Nel settembre scorso Stacey Allaster, ha rassegnato le dimissioni. La manager canadese era entrata a far parte della WTA nel 2006, chiamata prima come presidente e poi come CEO dell’organizzazione. Era diventata la numero uno della Associazione nel luglio 2009, succedendo a Larry Scott; quindi ha governato il movimento tennistico femminile per oltre sei anni.
Nata nel 1963, prima di lavorare alla WTA aveva diretto gli Open del Canada. Le sue dimissioni sono arrivate a sorpresa, visto che il mandato scadeva nel 2017. Ma ha dichiarato di non voler più continuare con una vita troppo stressante e impegnativa, e di voler rallentare i ritmi di lavoro prima di pagarne le conseguenze sulla salute. Come possiamo valutare il suo operato, e come ha influito sul tennis femminile in questi anni?
1. La crescita del montepremi
L’aspetto che più spesso viene citato della presidenza Allaster è il consistente aumento del montepremi messo a disposizione delle tenniste. Quanto consistente? A leggere gli articoli che circolano in rete, risultano numeri contraddittori e percentuali molto approssimative. Non rimane che andare alla fonte e verificare i dati, confrontando il montepremi del 2008 (ultimo anno intero di presidenza Scott) con quello del 2015.
Secondo gli archivi WTA, nella stagione 2008 il montepremi complessivo era pari a 72 milioni e 925.205 dollari, ripartiti in due voci fondamentali: $35.339.800 tornei WTA, e $37.585.405 quota femminile degli Slam (numeri che comprendono sia il singolare che il doppio).
Nel 2015 la cifra è salita a 129 milioni 309.863 dollari, ripartiti in $57.206.938 (WTA) e $72.102.925 (Slam).
Mi pare una performance apprezzabile, visto che la crescita è avvenuta in anni difficili per le economie delle nazioni di riferimento del tennis (nordamericane ed europee), anche se la parte derivante dagli Slam (gestita dalle Federazioni) ha avuto un aumento superiore rispetto a quella di competenza WTA: +91,84% contro +61,88%.
Se poi vogliamo tenere conto del costo della vita negli USA, essendo le cifre espresse in dollari (procedimento molto sommario, considerando le tante nazioni coinvolte), otteniamo questi valori indicizzati: Slam +73,58%, tornei WTA +46,47%. Totale indicizzato: +60,45%
2. L’importanza del montepremi per la salute del movimento
Mi rendo conto che tutti questi numeri non siano un argomento molto accattivante per un appassionato di tennis, ma parlare di soldi e di compensi delle tenniste non è un ragionamento fine a se stesso.
Mi spiego: le giocatrici professioniste affrontano spese notevoli, visto che per partecipare ai tornei devono continuamente spostarsi da una nazione all’altra e per prepararsi hanno bisogno di uno staff personale, meglio se sempre al seguito (di solito allenatore e fisioterapista, ma ci sono team più numerosi).
Teniamo presente che ad inizio carriera ben difficilmente una giovanissima, magari minorenne, può viaggiare senza una persona di fiducia che l’accompagni, spesso un genitore (anche per questo sono frequenti i genitori-allenatori).
L’aumento del montepremi a disposizione facilita sul piano economico chi aspira a diventare professionista, e in generale aiuta a mantenere sufficientemente vasto il ventaglio di concorrenti in grado di far parte del movimento senza perdere denaro. In altre parole, significa favorire il ricambio e la salute del tennis professionistico nel suo insieme.
In più, se si riesce ad arrivare ai vertici, i guadagni diventano altissimi. Aggiungo che, a differenza del tennis maschile, il tennis femminile è di gran lunga la disciplina più remunerativa per una atleta donna, come attestano tutte le classifiche annuali.
Ad esempio nel 2014-5 sei delle prime sette sportive più pagate del pianeta erano tenniste (1 Sharapova, 2 Williams, 3 Wozniacki, 5 Ivanovic, 6 Kvitova, 7 Halep).
3. Il contrasto di interessi tra le migliori e le seconde linee: la Road map e i 125 K
Ma lo squilibrio tra le primissime e le giocatrici di rincalzo produce una situazione complessa da gestire, con un contrasto di interessi.
Spesso le migliori giocatrici si lamentano della durata del calendario, della fatica che richiede e del rischio di infortuni che deriva dal giocare troppo. Questi sono i problemi di chi arriva in fondo quasi ad ogni torneo, disputando tante partite in una settimana.
