Per il tennis femminile è stato un inizio di stagione con più dubbi che certezze; nei primi tornei è stata molto frequente la caduta anticipata delle teste di serie, e anche il ranking sembra attraversare una fase di instabilità superiore al solito. In più lascia perplessi la condizione di molte delle giocatrici considerate più forti, che spesso hanno deluso, tra acciacchi vari e sconfitte premature.
Durante il torneo di Doha mi interrogavo su questi temi e stavo pensando di trattarli per l’articolo del martedì, quando la partita tra Vinci e Radwanska (vinta da Radwanska 3-6, 6-2, 6-3) ha modificato il mio punto di vista. Forse apparirò volubile, però mi sono convinto che una partita del genere non possa passare sotto silenzio; e, ragionandoci su, non credo nemmeno che possa essere considerata come un episodio irripetibile.
Lo dico perché secondo me non è stato un match capitato per una serie di concomitanze fortunate; non è stato un evento estemporaneo fra due tenniste estrose. Va infatti tenuto presente che Aga e Roberta in questo momento sono due giocatrici che fanno parte della top ten, e che si sono incontrate in un torneo di livello Premier 5 nei quarti di finale, rispettando esattamente i valori del proprio tabellone. E al dunque hanno offerto non solo una partita molto divertente, ma anche di altissima qualità: estremamente tecnica e interessante tatticamente.
Per questo fino a che il tennis femminile di vertice saprà offrire partite del genere, come spettatore non me la sento di vedere nero e di presagire foschi scenari per il futuro.
Immagino la replica: “Sì, bel match, ma intanto al numero uno c’è una giocatrice di quasi 35 anni, le rivali non sono all’altezza, e tutte possono perdere con tutte”. Non di rado ho la sensazione che qualsiasi argomento possa essere utilizzato in modo che alla fine si possa concludere che il tennis femminile non funziona.
Del resto negli anni in cui dominavano prima Evert e Navratilova e poi Steffi Graf c’erano autorevoli osservatori che sostenevano che il fatto che vincessero sempre le stesse protagoniste era la dimostrazione che il movimento fosse debole, al contrario di quello maschile: “Tra gli uomini sì che la concorrenza è seria, tanto è vero che tutti possono perdere con tutti, fin dai primi turni”.
Poi, è arrivata l’epoca di Federer e Nadal e allora la questione è stata rovesciata: “Tra gli uomini sì che ci sono veri campioni, che arrivano sempre in fondo e si spartiscono gli Slam; non come tra le donne in cui tutte possono perdere con tutte fin dai primi turni”.
Di fronte a questo modo di argomentare, si capisce che si esce sempre perdenti; tanto che viene la voglia di ragionare in termini meno fintamente razionali e, almeno ogni tanto, lasciarsi andare al punto di vista più spontaneo dello spettatore. Vale a dire: le partite che vediamo sono divertenti? Ci piacciono? Sono all’altezza o no?
Per questa settimana la mia risposta è sì, e lo dico sull’onda dell’euforia che il match tra Radwanska e Vinci mi ha trasmesso. E che ha trasmesso non solo a me, ma anche ai tanti fortunati che lo hanno seguito, incluso colleghe come Kristina Mladenovic, che lo ha reso noto con un tweet pieno di entusiasmo; la stessa Radwanska nell’intervista a bordo campo è sembrata consapevole di essere stata protagonista di qualcosa degno di essere ricordato.
101 punti conclusi a rete su 171 totali, una saldo tra vincenti e errori non forzati molto positivo per entrambe: Vinci +16 (36-20) Radwanska +13 (40-27). E poi alcuni scambi che parevano da esibizione, che quasi si stentava a credere si potessero vedere in un incontro di torneo ufficiale.
A fine match mi sono sorpreso a pensare a un dato: è vero che tutte e due sono scese moltissimo a rete (52 Vinci, 49 Radwanska), ma Aga ha fatto ricorso alcune volte anche al serve&volley; e, se non sbaglio, sempre con successo. Per cui, senza pretendere di trasformarlo nella chiave del match, si potrebbe dire che in un incontro in cui l’equilibrio è stato estremo (87 punti a 84 a favore di Radwanska il saldo complessivo) anche un elemento del genere ha contribuito a fare la differenza. Beh, che il serve&volley potesse diventare una possibile discriminante tra vittoria e sconfitta è stato un altro pensiero che mi ha messo di buon umore.
