Marco Cecchinato continua a trovarsi tra incudine e martello. Un breve riepilogo della vicenda giudiziaria che lo coinvolge – assieme agli altri imputati Riccardo Accardi e Antonio Campo – per l’alterazione dell’esito di un incontro al Challenger di Mohammedia e per le informazioni “interne” fornite su Andreas Seppi al Roland Garros 2015: il primo grado di giudizio gli aveva comminato una sospensione di 18 mesi e 40000 € di ammenda, in secondo grado è arrivata la riduzione a 12 mesi e 20000 € grazie all’assenza di illecito sportivo riscontrata dalla Corte Federale d’Appello.
In attesa che si pronunci il Collegio di Garanzia del CONI, terzo e ultimo grado di giudizio, all’attenzione dello stesso Collegio è giunto in data 15 novembre un ricorso presentato dalla Procura Generale dello Sport congiuntamente alla Procura Federale FIT, organo inquirente. Il ricorso, nell’opporsi al giudizio della Corte d’Appello del 29 ottobre, invoca il ripristino dell’illecito sportivo e un conseguente – e sostanziale – aumento di pena: sia per Cecchinato che per Accardi viene richiesta la radiazione dalla Federazione o, in alternativa, una “sanzione inibitiva nella misura non inferiore a 3 anni”.
Lecito e persino auspicabile che le due Procure in seno al CONI agiscano per tutelare l’integrità e il regolare svolgimento delle attività sportive, appare invece più ambigua la posizione della Procura Federale FIT che risulta firmataria congiunta del ricorso: si tratta dello stesso organo che, in fase istruttoria, aveva mancato di porre la questione d’illiceità dell’attività di scommettitore di Cecchinato in quanto tesserato FIT impedendo così che venisse confermato in secondo grado l’illecito sportivo e generando la riduzione della squalifica a 12 mesi. Insomma, il CONI attacca la FIT per una sentenza troppo morbida e la FIT attacca (e prova a correggere)… sé stessa.