Nel 2009, è stata inaugurata la cosiddetta Road map, una riforma del calendario che ha accorciato la stagione nella parte finale (conclusione nel mese di ottobre invece che in novembre) e contemporaneamente ha collocato i tornei in periodi e ambiti geografici coerenti: inizio anno in Australia, poi indoor europeo e/o tornei nel vicino oriente, quindi cemento statunitense, primavera sulla terra europea etc etc.
Malgrado questo, molte delle migliori preferirebbero un calendario ancora più corto, (non solo per aumentare le vacanze e il riposo, ma magari anche per avere più spazio per ben retribuite esibizioni).
Mentre invece chi vive una stagione difficile, perdendo spesso ai primi turni e racimolando poco, avrebbe bisogno che le occasioni per giocare e guadagnare si protraessero sino ad autunno inoltrato. E infatti molte tenniste negli ultimi mesi dell’anno prendono parte a campionati nazionali (o tornei simili): competizioni a squadre in cui sono retribuite dal team che rappresentano, proprio per cercare di far quadrare il bilancio.
Anche per venire incontro a queste esigenze Stacey Allaster ha introdotto nel 2012 una categoria di tornei intermedia tra i WTA International (quelli di fascia più bassa con montepremi da 280mila dollari) e i tornei del circuito ITF. Sono i sei tornei delle WTA 125K Series (con 125mila dollari di montepremi), ai quali non possono partecipare le prime dieci del ranking. Oggi i tornei WTA classici sono 59, più appunto i sei 125 K. E quattro su sei si disputano in novembre, dopo il Masters.
4. Alla caccia del denaro cinese: i cambiamenti di geografia nel tennis
Dei sei tornei 125 K, quattro sono organizzati in Asia. Ma questo è solo uno degli aspetti di una tendenza che ha riguardato anche i tornei di prima fascia WTA: è tutto il calendario che sotto la guida di Stacey Allaster è stato riformato puntando sull’espansione cinese.
Se confrontiamo la distribuzione per nazioni nel 2008 (il torneo olimpico non è conteggiato) rispetto a quella del 2015, notiamo che sia Europa sia Nordamerica hanno perso tre tornei, mentre la vera grande crescita si è avuta nell’area cinese, passata da 2 a 8 tornei: 6 in Cina, più il Masters a Singapore e un International a Hong Kong. Perché questo va sottolineato: più che di espansione asiatica, si deve parlare di espansione cinese, visto che i numeri di crescita si concentrano lì.
Allaster ha fatto leva su un fenomeno duplice: da una parte la crescita costante e superiore a quella di quasi tutto il resto del mondo dell’economia in Cina, dall’altra le vittorie di Li Na e i buoni risultati di Peng Shuai e Zheng Jie, che hanno fatto esplodere la popolarità del tennis in patria.
Si può dire senza timore di sbagliare che la vittoria di Li Na al Roland Garros 2011 sia stata, sul piano economico, l’avvenimento più importante degli ultimi anni di WTA. Li Na con le sue vittorie e la personalità decisa e originale, aveva raggiunto una enorme popolarità, ed era diventata il personaggio chiave per cercare di rendere di successo l’avventura dei nuovi tornei cinesi.
Il suo ritiro nel 2014 e i gravi problemi fisici di Peng Shuai (semifinalista agli US Open 2014) hanno inferto un duro colpo al progetto di espansione di Stacey Allaster. E così spesso nei nuovi tornei cinesi si vedono spalti desolatamente vuoti: il pubblico ha un interesse troppo recente e tutto da coltivare, e senza il traino delle giocatrici locali fatica ad appassionarsi.
D’altra parte anche le tenniste più forti (tutte europee o americane) mostrano poco entusiasmo nei confronti della lunga stagione asiatica successiva agli US Open: e così fioccano i forfait e i ritiri.
Cito quanto avevo scritto nel dicembre 2013:
“Se pensiamo che Li Na sta per compiere 32 anni, e ha già vissuto momenti di sbandamento e incertezza sul suo futuro (dopo la vittoria al Roland Garros 2011 e prima di Wimbledon 2013), arrivando a pensare seriamente al ritiro, si capisce quanto possa essere fragile l’assetto economico che la WTA sta cercando di raggiungere con la “conquista” dell’Oriente. Stacey Allaster (manager capo della WTA) si è presa un bel rischio; forse dovrebbe far viaggiare Li Na in una teca di cristallo, o meglio ancora in una cassaforte, come i prodotti di inestimabile valore; perché, dopo queste decisioni strategiche, in termini economici la sua presenza nel circuito è più che importante: è fondamentale.”
