Oggi vorrei affrontare un tema su cui riflettevo da un po’ di tempo, ma che forse non avrei deciso di trattare se qualche settimana fa non avessi letto il parere di Andy, lettore di Ubitennis, nel commento a un articolo che si occupava della partita di Doha tra Vinci e Radwanska. Ecco le sue parole:
“(…) Venendo all’aspetto tecnico, mi chiedo se non esistano dei corsi e ricorsi storici anche nel tennis. In passato il gioco di rete era normale, poi gradualmente ci si è spostati verso un tennis giocato da fondocampo con scambi lunghi e colpi potenti. Ora, però, mi pare di vedere un timido ritorno al gioco di rete.
Non solo Vinci e Radwanska, ma anche giocatrici da cui non ce lo si aspetterebbe. Penso appunto a Muguruza (che tu hai citato), ad Azarenka, persino alle Williams, che in passato a rete ci giocavano e che poi hanno smesso di farlo, ma che recentemente sembra siano tornate a proiettarsi in avanti con maggiore frequenza. Insomma, forse, lentamente, qualcosa nell’impostazione tattica di alcune giocatrici sta cambiando. Forse si sta capendo che al sempre più sfiancante gioco da fondocampo può essere utile aggiungere delle varianti, anche per accorciare gli scambi e preservarsi fisicamente. E forse, ma è una considerazione personale, la storica e sorprendente vittoria di Roberta contro Serena agli USO ha aperto nuove prospettive a tante giocatrici e a tanti coach”.
Considero Andy molto attento e competente, e il fatto che abbia espresso con tanta chiarezza un ragionamento che anch’io negli ultimi mesi avevo cominciato a sviluppare mi ha rafforzato nella convinzione che forse qualcosa sta davvero cambiando. Imposterei la questione su due interrogativi.
1. Fra le donne sta tornando il gioco di volo?
2. E se sì, perché?
Comincio dalla prima domanda. Sostenere che fra le giocatrici, tutte le giocatrici della WTA, stia tornando il gioco di volo mi sembra eccessivo, però rispetto ad alcune stagioni fa secondo me alcuni segnali ci sono; quantomeno per le tenniste di vertice. Magari per ragioni differenti e del tutto personali: ma a volte anche le scelte personali possono fare tendenza se diventano numericamente consistenti.
Cito qualche nome: fra le top ten, rispetto agli inizi delle loro carriere, secondo me cercano la rete più spesso Radwanska, Azarenka, Kvitova, e tendono a muoversi con maggior frequenza in verticale anche altre giocatrici che sono state di recente tra le prime dieci, come Pliskova o Petkovic.
E sono d’accordo con quanto sostiene Andy anche riguardo a Serena e Venus: spesso proiettate in avanti nei primi anni di circuito, avevano progressivamente ridotto le incursioni in favore di un tennis prevalentemente da fondo campo. Ma nell’ultimo periodo sembra stiano tornando ad affacciarsi a rete, anche se a volte pagano con qualche errore di troppo rispetto al passato la desuetudine nei confronti del tennis offensivo.
Radwanska e Kvitova hanno incominciato a introdurre nel loro gioco addirittura il serve&volley, e un’altra giocatrice che aveva fatto ricorso a questa opzione nella fase della maturità era stata Li Na, da quando aveva cominciato la collaborazione con il suo ultimo coach, Carlos Rodriguez (dal 2012 in poi).
Come dicevo prima, il post di Andy aveva preso spunto dal match tra Vinci e Radwanska che aveva fatto registrare centouno discese a rete. Un numero altissimo, ma ancora comprensibile viste le protagoniste coinvolte; per questo sono forse più interessanti altri dati. Ne segnalo due: le trentadue discese a rete di Serena nella finale di Melbourne 2016 contro Kerber e le sessantuno di Kvitova nella recentissima partita contro Niculescu a Stoccarda.
E qui si passa alla seconda domanda sul tema: perché?
Credo che le ragioni siano diverse. Per Williams e Kvitova la scelta tattica è probabilmente figlia soprattutto di esigenze fisiche: due giocatrici di attacco con qualche limite nella resistenza, che di fronte a tenacissime “retriever” come Kerber e Niculescu hanno provato ad abbreviare gli scambi per evitare di farsi sfiancare. Che una abbia vinto (Petra, ma dopo aver dovuto fronteggiare tre match point) e l’altra perso (Serena in Australia), agli effetti del ragionamento conta poco; conta invece che abbiano fatto ricorso a soluzioni che forse tre-quattro anni fa non avrebbero utilizzato con tanta frequenza.
Per Radwanska la scelta tattica deriva invece da motivazioni soprattutto tecniche: di fronte a una giocatrice come Vinci, naturalmente abituata a proiettarsi in avanti, Aga aveva deciso di costringerla a giocare il più possibile il passante (in particolare di rovescio), che evidentemente riteneva un aspetto meno sicuro del gioco di Roberta.
