (diciotto) lasciando per strada un set. Però tutti i set concessi da Serena nel 2015 sono stati contro giocatrici come minimo classificate entro il 43mo posto del ranking, con tre sole eccezioni: Bethanie Mattek-Sands (numero 101) agli US Open, che ha una classifica sottostimata perché reduce da un lungo infortunio; Heather Watson (numero 59) a Wimbledon, spinta anche da un tifo casalingo straordinario; e appunto Anna-Lena Friedsam (a Parigi numero 105).
Per completare brevemente gli aspetti biografici mi rimane da ricordare l’infortunio subito a Bad Gastein in luglio durante un match in cui era avanti 6-1, 4-0 contro Klara Koukalova. A due game dalla vittoria si ritira per un problema al legamento crociato del ginocchio e deve rimanere a riposo fino agli US Open, dove perde, evidentemente fuori condizione, 6-1, 6-1 da Kaia Kanepi.
Prima di chiudere però, devo riprendere il discorso avviato durante il racconto della partita di Wimbledon: cosa le manca per essere già oggi una top 50? Ho accennato ai problemi di coach e fisici che l’hanno frenata in questa stagione, ma forse non sono solo quelli.
Un po’ in tutti i match che ho seguito è emersa la tendenza a sottolineare in modo plateale i propri errori, anche quando le situazioni di punteggio non lo giustificano, con un comportamento pessimista che finisce per rafforzare la convinzione dell’avversaria.
Ma mi pare vadano rivisti anche alcuni aspetti tecnici: innanzitutto a me lascia perplesso la poca capacità di capitalizzare in pieno la forza del servizio. Intanto perché a volte non lo spinge quanto ha dimostrato di saper fare. E poi perché spesso sul terzo colpo dello scambio (cioè in uscita dal servizio) fatica a trovare immediatamente l’assetto di gioco, e questo non le consente di essere subito del tutto efficace; e in questa fase anche gli errori gratuiti dovrebbero essere limitati.
Sottolineo questi elementi perché nel tennis contemporaneo è più facile emergere disponendo di un colpo killer, anche se con poche varianti di gioco, piuttosto che possedere quasi tutta l’enciclopedia dei colpi senza che però nessuno spicchi particolarmente. Per questo penso che Friedsam dovrebbe cercare di valorizzare il più possibile le sue qualità alla battuta, visto che con gli altri colpi base non mi pare altrettanto incisiva.
Un altro aspetto che non mi ha convinto è che a volte durante la partita attraversa fasi in cui, senza una ragione evidente, tende ad arretrare e a cedere campo alle avversarie.
Situazioni che non sono ancora riuscito a capire se derivano da qualche problema tecnico oppure, con maggiori probabilità, dalla difficoltà a mantenere sempre la giusta intensità mentale. Anche in riposta alterna game efficaci ad altri in cui non riesce ad approfittare a sufficienza di servizi non sempre trascendentali.
Ricordate la questione del punto di vista al campo 18 di Wimbledon? Seguita dalla TV in altri match, Friedsam mi è sembrata sempre molto dotata nel lavorare la palla, caricandola di spin diversi, ma probabilmente non altrettanto efficace sul piano delle geometrie e della profondità dei colpi.
A volte, di fronte al suo gioco tecnicamente completo ma non sempre produttivo, ho l’impressione di seguire una giocatrice di qualche anno fa, quando il tennis concedeva ancora la possibilità di utilizzare alcuni colpi di riflessione, interlocutori, senza che l’avversaria sistematicamente ne approfittasse per prendere il comando definitivo delle operazioni.
Oggi non è più così, il tennis è diventato uno sport ad alta intensità e chi si prende pause durante lo scambio finisce per essere punito dalle più forti. Se qualcuno ha seguito l’altro giorno la finale di Linz ha visto che probabilmente il match contro Pavlyuchenkova è stato deciso proprio dalla differente capacità di concretizzare le situazioni di vantaggio avute durante lo scambio.
Ma in fondo Anna-Lena ha solo 21 anni, ed è reduce da una stagione di cambiamenti tecnici e di problemi fisici: mi sembra presto per porre limiti alla sua crescita; per questo continuo a pensare che meriti di essere seguita con attenzione nel 2016.
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