Che l’espansione cinese sia stata probabilmente eccessiva non è più un semplice parere di osservatori esterni, ma una esplicita convinzione dei nuovi dirigenti. Ha dichiarato Micky Lawler, presidente della WTA: “We know, the Chinese know, the Singaporeans know that this part of the year it’s just too much,“
(“Noi sappiamo, i Cinesi sanno, a Singapore sanno, che questa parte dell’anno è davvero eccessiva”).
In questo quadro di rinnovamento geografico va segnalato come positivo l’ingresso del Brasile, anche se in un contesto di calendario non integrato al meglio con la Road map. Ma ricordo anche la scomparsa di alcuni Paesi. Di tutte le nazioni che sono uscite dal circuito in questi anni trovo che ne spicchino due: l’India, che è un bacino di popolazione enorme, con una tradizione tennistica significativa e che può anche contare su una giocatrice vincente nel doppio come Sania Mirza.
E la Svizzera: è quasi incredibile che una nazione così ricca, con due giocatrici tra le primissime del mondo in singolare (Bacsinszky e Bencic) e con Hingis di nuovo in attività che raccoglie vittorie a ripetizione in doppio, si ritrovi senza nemmeno un piccolo WTA in calendario. Ma questo evidentemente non dipende solo dalla Associazione giocatrici, ma anche dalla mancata intraprendenza degli organizzatori locali.
5. Il rischio estinzione di alcune superfici e dei tornei indoor
La crisi della cosiddetta “asian swing” dimostra che non tutto può essere determinato da questioni economiche. E comunque decidere sulla base di ragionamenti di convenienza a breve termine può rivelarsi poco redditizio a medio-lungo termine.
Probabilmente si rimetterà mano alla Road map. In un quadro di riconsiderazioni critiche del calendario, si dovrebbe a mio avviso provare ad invertire alcune tendenze dell’ultimo periodo: la diminuzione dei tornei indoor e il rischio di estinzione di alcune superfici. Il carpet, tipico dei tornei al coperto ha lasciato il posto al cemento. E se l’erba offre un torneo in più con la promozione di Nottingham lo si deve a scelte collegiali, prese insieme ad ATP e ITF, che hanno portato allo slittamento di una settimana del torneo di Wimbledon.
Personalmente mi preoccupa molto quell’uno alla casella superfici riferito all’Har-Tru: la cosiddetta “terra verde” americana è una superficie che produce un tennis spettacolare e differente, visto che consente un palleggio veloce unito ad alcune soluzioni tecniche (come le scivolate o i drop-shot) tipiche della terra europea. Ormai l’Har-Tru resiste solo a Charleston (con una data nemmeno troppo felice), e quando i numeri sono tanto esigui il rischio della sparizione definitiva è sempre in agguato.
Per la verità se si deve fare una analisi limitata alla gestione Allaster occorre riconoscere che molti tornei indoor sono stati eliminati prima che salisse in carica: il processo è più antico e deriva dalla progressiva internazionalizzazione del circuito che ha sottratto tornei all’Europa e agli USA nei mesi più freddi. Una volta spostati in paesi con il clima più mite sono venute meno le ragioni organizzative del tennis al coperto, riducendo l’offerta. Oggi si può dire siano rimasti solo due tornei indoor davvero importanti: il Masters e Stoccarda, che però a causa della posizione in calendario ha optato per la superficie in terra rossa. Gli altri o sono piccoli International o soffrono per la data infelicissima, come Mosca, spesso disertato dalle migliori.
6. Il rapporto con l’eredità del passato e con l’ITF
Dunque le scelte economiche e geografiche hanno finito per avere una ricaduta tecnica, per lo più negativa; la definisco negativa perché a mio avviso la tendenza all’omologazione delle condizioni di gioco finisce per impoverire lo spettacolo. E poi la varietà di ambienti e superfici è una qualità storica del tennis, una componente culturale importante di questo sport, che credo vada salvaguardata.
Ma non si può dire che Allaster abbia sempre mostrato di non tenere alla tradizione e alle eredità del tennis; c’è stata al contrario molta attenzione per le grandi figure del passato: non manca mai il profondo rispetto per le campionesse ormai ritirate; oppure nel 2013, in occasione dei 40 anni della WTA, sono state a lungo celebrate le fondatrici dell’associazione.
