Una Coppa Davis l’ha già vinta. E pensare che avrebbe potuto farlo da protagonista, se solo non si fosse sciolto per l’emozione dopo un’ora di grandissimo tennis, fatto di poderosi servizi e dritti esplosivi.
Kyle Edmund ha comunque fatto breccia nel panorama del tennis dei grandi, nonostante la sconfitta subìta in rimonta nel primo singolare della finale di Davis, contro David Goffin; si è trattato del debutto assoluto del ragazzone biondo in Davis, il sesto tennista nella storia a giocare il primo match per i proprio colori nazionali in una finale. Tuttavia, non era la prima convocazione per Edmund, che già lo scorso anno era stato chiamato a far parte del team britannico per la sfida con gli USA, prima di essere sostituito dallo specialista di doppio Dominic Inglot e rimanere seduto come prima riserva. La scelta del capitano Leon Smith è stata frutto del viaggio in Sud America che l’ex giocatore inglese si era sobbarcato a inizio Novembre, per accompagnare Edmund e James Ward in una serie di tornei Challenger e dissipare ogni dubbio circa il singolarista da affiancare all’intoccabile Andy Murray: Kyle ha vinto il torneo di Buenos Aires, dove Ward ha raggiunto appena il secondo turno (nonostante avesse trionfato a Bangalore poche settimane prima, sul cemento). Considerata la lenta superficie belga su cui si sarebbe tenuta la finale di Davis, Smith non ha esitato a premiare il buon risultato di Edmund, che tra l’altro definisce la terra rossa come il suo habitat naturale (ma Wimbledon il suo torneo preferito, forse per mere questioni patriottiche). Il resto, soprattutto per la Gran Bretagna, è storia.
Edmund ha quindi collaborato a portare la Union Jack sul tetto del mondo del tennis, pur avendo ricevuto i natali altrove: è nato infatti a Johannesburg, in Sud Africa, dove il padre Steven, direttore di un’azienda di costruzioni, stava lavorando prima di spostarsi nello Yorkshire, quando il piccolo Kedders aveva tre anni. Il battesimo della racchetta arriva relativamente tardi, a dieci anni, quando Kyle inizia a prendere lezioni in un club locale mentre aspetta che la sorella Kelly termini le sue ore in piscina. I progressi sono mostruosamente rapidi, Edmund mette su muscoli e centimetri (188 cm la sua altezza registrata sul sito ATP) e già a sedici anni è in semifinale agli US Open Juniores, sconfitto dall’allora numero uno di categoria, poi vincitore del torneo, Jiri Vesely; l’esperienza tra i boys lo vede raggiungere l’ottava piazza mondiale, condita da due successi Slam in doppio, sempre in coppia con Frederico Ferreira Silva (al momento ancora impantanato nell’inferno Futures), a New York 2012 e Parigi 2013. Proprio il 2013 è l’anno del battesimo a tutto tondo, e l’erba inglese è il suolo su cui riceve le prime wildcard per tornei ATP, onorate in bello stile; dopo la sconfitta al debutto al Queen’s contro Grega Zemlja, arriva il primo successo nel circuito maggiore a Eastbourne, su Kenny de Schepper, all’epoca classificato 360 posizioni più in alto del britannico, prima di perdere lottando in due tiebreak contro Gilles Simon. La LTA, ultimamente tanto criticata da Murray, continua però a premiare lo sviluppo di Edmund, che poche settimane dopo entra in tabellone a Wimbledon, sempre su invito: in quell’edizione dei Championships è iscritto, tra Juniores e circuito maggiore, a cinque tornei, collezionando tre primi turni tra i grandi e due semifinali tra i pari età.
Giocatore di peso, che predilige le bordate da fondo campo agli scambi lunghi, avvalendosi anche dell’importante stazza: pericolosissimo con servizio e dritto, ancora di contenimento il rovescio con cui stenta a cambiare in lungolinea, preferendo azioni di rimessa ad affondi vero e proprio. Il potenziale è davvero enorme, come conferma Greg Rusedski, che a fine stagione scorsa era seduto nel box di Edmund in qualità di coach e già quando Kyle aveva 15 anni ne era stato mentore: “È a mani basse un futuro top 10. L’esperienza in Davis è soltanto la prima di una lunga serie, già da giovanissimo si vedeva la sua predisposizione al successo”. Ancora più delle sue cannonate di dritto, Edmund colpisce, sempre a detta di Rusedski, per il suo approccio caratteriale: “Non parla quasi mai. Mi sembra uno squalo, silenziosissimo ma spietato quando c’è da colpire. Basta guardare al modo in cui ha risposto alle provocazioni di Leon Smith: servivano conferme per la convocazione in finale, e Kyle le ha date stravincendo il torneo a Buenos Aires, superando un osso durissimo come Carlos Berlocq in finale”.
Tre successi Challenger (Hong Kong, Binghampton e appunto Buenos Aires) nel corso di quest’anno sono un ottimo trampolino per avviarsi verso un 2016 che dovrà essere la stagione della definitiva esplosione, per Edmund che al momento è 102 ATP, con best ranking al numero 99. Il primo successo a livello Slam è arrivato alo scorso Roland Garros, sull’amata terra rossa, contro il padrone di casa Stephan Robert, prima di essere costretto a dare forfait, a causa di una infezione allo stomaco, alla vigilia di quello che sarebbe stato un affascinante scontro tra giovanissimi contro Kyrgios. Le premesse per una carriera di trionfi ci sono tutti; chissà se la Gran Bretagna ha trovato un nuovo Beatle.