Forse quello che sto per fare è un esercizio inutile. Forse Petra Kvitova è l’essenza stessa dell’imprevedibilità e pretendere di trovare qualsiasi spiegazione ai suoi alti e bassi non ha senso. A prima vista, verrebbe da dire così. Malgrado tutto, però, alcune questioni si possono provare ad analizzare, e penso che non tutto quello che le è accaduto negli ultimi tempi sia esclusivamente frutto degli umori alterni di una giocatrice tanto talentuosa quanto incostante.
Ma per cercare di mettere un po’ d’ordine alla situazione credo si debba fare un passo indietro nel tempo. Gennaio 2016: dopo una stagione, il 2015, accettabile ma senza acuti straordinari e un ranking di fine anno da numero 6, Kvitova inizia in modo disastroso il nuovo anno.
Si sommano problemi fisici, tecnici e psicologici, e i pessimi Australian Open lo confermano. Un torneo senza alcun aspetto positivo, disputato da una giocatrice apparsa opaca, fuori fase, debole mentalmente e senza certezze tecniche, perfino nei colpi migliori. Uno dei punti più bassi della sua carriera. Probabilmente anche per questo decide di concludere la collaborazione con David Kotyza, lo storico coach che l’aveva seguita sin da quando si era trasferita a Prostejov, presso il centro tecnico federale, con l’obiettivo di provare a diventare una giocatrice professionista.
Alla separazione dall’allenatore si aggiunge quella dal fidanzato, con il quale aveva in programma di sposarsi. Non seguo molto le vicende private dei tennisti e non mi piace parlarne, ma in alcuni casi è difficile farne a meno, quando si tratta di questioni che possono avere ripercussioni sul rendimento sportivo.
Dopo un periodo senza coach, Petra sceglie di promuovere nel ruolo l’hitting partner, Frantisek Cermak, per provare a rimettere in sesto una stagione che sta prendendo una brutta piega. Ma le cose non si rivelano affatto semplici: nei primi sei mesi non solo non riesce a raggiungere alcuna finale di torneo, ma nemmeno una semifinale, a parte Stoccarda.
Neanche a Wimbledon si risolleva dalle difficoltà, visto che viene eliminata al secondo turno da Ekaterina Makarova al termine di un match rinviato infinite volte per il maltempo, e poi disputato nell’arco di più giornate sempre per problemi di pioggia.
Ma Kvitova si è data una priorità per la sua stagione, le Olimpiadi, e quindi ha ancora una possibilità per cercare di raddrizzare, almeno parzialmente, le cose. Rio 2016 è però una sfida al limite delle sue possibilità, visto che i campi sono lenti e il clima caldo-umido non è certo a suo favore. Ai Giochi dà fondo a tutte le proprie risorse fisiche e mentali, dimostrando in questo di avere classe, riuscendo ad aggiudicarsi la medaglia di bronzo (sconfitta in semifinale in tre set dalla futura vincitrice, Monica Puig).
Kvitova non è mai stata un mostro di resistenza fisica e lo sforzo di Rio, un torneo che non assegna punti per la classifica WTA, si fa sentire nel periodo successivo.
Sembrerà incredibile, pensando a quanto si applicano alcune tenniste, ma durante gli US Open non si allena mai: semplicemente si presenta in campo ogni due giorni per il match che il calendario le propone e basta, visto che passa le giornate senza partite a riposarsi. Troppo traffico a New York per andare tutti i giorni a fare pratica a Flushing Meadows… È lei stessa a raccontarlo, durante la conferenza stampa dopo il match vinto contro Elina Svitolina. I giornalisti chiedono conferma: “Quindi in questi giorni stai giocando solo le partite?” “Sì, riscaldamento pre-partita e poi il match”.
Ogni giocatrice ha le proprie specificità, e una giocatrice di grande talento probabilmente ne ha ancora di più. Una caratteristica di Petra è l’idiosincrasia nei confronti degli allenamenti intensi: a volte, quando ne ha parlato, invece che descriverli come un’attività che dovrebbe renderla più preparata ai match, li ha raccontati come un impegno che finisce per sottrarre energie. Del resto a 14-15 anni, quando le sue coetanee passavano la settimana giocando due volte al giorno per almeno quattro ore complessive, lei si limitava a un’ora di tennis, massimo un’ora e mezza, dopo la scuola; e questo era comunque sufficiente per emergere a livello nazionale in una paese come la Repubblica Ceca, in cui la concorrenza non è certo di basso profilo.
Si potrebbe giudicare il tutto come pigrizia, e forse lo è.
O forse è consapevolezza dei limiti del proprio corpo e di quanto possa dare nell’arco di una stagione agonistica. Nell’ultima conferenza stampa, di sabato 1 ottobre, le è stato chiesto: “Ultimamente ti stai allenando meno; pensi che questo ti consenta di essere meno “piatta” durante i match? È una scelta che ha a che fare con la conservazione delle energie?”
Kvitova ha risposto (sintetizzo): “Domanda interessante. In realtà penso di aver lavorato molto alcuni mesi fa, a partire dalla stagione su terra, ma non so dire se aver ridotto i ritmi mi abbia fatto bene, o se invece i risultati di oggi siano il frutto dell’impegno profuso proprio in quel periodo. È davvero una domanda difficile. È chiaro che senza allenarsi è impossibile, soprattutto nella off season. Ma durante i tornei ho anche bisogno di trovare un equilibrio tra la routine e il piacere di giocare. Per questo so che a volte devo staccare”. Come dire che la questione rimane aperta a differenti interpretazioni.
A pagina 2: il periodo di prova con Fissette e il coaching nel match contro Puig