Questa è la chiave di lettura più ottimista; temo però che, almeno in parte, alcuni riconoscimenti lascino anche trasparire un residuo di rancore nei confronti della federazione tennis (ITF), sentita come uno dei “nemici” storici verso il passaggio al professionismo e la definitiva emancipazione del tennis femminile.
Forse questo atteggiamento ha finito per rendere poco produttivi i rapporti tra WTA e ITF per quanto riguarda la Fed Cup (gestita dalla Federazione Internazionale), manifestazione che sotto la gestione Allaster è stata quasi boicottata, con l’introduzione del “Masterino” in concomitanza con la finale di Fed Cup (oggi per fortuna non è più così).
A mio avviso si è trattata di una scelta poco lungimirante, perché una Fed Cup più qualitativa potrebbe trasformarsi in uno strumento promozionale per il tennis femminile nel suo insieme; la specificità della Fed Cup, infatti, sta nella capacità di raccogliere l’interesse di una porzione di pubblico più abituato ad interpretare lo sport come un confronto fra nazioni e che quindi fatica ad appassionarsi, almeno inizialmente, a una disciplina tipicamente individuale come il tennis.
7. Il ruolo delle innovazioni tecnologiche: televisione e informatizzazione
Di recente Stacey Allaster ha mostrato di saper guardare al futuro con due accordi importanti.
Il primo è quello con la piattaforma digitale Perform (società di media inglese) che dovrebbe garantire dal 2017 la copertura delle riprese di tutti i tornei per quanto riguarda il singolare, e di tutte le semifinali e finali di doppio.
Grazie alla maggiore flessibilità dei nuovi strumenti tecnologici dovrebbe essere quindi possibile per un appassionato di tennis seguire tutte le partite di qualsiasi giocatrice gli interessi, sempre che prenda parte ad eventi a livello WTA. Se si pensa a quale era la copertura di alcuni tornei statunitensi sino a qualche anno fa, costituisce indubbiamente un notevole progresso.
Il secondo è un accordo di sponsorizzazione con la SAP (società di software tedesca) per fornire agli allenatori informazioni ed elaborazioni statistiche sui match, anche durante la partita in corso, utilizzabili durante il coaching.
Di fronte a questa attenzione per le innovazioni tecnologiche colpisce in negativo l’offerta del sito ufficiale WTA. Ricorderete i pasticci compiuti sulle posizioni utili per prendere parte al Masters 2015; a questo aggiungerei anche una generale povertà di contenuti statistici e numerici.
Il sito WTA aggiorna le classifiche solamente una volta alla settimana, costringendo lettori e giornalisti a fare calcoli artigianali o ad affidarsi a siti non ufficiali mai del tutto affidabili. Anche le statistiche sui match e sulle carriere messe a disposizione sono limitatissime, davvero insufficienti se si pensa alle potenzialità di oggi.
Il sito da molti anni soffre anche di problemi di individuazione dei contenuti: in sostanza alcune pagine si trovano soltanto se si sa già che esistono, utilizzando parole chiave nei motori di ricerca, perché dai menu interni non sono rintracciabili.
Paragonati alle decisioni strategiche da milioni di dollari di cui ho parlato prima questi problemi possono sembrare piccole cose, ma in fondo il sito ufficiale di una organizzazione è un po’ il biglietto da visita digitale nei confronti di milioni di persone, per cui stupisce la trascuratezza che comunica.
8. Conclusioni
Come quasi sempre in questi casi, in sede di bilancio si trovano luci ed ombre. Un giudizio più o meno positivo sull’operato di Allaster penso che ciascuno di noi lo potrà dare in base al peso che sentirà di assegnare alle diverse decisioni prese. Ad esempio: conta di più l’aspetto economico o quello tecnico? E bisogna curarsi di più delle tenniste di vertice, le più forti e popolari o viceversa preoccuparsi di più degli interessi di quelle economicamente meno privilegiate?
Oggi si può dire che la WTA che il nuovo CEO Steve Simon ha “ereditato” da Stacey Allaster, sia la più ricca e importante organizzazione di tutto lo sport professionistico femminile; una organizzazione che opera in tutti i continenti, e che proprio per la sua condizione globale non può che essere costantemente in movimento e trasformazione.