Nadal, il leone non molla: “E’ l’Olimpiade, io triplico” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Uno e trino. Come si addice a chi è abituato al paradiso. E, soprattutto, con un amore appassionato per l’Olimpiade. Rafa Nadal, che non tocca il campo dal 2° turno del Roland Garros a fine maggio (si ritirò prima di giocare la 3a partita) e, interpretando le sue parole, mica è ancora guarito dal fastidio al polso sinistro, a Rio dispenserà il suo talento magari ammaccato ma sempre abbagliante in ben tre specialità: il singolare, il doppio (con l’amico Marc Lopez) e il doppio misto (con la numero 4 del mondo Muguruza, vincitrice a Parigi). Un surplus di eccitazione, ma anche di fatica, spiegato da lui stesso con lo spirito dello sportivo a tutto tondo e con una vena di romanticismo: «Non c’è dubbio che le mie condizioni non siano ideali, e se non fossero le Olimpiadi, non avrei preso rischi».
Così, mentre molti hanno disertato aggrappandosi a presunti problemi fisici o al pericolo della Zika, Nadal onorerà al massimo della sua incerta tenuta fisica attuale il ruolo di portabandiera della Spagna, da cui fu costretto ad abdicare a Londra 2012 sempre per un infortunio (ma allora era il ginocchio, e stavolta niente glielo avrebbe comunque impedito, perché nel frattempo è stato nominato dal Cio Leggenda dello Sport). La decisione è maturata dopo che finalmente, tra lunedì e martedì, è riuscito a sostenere sei ore di preparazione tecnica con buona intensità e senza il bendaggio rigido: «E’ stato il miglior allenamento degli ultimi due mesi, e il polso ha risposto bene. E’ stata una buona notizia e per questo abbiamo deciso di giocare». Il plurale non è un vezzo: la scelta è stata presa consultando lo zio Toni ma anche Conchita Martinez, che in qualità di capitana di Davis a Rio guida la squadra spagnola e il medico di fiducia Cotorro.
Rafa ci sarà, dunque, e incrocerà la spada traballante con Djokovic e Murray. Solo i coraggiosi, del resto, non temono la sfida. Alla Martinez non servono giri di parole per esaltare Io spirito del maiorchino: «Si trattava di capire se poteva sostenere allenamenti con continuità e quindi la decisione alla fine è stata anche facile. E’ ovvio che gli manca il ritmo partita, ma sappiamo quanto sia competitivo e quanto sia grande la sua voglia di vincere». Nadal ha già un oro olimpico in bacheca, quello in singolare del 2008 a Pechino, e stavolta intravede altre prospettive (…)
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La gloria non basta, il tennis dei Giochi tradito dalle star (Gianni Clerici, La Repubblica)
L’altra sera ho partecipato a Crema a una riunione pubblica, in cui non ho saputo rispondere a due domande «Perché tanti tennisti non vanno alle Olimpiadi?», e «Perché Nole Djokovic si è così arrabbiato di questa decisone, e se ne è pubblicamente lamentato. Riflettendo sui due fatti, sono andato a vedere le notizie, e mi sono reso conto della deciso ne di Federer, Thiem, Goffin, Bagdhatis, Anderson, Kyrgios, Cibulkova, Isner, Gulbis, Lopez, Wawrinka e addirittura dei Fratelli Bryan, medaglia d’oro nel doppio alle ultime Olimpiadi. E mi sono detto anch’io: «Come mai tutta questa gente non si sente onorata, o rimborsata, per andare alle Olimpiadi?. Le rispose saranno certamente diverse, per ognuno dei volontari assenti. Ricordo che il tennis non era ancora ben conosciuto, alla fine del 1400, nei paesi mediterranei che per primi lo praticarono, e ufficialmente re-inventato, in Gran Bretagna, verso i11870. Ai primi Giochi ateniesi, del 1896, i partecipanti al tennis non furono certo i campioni di Wimbledon, i grande Fratelli Doherty’s, ma soltanto gli ignoti giocatori di 6 Nazioni, Australia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Grecia e Ungheria.
Vinse infatti lo sconosciuto irlandese John Boland, al quale non venne assegnata una medaglia d’oro, ma d’argento, più due rametti di lauro. La partecipazione dei tennisti continuò felicemente sino a Parigi 1924, e poi la Federazione Internazionale si staccò dalle Olimpiadi, per una vicenda un pochino misteriosa, che fu in realtà originata da una rivalità commerciale tra le palle inglesi e quelle francesi, e una folle proposta del Cio che avrebbe portato alla sospensione degli Slam durante l’anno olimpico. Grazie al mio partner di doppio Philippe Chatrier, Presidente della Federazione Internazionale, la riammissione avvenne alle Olimpiadi di Seul, 1988, dopo una comica semi-olimpiade del tennis quale Gioco Dimostrativo, a Los Angeles 1984. A Seul, al di là di 39 Nazioni, parteciparono i First Ten, e ammirai Steffi Graf, nel suo anno d’oro del Grande Slam, e Gattone Mecir, Primo del Mondo tutti i giorni in cui si risvegliava in tempo dai suoi lunghi sonni. Sono poi venute le successive Olimpiadi, vinte da gente in grado di raggiungere un Grand Slam, e siamo arrivati ad oggi, a tutte le assenze che non si vedono né a Roland Garros, né a Wimbledon. Come mai? Penso che il tennis sia uno sport in cui non si debba attendere 4 anni per conquistare un trofeo, come accade negli Slam. E penso anche che sia la monetizzazione del gioco a far passare in secondo piano le Olimpiadi. Cosa vale mai una medaglietta d’oro, in confronto a gente che può guadagnare più di un milione di dollari in un torneo? Un’altra ragione è il calendario, le date dello Olimpiadi (6 agosto) troppo vicine agli US Open (29 agosto). Infine, vedo in certe mancate Olimpiadi accadere quel che si registra in paesi che godono di una democrazia più che cinquantenne, magari duecentenaria, e nei quali vota ormai “sciaguratamente” non più del 50% della popolazione (…)