Esistono due tipi di “prima volta” nell’albo d’oro di un torneo dei grandi, per chi ha vent’anni o meno. C’è quella del predestinato, che da sempre tutti aspettano di veder sollevare questo benedetto trofeo, la sua prima tappa verso la conquista di chissà quanti Slam, per poi scoprire che era soltanto questione di tempo. La scorsa settimana ci ha fornito l’esempio perfetto di Alexander Zverev.
E poi c’è quella che sorprende un po’ tutti, e questa settimana è stata quella di Karen Khachanov. Sia chiaro, non si vince un torneo per puro caso, non a quest’età. E di uno sconosciuto non si tratta, visto che tempo fa, al primo quarto di finale ATP a 17 anni, Evgenij Kafelnikov gli pronosticò un ingresso tra i primi 20 entro il 2015. Non accadde, altri gli rubarono la scena e dunque pochi si sarebbero aspettati di vedere, nel 2016, proprio questo ragazzone russo conquistare un titolo. Tant’è vero che l’ultima volta che si è giocato sul cemento indoor, a febbraio, gli occhi degli appassionati erano quasi tutti puntati altrove. Persino tra i suoi connazionali il più gettonato era un altro, di due anni più giovane: Andrey Rublev, che collezionava wild card ovunque. Rublev, peraltro grande amico d’infanzia anche di Zverev, è stato dapprima affiancato e poi lasciato indietro. E adesso si trova a combattere nei challenger, senza grande fortuna, mentre Khachanov, “quell’altro”, con il successo di oggi balza all’improvviso all’inseguimento dei primi 50. Che significa poter andare ovunque per conto proprio, senza aspettare la wild card.
Che cosa ha dimostrato Karen, ottantotto chili di muscoli che sfiorano i due metri? (e non è detto che le due misure non possano aumentare ancora un pochino). È presto detto: che sa fare più cose di quante ne lasci uno sguardo superficiale. E se si accorge che ce ne sono un altro paio da imparare, la profezia di Kafelnikov probabilmente si rivelerà soltanto prematura ma non esagerata, né errata. Tra le cose che Khachanov sa fare, e molto bene, c’è in primis il gioco col dritto, grazie al quale comanda lo scambio e trova spesso la frustata vincente che lascia fermo l’avversario. Ma anche il servizio – più la prima palla della seconda – è temibile, e il rovescio bimane sa il fatto suo: tempo fa disse che giocarlo lungolinea era il suo colpo preferito, ma fino a pochi mesi fa era molto raro vederglielo azzardare in partita. Stessa storia, se non peggio, per l’approccio a rete, assente. In alcune occasioni gli sarebbe stato di enorme aiuto per chiudere il punto in 2-3 colpi, specialmente quando il dritto non funziona. Invece avanzare lo terrorizza, facendolo addirittura tornare sui suoi passi. Come molti grandi colpitori, in ribattuta manca di equilibrio: così a volte indovina delle risposte vincenti micidiali, altre è pigro nella ricerca di palla, altre ancora è eccessivamente irruento.
Per avere vent’anni nel 2016, in ogni caso, Khachanov ha un tennis piuttosto efficace. Moderno, offensivo, privo di tagli che rallentino la palla ma in decisa crescita sotto il profilo dello scambio. Aggiunte la buona corsa e la buona ricerca della palla (anche se ogni tanto si impigrisce ancora), ecco che si motivano le parole pronunciate dal suo coach Galo Blanco non troppo tempo fa. Quando il tennis di Khachanov era ancora acerbo e lui veniva estromesso, sbraitante, da challenger e qualificazioni, l’allenatore spagnolo insisteva sul fatto che bisognasse lavorare come prima cosa sotto il profilo mentale. La settimana appena conclusa dimostra che quel lavoro ha dato i suoi frutti: ai pochi momenti di difficoltà, capitati o auto-procurati che fossero, Karen ha reagito con grande maturità. Al conteggio finale, le sue grida in campo sono state quasi tutte di gioia. In russo, ovviamente, ma anche qualche “vamos!”
Gran giocatore di scacchi (lì è sport nazionale), appassionato di letteratura classica romana, studente di scienze motorie: l’intelligenza e le basi per capire che può e deve migliorarsi non gli mancano, insomma. Semmai non dovesse riuscirci da solo, e se l’aiuto di Blanco si rivelasse limitato, le ricerche di un nuovo allenatore di certo non rimarrebbero inascoltate. Magari anche quelle “importanti”: Khachanov porta sul campo uno stile di tennis non troppo diverso da un altro (ex) allievo di Blanco, Milos Raonic, e come lui potrebbe un giorno decidere di affidarsi a qualcuno in grado di affinarne il tocco. Il gioco a rete e una più ampia varietà di soluzioni germogliano dalla sua racchetta, adesso serve saperli annaffiare con cura. Potrebbe occuparsene qualcuno che con l’erba ci sa fare, perché no, proprio come nel caso di Raonic che si è rivolto a John McEnroe.
Intanto Karen si tiene stretta la somiglianza tennistica con Marat Safin, che condita di buonsenso fuori dal campo – qualità in cui il ragazzo pare superare il suo idolo – promette molto. I successi da junior, quel primo guizzo tra i campioni, l’ottavo di finale a Barcellona partendo dalle qualificazioni, l’ingresso tra i primi 100… tutti parte, ormai chiaramente, di un lungo progetto dal basso profilo. Partito dal suo trasferimento in Croazia a 15 anni, proseguito con quello in Spagna e arrivato, senza saltare nessuna delle tappe necessarie, fino in Cina, a Chengdu. Dove è appena terminato un torneo da 250 punti che fino all’anno scorso non esisteva, degnato di scarso interesse e che invece è stato in grado di regalare una bella notizia. Qualcosa di già previsto, ma in un momento imprevisto. D’ora in poi sarà più dura per Karen Khachanov, perché se lo aspettano tutti.
A cura di Gabriele Ferrara e Raoul Ruberti