Mi accingo a scrivere di un argomento scomodo, quello che è costato il posto di direttore del torneo di Indian Wells all’improvvido Ray Moore, il sudafricano hippy, con una selva di capelli in testa e la bandana quando ancora non si usava, il quale sorprendendo in 4 set un assai distratto Adriano Panatta all’Ellis Park di Johannesburg nella semifinale di Coppa Davis ’74 tolse all’Italia quella che sarebbe stata la nostra prima sicura Davis trionfale. (Il Sud Africa la vinse senza disputare la finale contro l’India che si rifiutò di giocare contro il Sud Africa per via della sua politica di apartheid segregazionista. L’Italia contro l’India avrebbe certamente vinto). È scomodo perché prendere una posizione significa scontentare una buona parte dei lettori. Resta tuttavia doveroso. Pur sapendo che molti contesteranno le mie posizioni.
Osservo per prima cosa che recenti episodi accaduti anche in casa nostra, quelli che oggi hanno spinto un collega a scrivere “ognuno ha i suoi Tavecchio, un po’ di revanscismo economico non lo si nega a nessuno” spingono forse a fare di ogni erba un fascio, ma anche a ripetere la fatidica frase dantesca: “Un bel tacer non fu mai scritto”. Forse quando si raggiunge un’età un po’ veneranda, e i 69 anni di Ray Moore, nato il 24 agosto 1946, sono 3 anni meno di quelli di Carlo Tavecchio (il presidente della Federcalcio che al di fuori del mondo calcio sarebbe stato da tutti ignorato se non avesse fatto la famosa gaffe delle banane: “Opti Pobà prima mangiava le banane e oggi gioca nella Lazio”), ci si dimentica del proprio ruolo, si ritiene di poter dire anche cose “politically incorrect”, non si filtra come si dovrebbe – e forse non si ritiene di dover filtrare più – i propri pensieri. E si dà via libera alla lingua senza riflettere sulle possibili conseguenze delle proprie parole. Prescindiamo, per un momento… abbiate pazienza, dal giudizio sulla opinione manifestata da questo ex tennista n.34 ATP che ha giocato dal ’67 all’83 vincendo 8 tornei di doppio. Il giudizio sulla sostanza lo esprimo più tardi, più giù. Non c’è dubbio che sia stata un’uscita infelice e inopportuna, di cui infatti Ray Moore si è subito pentito. Ma troppo tardi per salvare il suo posto di lavoro mantenuto da decenni. Una perdita che con tutto quel che ha guadagnato prima da tennista, poi da presidente ATP, poi da dirigente, non gli farà perdere il sonno. Spero solo che in futuro non negheranno l’accredito stampa al nostro inviato Vanni Gibertini che per l’appunto è stato proprio colui che con la sua domanda ha provocato quella risposta che ha fatto il giro del mondo, facendo infuriare tutte le tenniste del globo terracqueo, le ex, le contemporanee e – giurerei – anche quelle che… stanno per irrompere nelle zone alte del ranking WTA. Con la sua connaturale modestia Vanni non si è vantato del suo scoop, come avrebbe potuto fare immediatamente sul nostro Twitter e come si è approfittato invece l’astuto Ben Rothenberg del New York Times.
Inopportuna perché il direttore di un torneo “misto”, o combined che dir si voglia, esprimendosi a quel modo ha suscitato le loro inevitabili e prevedibili (ma da lui evidentemente non previste…) reazioni. E Martina Navratilova, assai sensibile e schierata su questo genere di argomenti, ha scaricato il suo “de profundis”, pesante una tonnellata: “Sarà dura immaginare una qualsiasi tennista che vada a giocare a Indian Wells se Moore resta direttore del torneo”. Zac, è come se Martina gli avesse tagliato la testa, ormai senza più tutti quei capelli che lo avevano accompagnato lungo tutta la sua carriera di apprezzato tennista con vittorie su Roscoe Tanner, Ilie Nastase, Cliff Drysdale, Dennis Ralston, Brian Gottfried, Adriano Panatta, quarti a Wimbledon e US Open, ottavi a Parigi, terzo turno in Australia. Difatti fra le scuse e le dimissioni di Ray Moore, subito accettate al volo (o richieste?) da Larry Ellison è intercorso un battibaleno.
Ci sono più frasi “incriminate” di Moore, ma la più “irritante” per il gentil sesso è stata “If I was a lady player I’d go down every night on my knees and thank God that Roger Federer and Rafa Nadal were born, because they have carried this sport”. Ormai non ha più bisogno di traduzione. Se Moore, l’ex presidente dell’ATP (1983-1985) e per innumerevoli anni membro del Board ATP, avesse detto che tutti i tennisti dell’ultimo decennio, uomini e donne, avrebbero dovuto “inginocchiarsi e ringraziare Dio perché Roger Federer e Rafa Nadal sono nati, perché hanno tenuto su (trascinato) questo sport”, nessuno avrebbe eccepito alcunché.
Il guaio per Moore, che invece era stato anche più esplicito nel dire “vorrei avere un qualche ruolo nella WTA… viaggia nella scia del tennis maschile, non prende alcuna decisione” è stato che non si è fermato lì. A parte il fatto che il nuovo CEO della WTA è per l’appunto l’ex direttore del torneo di Indian Wells (2004-2015) Steve Simon, il che ha fatto pensare che Ray si sia voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa nei confronti dello stesso Simon, cui è succeduto, Moore – non evidentemente consapevole della fossa che si stava scavando – non contento ha poi accennato alla “attractiveness” di alcune tenniste (Muguruza e Bouchard) per sottolineare come presso sponsor e spettatori l’appeal di alcune giocatrici non fosse basato soltanto sul loro aspetto tecnico ma anche sull’altro aspetto…quello estetico. Al di là del sostantivo improprio usato, sospetto che l’apprezzamento… alle tenniste meno belle non sia piaciuta tanto…sebbene ci siano stati anni in cui è stata proprio la WTA a puntare tantissimo sull’attraenza, l’eleganza e perfino il make-up delle sue top-star: si pensi ai WTA-Calendars, alle foto pubblicate perfino sul WTA Media-Guide ancora oggi denso di minifotografie con tenniste supertruccate e direi quasi improbabili. Insomma Moore, padronissimo di pensarla a quel modo, non doveva dire però quelle cose per via del suo ruolo, principalmente per il suo ruolo. Anche se le pensava…
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