Venus Williams ha stupito gli appassionati di tennis con un finale di stagione in crescendo grazie al quale è tornata top ten a distanza di cinque anni; in ottobre-novembre, proprio quando molte tenniste cominciano a sentire sulle spalle il peso della fatica dei tanti tornei disputati, ha raccolto i punti determinanti per finire l’anno al numero 7 del mondo. Davvero sorprendente per una giocatrice di 35 anni.
Ma sarebbe sbagliato ridurre tutto all’exploit degli ultimi giorni; qualche settimana di gran tennis difficilmente basta per entrare tra le prime dieci, e infatti prima del decisivo sprint finale, Venus aveva comunque avuto un rendimento tale da mantenerla ai piani alti della classifica. Una solidità mostrata con diversi risultati positivi distribuiti nel corso dell’anno.
Numeri e dati raccontano un’impresa difficilmente prevedibile, non solo per i pochissimi precedenti (l’ultima tennista oltre i 35 anni tra le prime dieci al mondo è stata Martina Navratilova nel 1994), ma anche per le vicissitudini di salute attraversate negli ultimi anni, in cui Venus ha accumulato problemi su problemi.
Bisogna tornare al 2010. Venus raggiunge l’ultima finale importante in maggio (persa a Madrid contro la sorpresa Aravane Rezai), e chiude per l’ultima volta la stagione tra le prime dieci, al quinto posto. Gioca poco per acciacchi vari, in particolare al ginocchio, ma allora nessuno avrebbe immaginato che un’atleta di soli 30 anni (è nata il 17 giugno 1980) di lì a poco sarebbe entrata tanto profondamente in crisi.
La rinuncia al Masters 2010, sempre per il problema al ginocchio, è il cattivo segnale che prelude ai guai di inizio 2011, quando per la prima volta in Australia si ritira durante una partita dello Slam (un solo game contro Andrea Petkovic), e poi deve saltare quasi tutta la stagione per problemi alla caviglia e all’anca. Ma soprattutto si sente stanca, e non riesce a capirne i motivi, sino a che finalmente le viene diagnosticata la sindrome di Sjögren, una malattia autoimmune che provoca fatica e dolori alle articolazioni. Riesce a giocare solo dodici match in tutto l’anno, che chiude fuori dalle prime cento: numero 103.
In quel periodo la salute di Venus appare preoccupante sia come persona, sia come atleta, perché oltre alla sindrome di Sjögren emergono tutta una serie di malanni legati alla professione. Sono i tipici problemi che spesso rendono complicati gli ultimi anni dei grandi tennisti, quando i disturbi determinati dall’usura rischiano di diventare cronici.
Si parla di fine carriera imminente; qualcuno le consiglia anche di ritirarsi, “per il suo bene”, per evitare sconfitte difficili da digerire, come quella subita a Wimbledon 2012 al primo turno da Elena Vesnina (6-1, 6-3).
Malgrado tutto Venus non vuole alzare bandiera bianca, riesce a tornare in campo con più regolarità, anche se l’unico torneo vinto è quello in Lussemburgo nell’ottobre 2012. Ma Lussemburgo è un evento molto inferiore (con al via una sola giocatrice tra le prime venti), rispetto a Premier e Slam, che sono sempre stati il palcoscenico abituale per una campionessa come lei.
Dichiara che vuole prendersi del tempo per provare a far convivere il tennis con la malattia, che nel frattempo l’ha limitata nel fisico: magrissima, con un calo evidente della muscolatura. È ancora in grado di ottenere vittorie importanti, ma episodiche (ad esempio a Charleston 2012, dove sconfigge due top ten come Errani e Stosur), perché poi arrivano frequenti le giornate-no: manca la continuità necessaria per vincere i grandi tornei.
Anche il 2013 è un anno complicato, in cui fra l’altro per problemi alla schiena deve rinunciare a Wimbledon, il “suo” torneo, vinto cinque volte.
Nemmeno questa volta Venus cede. Anzi, la sensazione che qualcosa potrebbe cambiare si ha proprio sul finire del 2013 quando a Tokio disputa un ottimo torneo, dimostrando una sorprendente tenuta fisica: sconfigge al primo turno Mona Barthel, al secondo turno la numero due del mondo Azarenka (6-2, 6-4); poi batte in tre set Halep (4-6, 7-5, 6-3) e Bouchard (6-3, 6-7, 6-3), prima di perdere in semifinale dalla futura vincitrice Kvitova, di nuovo dopo una partita molto lunga e combattuta (6-3, 3-6, 6-7). In sostanza affronta tre match durissimi uno dietro l’altro, senza segnali di particolari cedimenti atletici.
È la base per provare a risalire il ranking, perché è chiaro che se il fisico è più stabile ed efficiente il suo tennis può consentirle di tornare ancora in alto.
Nel 2014 i miglioramenti sono confermati con la vittoria di Dubai e le finali di Auckland e Montreal.
