Nastase: “I bad boys come Kyrgios un bene per il tennis, ma prima devono vincere qualche Slam!”
Dal nostro inviato a Nizza
Sei tornato qui a Nizza per difendere il tuo primo titolo ATP in carriera. Quanto è cambiato da quel giorno di un anno fa?
DOMINIC THIEM: La mia vita non è cambiata, non così tanto. Avevo inseguito quel primo titolo con tutto me stesso, ero incredibilmente felice. Tutta la mia famiglia era volata fin qui per la finale, che fu molto lunga e combattuta, quindi fu una sensazione davvero bella. Rimarrà per sempre il primo titolo, non è qualcosa che accadrà una seconda volta.
Parlando di titoli ATP, quest’anno giocherai ancora molti 250. In molti si domandano perché tu non ti stia già concentrando su Masters 1000 e Slam, essendo già top 20. Stai cercando di difendere punti? Con che criterio hai programmato la stagione?
THIEM: Il calendario è molto serrato quest’anno, due dei tre titoli che ho vinto lo scorso anno e la semifinale di Kitzbuhel si terranno nella stessa settimana quindi non potrò difenderli tutti. Quindi sto cercando un pochino di fare punti adesso, così non sarà troppo traumatico quando cadranno, e inoltre…
GUNTER BRESNIK: Quando scadranno. I punti scadono, non cadono.
THIEM: (Sorride e annuisce.) Quando scadranno. Inoltre se i tornei sono in Europa fisicamente non è un problema. Il problema principale per un tennista è il jet lag, sono i lunghi viaggi, mentre all’interno dell’Europa si tratta al massimo di voli di due ore.
Eppure quest’anno il lungo viaggiare non ti ha impedito di vincere il tuo primo ATP 500, in Messico, che è stato anche il tuo primo titolo lontano dalla terra battuta.
THIEM: Sì, certo. Però avevo giocato lì per cinque o sei settimane di fila. Se ci fossero stati tre o quattro fusi orari di differenza, e voli aerei molto lunghi, sarebbe stato un problema. In Sud America è andata proprio bene, mi piace giocare lì, inoltre sono stato davvero contento di vincere un titolo su una superficie differente.
BRESNIK: Spiega bene le ragioni: sei top 20, il tuo ranking è così alto perché hai giocato e giochi ancora i 250. Non pianifichiamo la stagione settimana per settimana, pianifichiamo due o tre mesi in anticipo. Alcuni tornei li abbiamo programmati addirittura dallo scorso anno, come Monaco o Nizza. Non cambiamo i nostri piani in base al ranking.
Quindi non sei pentito del modo in cui hai pianificato la stagione?
THIEM: No, per nulla.
Parlavamo del Messico. Sei convinto davvero di poter essere competitivo su ogni superficie? Forse il tuo stile di gioco rende più difficile vincere sull’erba, perché la palla viaggia più veloce mentre tu hai bisogno di un istante in più per preparare i tuoi colpi.
THIEM: È vero. Però penso di poter ottenere vittorie su ogni superficie. La ragione per cui vado così bene sulla terra battuta è che mi sono allenato quasi soltanto su quel tipo di terreno quando ero ragazzo, indoor e outdoor, quindi penso sia normale che sia la mia superficie preferita. Però ho fatto bene anche sul cemento, e la scorsa stagione su erba è stata migliore di quella precedente. Se mi allenassi e giocassi più spesso su erba, di sicuro potrei fare risultati anche lì. Non è questione di colpi, è soltanto questione di esperienza e ore di allenamento.
Ultima domanda sui tornei. Sei nell’entry list di Los Cabos, che si giocherà nella stessa settimana del torneo olimpico. Non andrai alle Olimpiadi, quindi. Come mai?
THIEM: Ci sono due ragioni. Di sicuro una è che non assegnano punti ATP. L’altra è che per me il tennis, nelle Olimpiadi, non conta davvero: le Olimpiadi sono atletica, nuoto… Il tennis, quattro volte ogni anno, ha tutti i media attorno. Sono giovane, in ogni caso, potrei giocare ancora due Olimpiadi. Per il momento di sicuro non è la mia priorità principale.
BRESNIK: Bisognerebbe piuttosto chiedere a quei pochi che ci vanno perché lo fanno.
