Forse è il caso di ricordare una cosa: questi nomi “scoperti” dagli hacker “Fancy Bears” sono tutti in perfetta regola rispetto alla normativa vigente. Rafael Nadal ha dunque assunto betametasone nel settembre 2009 (subito dopo lo US Open vinto da del Potro. Rafa si era fermato in semifinale sconfitto proprio dall’argentino con un triplice 6-2. Da lì a poco arriverà in semifinale a Pechino, perdendo contro Cilic) e del tetracosactide (analogo sintetico della corticotropina) nell’agosto del 2012, quando Rafa era fermo ai box dopo la sconfitta contro Rosol a Wimbledon (ci resterà fino a febbraio 2013). Il primo, il betametasone, è essenzialmente un antinfiammatorio ed è principalmente utilizzato per curare malattie della pelle (potete leggere nella figura sopra il certificato di esenzione).
Il secondo, il tetracosactide, non ha particolari indicazioni terapeutiche se non l’utilizzo come coaudiavante nelle terapie contro la sclerosi multipla o come alternativa all’assunzione orale di cortisonici, il caso che sembra più affine alla situazione di uno sportivo professionista. Questo farmaco ha sull’organismo gli stessi effetti della cortitropina, ovvero stimola la produzione di ormoni steroidei da parte delle ghiandole surrenali: l’impatto sulle prestazioni sportive non è significativo ma il farmaco sembra in grado di aumentare la soglia della fatica.
L’argomento torna per la terza volta alla ribalta delle cronache dopo le rivelazioni sulle sorelle Williams e i casi di Kvitova e Mattek-Sands, indiscrezioni che hanno subito perso lo status di scoop alla luce della possibilità chiaramente espressa dal regolamento WADA di richiedere un’esenzione a scopi terapeutici per utilizzare farmaci che di norma sarebbero proibiti. Questi documenti che riguardano Rafael Nadal non fanno eccezione. Diventa ovviamente difficile – senza addentrarsi in dinamiche prettamente mediche – definire quanto sia opportuno che un atleta assuma una sostanza vietata per periodi più o meno limitati di tempo, e soprattutto senza mettere in discussione la legittimità stessa e le metodiche di attuazione di questa pratica permessa dalle “maglie” della rete antidoping.