Ma forse la motivazione più interessante è quella che si può collegare a giocatrici come Azarenka o Muguruza. Fin qui non ho parlato di Garbiñe, perché per lei la proiezione in avanti non significa un cambiamento rispetto al passato, quanto una condizione stabile, seppur latente, del suo gioco. In ogni caso: entrambe sono giocatrici che tendono a costruire il proprio tennis a partire da un palleggio da fondo in cui la pressione costante e la pesantezza di palla producono vantaggi innanzitutto sotto forma di traiettorie meno profonde da parte dell’avversaria. E quando l’avversaria accorcia uno dei modi più logici per consolidare il vantaggio è appunto quello di toglierle definitivamente il tempo e prendere la rete.
Si dirà che il gioco di pressione da fondo campo non è certo una novità delle ultime stagioni; ma se ad esempio lo confrontiamo con quello di dieci-quindici anni fa, secondo me una differenza c’è: la posizione sempre più aggressiva assunta nella conduzione dello scambio.
Fin dai primi colpi il palleggio è impostato con i piedi attaccati alla linea di fondo (colpendo quasi sistematicamente di controbalzo); quando l’avversaria accorcia, se si vuole continuare a mantenere la stessa aggressività ci si trova per forza di cose dentro il campo, alla soglia della terra di nessuno; per evitare questa condizione pericolosa, o si arretra, perdendo una parte del vantaggio acquisito e colpendo in ricaduta la palla, oppure la si aggredisce proiettandosi in avanti. Fino alla rete.
Ecco perché per giocatrici che praticano un tennis del tutto contemporaneo come Muguruza la ricerca della rete può diventare la più logica conclusione del modo di impostare il proprio tennis da fondo campo. Non c’è più l’attacco classico, ma un progressivo spostamento del baricentro del gioco sino a un punto (la terra di nessuno) che richiede una decisione: o l’arretramento o l’avanzamento. E se il principio fondamentale di questo tipo di tennis è quello dell’aggressività, allora appare più coerente la scelta del passo avanti rispetto a quella del passo indietro.
Le ragioni per decidere di prendere la rete possono quindi essere differenti, ma il problema che ciascuna giocatrice deve affrontare una volta che ha deciso di non far rimbalzare la palla è sempre lo stesso: la capacità tecnica nel colpire di volo. E tra le giocatrici che ho citato le capacità nel colpire sono di livelli differenti.
Dovessi trovare una linea comune per valutare le qualità di volleatrice delle tenniste attuali direi che mediamente la capacità tende a scendere con l’età: più si è giovani e meno si sa stare a rete. E questo non tanto perché le più anziane hanno esercitato i colpi per più tempo, quanto perché probabilmente da ragazzine hanno dedicato più cura a questo aspetto del gioco. Non è difficile immaginarsi che le trentenni nate negli anni ’80 abbiano avuto insegnanti che le hanno impostate a partire da una cultura in cui il tennis “classico” di attacco era più importante; una cultura rafforzata dai modelli di successo dell’epoca, tra cui si potevano citare, fra i tanti, protagonisti come Edberg o Navratilova che con il serve&volley vincevano Wimbledon. Mentre chi è nata negli anni ’90, da bambina avrà visto vincere i Championships da Lleyton Hewitt contro Nalbandian, in pratica senza che le voleè fossero contemplate. Un simbolo dell’evoluzione in corso.
Ma penso ci siano anche questioni più strettamente tecniche: l’affermarsi del rovescio a due mani (che nelle donne è diventato quasi la regola) e delle impugnature più chiuse per aumentare il topspin; due aspetti che hanno reso l’esecuzione delle volèe meno naturali rispetto a chi, ad esempio, utilizzava il rovescio monomane e il dritto con impugnature eastern o addirittura continental.
Non credo quindi che le giocatrici di oggi rispetto a quelle del passato appaiano a rete più goffe per minor talento, quanto piuttosto per poca abitudine, inferiore cura nella formazione e maggiore ostacoli tecnici nell’esecuzione.
Per questo tra le nuove leve, a fronte di una Sloane Stephens che dimostra di conoscere piuttosto bene i fondamentali di volo, ci sono diverse giocatrici (come ad esempio Muguruza e Bouchard) che soffrono tremendamente nell’eseguire correttamente le volèe classiche: hanno problemi di impugnatura e tentennano quando devono staccare la mano dalla parte del rovescio. Anche per questo molte tenniste preferiscono affidarsi agli schiaffi al volo (che non sono affatto colpi facili) rispetto alle volèe vere e proprie.
Alle difficoltà tecniche, si devono aggiungere due ulteriori problemi: la accresciuta velocità della palla nello scambio, che rende la fase di transizione in avanti più difficile e rischiosa; e la maggior facilità con cui si possono eseguire i passanti con le racchette di oggi.
In sintesi: se da una parte ci sono buoni motivi che incentivano l’avanzamento e la chiusura dello scambio a rete, non mancano oggettive controindicazioni. Per questo credo sia più ragionevole aspettare ancora per valutare se nella WTA si consolideranno i timidi di segnali di inversione di tendenza degli ultimi tempi. Di sicuro, come spettatore, me lo auguro.