Se consideriamo l’andamento delle sue partite nel 2015, si ritrova un ulteriore progresso sul piano della continuità e dell’aumento della resistenza allo sforzo: in stagione ha vinto 10 match al terzo set, a fronte di sole 4 sconfitte.
Come si vede dalla tabella, quest’anno Venus ha cominciato subito con il piede giusto, ad Auckland e Melbourne, ma ha giocato bene anche a Doha e Dubai. È vero che nelle stagione sulla terra ha avuto un calo (comprensibile viste le sue caratteristiche) e ha dovuto ritirarsi per un virus a Cincinnati, ma si è ripresa negli Slam, dove ha perso due volte da Serena, senza però mai essere sovrastata. Con sorteggi diversi molto probabilmente avrebbe potuto fare più strada, in particolare a Wimbledon.
Infine l’eccezionale ultimo periodo: vittoria a Wuhan e al “Masterino” di Zhuhai in cui ha ancora avuto la forza di mettere in fila le più giovani, prevalendo alla distanza contro Madison Keys e vincendo uno dei più bei match dell’anno in finale contro Karolina Pliskova.
Oggi Williams fisicamente appare più solida, ha recuperato tono muscolare e il suo gioco è tornato estremamente incisivo, a tutti i livelli; nel 2015 contro le top ten vanta un bilancio di 7 vittorie e 3 sconfitte: ha perso solo contro la numero 2 Halep a Roma e contro la numero 1 Serena nei due Slam (Londra e New York).
E se si eccettua l’uscita al primo turno di Istanbul contro Bondarenko, è stata battuta solo da avversarie capaci di picchi di gioco notevoli.
Ma non c’è solo la questione fisica. C’è un altro elemento fondamentale che credo vada sottolineato: più passa il tempo, più sembra che Venus desideri giocare a tennis. Lo dimostra la scelta di affrontare una stagione piena, da giocatrice qualsiasi, pur essendo lei tutto fuorché una giocatrice qualsiasi.
Venus infatti è uno dei grandi personaggi del circuito: ricca, famosa, carismatica, potrebbe tranquillamente permettersi qualche capriccio da star; e in realtà in passato la sua programmazione è stata spesso caratterizzata da rinunce a trasferte faticose e a tornei nei finali di stagione. Qualche anno fa, ad esempio, avesse mancato di un soffio la qualificazione al Masters, penso proprio che se ne sarebbe tornata negli Stati Uniti a fare altro, lasciando perdere il tennis.
Invece quest’anno ha affrontato tutto il calendario, per intero (Indian Wells a parte, ma quella è un’altra storia), senza saltare nulla.
In febbraio, dopo la trasferta australiana, ha perfino preso parte al turno di Fed Cup a Buenos Aires, giocando fuori stagione sulla terra per rispettare gli obblighi necessari in vista delle Olimpiadi del 2016: significa che per l’anno prossimo conta di giocare ancora. È anche andata a Singapore per fare la riserva al Masters, presenziando a tutti gli eventi di contorno richiesti dalla WTA: lei, con sette Slam nel palmarès, ha accettato di rimanere nell’ombra, dato che poi non è scesa in campo neppure per un minuto.
Dopo gli Us Open ha giocato in Asia dal 27 settembre (Wuhan) all’8 novembre (Zhuhai), passando per Pechino e Hong Kong, più appunto la presenza in panchina al Masters di Singapore.
In sostanza oggi, a 35 anni compiuti, si applica al tennis più di quando ne aveva 25.
Come mai? La spiegazione che mi pare più convincente è quella che si basa sul desiderio di ottenere nuovamente un grande risultato sportivo. Probabilmente ad un certo punto della stagione Venus ha capito che poteva veramente vincere tornei importanti e fare un progresso decisivo nel ranking. Le è sfuggita per pochi punti la partecipazione alle Finals, ma in extremis è riuscita comunque a togliersi l’enorme soddisfazione del ritorno nelle prime dieci.
Oggi credo che per valutare compiutamente il risultato raggiunto non ci si possa limitare a un giudizio sul 2015, ma si debba allargare lo scenario di riferimento: a quei cinque anni fuori dalla top ten, ai quattro anni passati senza vincere un torneo importante, e ai problemi fisici con cui nel frattempo ha dovuto convivere.
Considerando i successi e i guadagni ottenuti prima, in quel lungo periodo di eclissi avrebbe avuto tanti motivi per dire basta, e congedarsi dall’attività agonistica. Invece ha tenuto duro, e ha saputo ricostruirsi passo passo.
Ho sempre pensato (e scritto) che Venus facesse bene a continuare a giocare fino a quando se la sentiva, ma era difficile ipotizzare che la sua dedizione sarebbe stata premiata addirittura con il numero 7 del mondo a 35 anni compiuti, e con il recupero di un livello di gioco tale da riportarla tra le possibili pretendenti alla vittoria anche nei tornei degli Slam. Sì, perché se l’anno prossimo saprà ancora giocare un tennis di questo genere, sarà inevitabilmente da considerare tra le legittime aspiranti ai Major, e tra le favorite di Wimbledon.