“La terra è la mia superficie. Ho le mie chances”.
Le dichiarazioni di Damir Dzumhur prima del match degli ottavi di finale del torneo di Montecarlo contro Milos Raonic avevano lasciato un po’ perplessi molti addetti ai lavori. La sua convinzione di giocarsela contro il n. 12 (oggi n. 11) del mondo appariva sorprendente, dato che solo un paio di settimane prima il canadese lo aveva superato nettamente, con il punteggio di 6-0 6-3, negli ottavi di finale del Masters 1000 di Miami. Torneo, quello americano, di cui Dzumhur era stata comunque una delle grandi sorprese, dato che fino allo scorso anno non aveva mai superato un turno in un “1000” e sul cemento della Florida ne ha aveva addirittura superati tre. Ma soprattutto perché si era regalato al primo turno la prima vittoria su un top 10, Rafael Nadal.
Invece il giocatore di Sarajevo non stava esagerando.
La sua era, semplicemente, reale consapevolezza dei suoi mezzi.
E dopo la vittoria contro Berdych in tre set nel turno precedente, c’è mancato veramente poco che nel torneo monegasco arrivasse anche la terza vittoria contro un top ten: solo aggrappandosi al suo servizio Milos Raonic è riuscito ad avere la meglio, alla fine di una battaglia terminata 7-6 al terzo.
Ma cosa c’è dietro al salto di qualità di Damir Dzumhur?
Cosa c’è dietro questa sua notevole fiducia nelle sue possibilità?
Come ha spiegato lui stesso nell’intervista rilasciata in esclusiva ad Ubitennis a Montecarlo, tutto parte da una grossa decisione presa nel dicembre scorso: quella di spostare la sua base di allenamento da Sarajevo a Belgrado per affidarsi ad uno staff tutto serbo (a parte papà Nerfid, che ha il ruolo di aiuto-allenatore). Staff di cui fanno parte l’allenatore Marko Subotic, il preparatore Zlatko Novakovic (che fino a metà 2015 ha lavorato con Ana Ivanovic) e la mental coach Vesna Danilovic.
“Sarajevo è la città dove ogni volta non vedo l’ora di tornare, ma le condizioni per la mia crescita come atleta non sono quelle che mi offre Belgrado” aveva dichiarato poco tempo fa il n. 1 del tennis bosniaco, per spiegare la sua decisione di allenarsi lontano dalla città dove è nato.
E a Belgrado in questi mesi Damir ha lavorato tanto. Lavoro che a partire da Miami sta dando i suoi frutti anche in termini di risultati, dopo un paio di mesi di fisiologico adattamento nell’applicare sul campo tutto quello che è stato preparato in allenamento.
Tanto lavoro fisico e tecnico, ma anche tanto lavoro mentale, che spesso è quello che permette di fare il definitivo salto di qualità ad un atleta.
“Da quando a dicembre è iniziata la nostra collaborazione, ha migliorato la precisione, ha rafforzato la fiducia in se stesso e la concentrazione. La differenza è evidente. Abbiamo lavorato sul perfezionare tutti questi aspetti ed ora è mentalmente più forte” ha dichiarato Vesna Danilovac, la mental coach di Belgrado che fa parte del team dell’attuale n. 82 del mondo. La dottoressa Danilovac lavora da vent’anni nel campo del coaching, in ambito sportivo ha collaborato con diversi giocatori di basket serbi che militano nell’NBA, con molti calciatori delle due principali squadre di Belgrado e della Serbia, il Partizan e la Stella Rossa, e con altri sportivi serbi di alto livello.
La coach serba ha voluto sottolineare il fatto che il lavoro sull’aspetto mentale è stato sempre inserito all’interno del complessivo programma di lavoro del tennista bosniaco.
“Tutto il lavoro che facciamo assieme è in accordo con il suo allenatore, alcune sessioni di coaching le abbiamo fatte direttamente sul campo di gioco” ha spiegato a Danilovac, intervistata dal quotidiano serbo Vecernje Novosti proprio dopo la vittoria di Dmuzhur su Rafa Nadal a Miami.
“Si è reso protagonista di una vera sorpresa. Ci siamo sentiti poco prima del match e abbiamo lavorato, ovviamente per quanto era possibile data la distanza. In futuro è probabile che lo segua anche nei tornei. Abbiamo fatto una pausa nelle nostre sessioni di coaching, quando tornerà a Belgrado riprenderemo il lavoro”.
In ambito tennistico la dott.ssa Danilovac ha lavorato anche con Viktor Troicki, quando il tennista serbo rientrò nel circuito dalla squalifica e riuscì rapidamente a scalare la classifica ATP, tornando al livelli pre-squalifica.
“Non posso fare un confronto tra loro, perché con ogni atleta lavoro in modo diverso, ogni persona è una storia a sé” è stata la risposta della coach alla domanda su un confronto tra il belgradese e il tennista di Sarajevo. La Danilovac nel corso dell’intervista non ha confermato le dichiarazioni di Dzumhur relativamente al fatto di aver collaborato anche con Djokovic e Tipsarevic. Il che non vuol dire che il giocatore di Sarajevo – questa settimana impegnato nel torneo di Bucarest – abbia esagerato con il curriculum della sua coach: molte volte per ragioni di riservatezza i mental coach non possono dire quali sono gli atleti con cui hanno collaborato.
“Sono sicura che Damir può arrivare tra i primi venti giocatori del mondo, dipende tutto da lui” ha concluso la Danilovic. Una giusta sottolineatura, perché il lavoro di un mental coach è quello di consentire ad un atleta di accedere a tutto il suo potenziale, a tutto il suo talento.
Poi dipenderà da lui.
Dzumhur pare l’abbia capito…