Una volta indossati gli occhiali rosa dell’ottimismo, mi sono sentito un po’ come Tonino Guerra nello spot di qualche anno fa, e nella settimana tra Doha e Acapulco ho trovato altri segnali incoraggianti.
Il primo è banale: in finale a Doha è arrivata una diciottenne come Jelena Ostapenko; tutto sommato rimane sempre un buon segno per il futuro del movimento quando una giovanissima fa strada in un torneo importante. Senza con questo eccedere in trionfalismi, anche perché Ostapenko mi pare una giocatrice con alcuni punti forti (la capacità di far viaggiare la palla a velocità superiori), ma anche con ancora diversi punti deboli (bagaglio tecnico incompleto, scelte tattiche da affinare). Ma in fondo anche i punti deboli si possono interpretare come possibili spazi di crescita per le prossime stagioni.
Il secondo segnale positivo è che ad Acapulco ha vinto una finale lottatissima una giocatrice dall’indubbio talento come Sloane Stephens. Considero Stephens una delle tenniste in assoluto più complete sul piano tecnico (forse, tra le giovani, la più completa di tutte), con enormi potenzialità. Potenzialità però solo parzialmente espresse, visto che in passato ha spesso dato prova di non eccellere nella applicazione costante al tennis, e nella voglia di soffrire in campo. Il fatto che sia riuscita a prevalere dopo oltre tre ore di battaglia contro una giocatrice grintosissima come Dominika Cibulkova mi pare un passo in avanti nel processo di maturazione di una giocatrice che potrebbe divertici ancora con grandi prestazioni nelle prossime stagioni.
Il terzo segnale positivo, sembrerà strano, l’ho ricavato da una sconfitta: mi riferisco a quella subita a Doha da Muguruza contro Petkovic. Un altro bel match, in cui ad un certo punto la regia ha proposto uno schema delle zone di campo utilizzate dalle due giocatrici: Petkovic costantemente ancorata alla riga di fondo, Muguruza frequentemente in movimento sulla verticale, alla ricerca della rete. Certo, Garbiñe ha perso, ma il fatto che non rinunci alle proiezioni in avanti pur essendo in una fase in cui è ancora molto deficitaria nei colpi di volo, la considero una scelta lungimirante: è una scommessa su se stessa, sicuramente fatta in accordo con il coach; un investimento sulle proprie capacità di crescita in un ambito del gioco che probabilmente in questa fase non sempre le converrebbe affrontare, ma che se adeguatamente migliorato potrebbe renderla una giocatrice più forte nei prossimi anni. E anche una tennista più divertente per noi spettatori.
Prima di chiudere, un ultimo dato positivo per il quale devo ringraziare Alex Irene che lo ha evidenziato in un suo post di commento ad un articolo: in questo momento tra le prime dieci tenniste del mondo ce ne sono due con il rovescio a una mano (Roberta Vinci e Carla Suarez Navarro). Se non sbaglio, non accadeva da quasi dieci anni (settembre 2007, con Henin numero 1 e Mauresmo 10).
Fino a un anno fa su un’eventualità del genere nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato; eppure è successo. Si potrebbe ribattere che Vinci ha ormai 33 anni, ed è vicina al ritiro: ma intanto, a sorpresa, è emersa una giovane come Margarita Gasparyan, che sta scalando il ranking con un ottimo rovescio ad una mano.
Personalmente non considero il rovescio ad una mano migliore o più bello rispetto a quello a due mani; ma penso sia importante per la qualità dello spettacolo la varietà di stili, la presenza di un ventaglio di giocatrici con caratteristiche differenti; in questo senso diventa positivo il fatto che ci siano contemporaneamente monomani e bimani ai vertici del ranking.
Troppo ottimismo? Almeno per questa settimana la vedo così. E per questo voglio ringraziare ancora Roberta Vinci e Agnieszka Radwanska.
https://vimeo.com/158824936