A vederti mentre ti alleni da vicino, rispetto a molti tuoi colleghi, è impressionante la forza che metti nel colpire la palla, e il numero di volte che ripeti i colpi. Fa pensare a una frase che disse il padre di Andre Agassi: “Se colpisci 2.500 palle al giorno, cioè 17.500 la settimana, colpirai un milione di palle l’anno, e chi colpisce un milione di palle l’anno non può essere battuto”. Questo è lo spirito col quale ti alleni? Vuoi raggiungere il tuo massimo, il tuo limite fisico?
THIEM: È l’unica via. Non c’è altra via se non allenarsi. La citazione dice il vero: colui che colpisce più palle, che si allena più a lungo, che si allena più duramente finirà per giocare meglio. È sicuro al 100%.
Anche Alexander Zverev ha scherzato su quante ore passi ad allenarti. Sembri avere un buon rapporto con lui.
THIEM: (Si ferma un istante e poi ride.) Un rapporto molto buono. Stessa lingua, che è molto importante. Stessa mentalità, austriaca e tedesca. Ma penso che si alleni un bel po’ anche lui, anche se mi prende in giro. Forse non lo dà a vedere così tanto.
Negli allenamenti cerchi di aggiungere qualche colpo nuovo, o ti limiti a perfezionare quelli che già senti come tuoi?
THIEM: Penso di star esercitando tutti i colpi. Certo, è importante rafforzare le armi migliori, ma anche i colpi che non mi capita spesso di giocare, come le volée, li esercitiamo. Oh, già, già, poi ho cambiato un poco il servizio, per ottenere percentuali migliori.
Un mese e mezzo fa hai giocato nel giro di pochi giorni contro Djokovic e contro Nadal. Hai avuto una trentina di palle break e ne hai convertite soltanto due.
BRESNIK: (Fingendosi severo.) No. Ne ha convertita una sola. Anzi, gliel’ha convertita Djokovic da solo.
Pensi di non essere ancora in grado di alzare il tuo livello di gioco nei momenti cruciali di un match, come fanno loro?
THIEM: Contro Djokovic di sicuro ci sono state delle stupidate da parte mia sulle palle break. Ma contro Nadal, lui ha giocato davvero bene. C’è una ragione per la quale sono così bravi. Contro di loro è più difficile convertire le palle break, ma a quelle palle break ci sono arrivato. Mi sono procurato molte opportunità, quindi è soltanto questione di tempo prima che io riesca anche a concretizzarle. Non ne convertirò soltanto una su trenta ogni volta.
Pochi giorni fa hai rilasciato un’intervista in cui trasmetti la tua gioia per star facendo quello che è il lavoro dei tuoi sogni: giocare a tennis, girando il mondo. C’è qualcosa, però, che non ti piace? Puoi anche rispondere “questa intervista”.
THIEM: (Ride.) No, questa intervista mi piace, ovviamente. L’unica cosa brutta, ed è una cosa molto brutta, è perdere. È l’unica brutta cosa. (Ride.) C’è una sensazione molto speciale, bella, dopo ogni vittoria, e una sensazione molto speciale, brutta, dopo ogni sconfitta. Ogni match è molto emozionante, sono emozioni che non sperimenti in una vita da ragazzo normale. Se vinci è molto bello, ma se perdi puoi avere sensazioni davvero spiacevoli.
Soltanto questo, quindi? Non la distanza da casa, non le domande sempre uguali della stampa…
THIEM: È dura soltanto dopo aver perso. A volte è bello stare a casa, ma non mi manca mai. Mi è sempre piaciuto viaggiare, non è un gran problema per me. L’unica cosa che non mi piace del tennis, sì, è perdere.
Che è la ragione per cui ti alleni così duramente.
THIEM: (Ride.) Sì. Ma nel tennis non vincerai mai tutto. E anche se sei il numero uno perderai, un paio di volte a stagione.
L’ultima domanda non è una domanda. Se tu dovessi intervistare Dominic Thiem, cosa gli chiederesti?
THIEM: (Si concentra e si mette a pensare, rimanendo in silenzio per un paio di minuti.)
Ti ho messo in una situazione difficile, eh? Tic toc.
THIEM: Già. Mi tocca pensare un poco. (Si concentra di nuovo.)
Puoi saltarla, se vuoi.
THIEM: (Pensa ancora qualche istante.) Sì, penso che la salterò. Non sono bravo con le domande, ne ho sentite tantissime ma quasi nessuna davvero buona. Sono più bravo con le risposte. (Sorride.)