Adesso Murray riesce a vincere anche la maratona (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
La strada per la gloria è lastricata di buone intenzioni e tanta fatica. Andy Murray assaggia il pane duro del primato, esplora i meandri della sofferenza, ma con davanti a sé due stelle polari fisse e luminose, coach Lendl in tribuna e il numero uno del ranking di fine anno in testa, scavalla l’ostacolo Nishikori e tiene vive le speranze sue, di tutta la 02 Arena (non proprio al completo, è comunque un pomeriggio lavorativo) e di un Paese che adesso sembra amarlo per davvero.
Il giapponese educato che ha studiato il tennis da Bollettieri non era un avversario banale, e per le qualità intrinseche, e per la forma attuale, e soprattutto per la fresca memoria degli Us Open, quando lo scozzese bel bello del riconquistato titolo di Wimbledon venne stoppato nei quarti da Kei dopo una battaglia di cinque set e quasi quattro ore (3he58′, per l’esattezza). Infatti, è stata un’altra maratona, lunga quasi quanto l’incrocio americano di settembre, tre ore e ventuno minuti che rappresentano la partita più lunga al Masters per una sfida al meglio dei tre set, record sottratto a un altro match di Murray, la semifinale persa nel 2010 contro Nadal (3 ore e 12′).
Solo il primo set, concluso da un tie break epico a nove, dura 85 minuti, pendendo alla fine, e giustamente, verso un Nishikori più propositivo, più aggressivo, più coraggioso, nonostante i tre set point annullati (uno sul 5-6 e due nel tie break). Probabilmente il Muzza di tutti gli altri finali di stagione avrebbe cominciato a fare i conti con se stesso, a interrogarsi e a incartarsi su improbabili soluzioni tecniche, a mollare inconsciamente, e infatti è solamente la prima volta che vince i suoi primi due incontri al Masters in otto partecipazioni. Potenza di una condizione atletica debordante chiude ancora in spinta, aiutato anche da due nastri evidentemente sudditi di Sua Maestà, mentre il giapponese si spegne) nonostante le 84 partite in stagione (ora il bilancio è 75-9) e potenza di uno storico traguardo, quello di primo britannico a finire l’anno in vetta alla classifica nell’Era Open. Uno stimolo che da quella sconfitta di New York lo ha portato a inanellare 21 successi consecutivi sul circuito, escludendo il k.o. in Davis contro Del Potro, a una sola tacca dai 22 compilati non appena arrivò Lendl in panchina, subito prima del Queen’s, e interrotta appunto a Flushing Meadows.
La tensione si è sicuramente alzata nei primi tre giorni delle Finals, perché nell’altro girone Novak Djokovic, il re detronizzato, ha compiuto la prima parte del suo dovere, vincendo due match e assicurandosi la semifinale, dunque la possibilità di continuare a inseguire il controsorpasso. I calcoli, per una volta, sono molto semplici: per mantenere il primato, Murray deve conquistare il Masters per la prima volta in carriera. Oppure sperare che non lo vinca il Djoker, campione delle ultime quattro edizioni: insomma, il serbo può solo arrivare in fondo e alzare il trofeo per portarsi di nuovo avanti e finire la stagione al numero uno per il terzo anno consecutivo. Per questo la vittoria di Andy su Nishikori, peraltro il primo top 5 affrontato dal Roland Garros, fornisce nuovo combustibile all’autostima e alla convinzione dello scozzese, ma non gli evita per ora l’incrocio pericolosissimo già in semifinale contro Novak, che è certo del primo posto: Muzza non è ancora qualificato e per ritrovare Nole solo in un roboante epilogo in finale dovrà battere Wawrinka. Idolo di casa comunque soddisfatto: «Noi lavoriamo per partite come questa, per vittorie come questa. Sapevo che Kei mi avrebbe fatto correre, all’inizio dettava lui gli scambi, ma sono stato bravo a ottenere punti facili sul mio servizio quando ne ho avuto bisogno (…)
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La Procura del Coni contro la FIT: pochi 12 mesi a Cecchinato (Alessandro Catapano, Gazzetta dello Sport)
Un’altra battaglia dall’alto valore simbolico. Perché nel ricorso che la Procura generale dello sport, congiuntamente a quella federale, ha presentato contro la sentenza della Corte d’appello della Federtennis sul caso Cecchinato-Accardi-Campo, c’è sì il tentativo di portare a casa un processo da cui, di fatto, è clamorosamente uscito l’illecito sportivo, ma c’è pure la richiesta al Collegio di garanzia del Coni, la Cassazione dello sport, di inviare un segnale alle giustizie endofederali, perché siano meno casalinghe e più coraggiose. È capitato nel rugby, nel ciclismo, ora nel tennis, che pur in presenza di violazioni eclatanti — magari poco dimostrabili anche per la reticenza e l’omertà dell’ambiente — i processi interni siano terminati .con assoluzioni o buffetti.
Il caso di Marco Cecchinato (e soci) insegna: accusato di aver alterato il proprio match dell’ottobre 2015 perso contro Kamil Majchrzak ad un challenger marocchino, di averci scommesso (indirettamente) sopra, e di aver fornito informazioni sullo stato di salute di Andreas Seppi, impegnato contro John Isner al Roland Garros, era stato condannato in 1° grado a 18 mesi e a 40mila euro di ammenda per violazione degli articoli 1 e 10 (quello sull’illecito sportivo) del Regolamento di giustizia Fit. Una sentenza che in appello si è ridotta a 12 mesi e 20mila euro per la sola slealtà. Ora il Procuratore generale Enrico Cataldi per lui e l’amico scommettitore Riccardo Accardi chiede la radiazione o, in subordine, una sanzione non inferiore a tre anni.
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Raonic e Nishikori pronti per essere leader (Gianni Clerici, La Repubblica)
In questo grande garage psichedelico, che già ho tentato di descrivere, mi è capitato di assistere a due partite, curiosamente analoghe. Si trattava di due match nei quali apparivano, favoritissimi non solo dai bookmakers, il ni e il n.2 del mondo, Andy Murray e Novak Djokovic. Questi due grandi tennisti dovevano incontrare, sulla strada che secondo i bookmakers potrebbe portarli alla finale ( il primo favorito a 5 contro 4, il secondo a 6 contro 5) avversari non proprio minorenni, ma giovani e non ancora famosi quanto loro, il montenegrino del Canada Milos Raonic, e il giapponese d’America Kei Nishikori. I secondi paesi, annoto per il lettore occasionale, sono quelli in cui i due hanno studiato tennis. Questi Raonic e Nishikori hanno, alla fine perduto le loro partite, ma Raonic è passato vicinissimo a una sorpresa non solo nel tie-break del primo set, in cui è giunto cinque e poi sei punti pari, ma anche nel secondo, nel quale si è rapparigliato a Djoko a 5 punti pari, sempre nel tie-break. La cosiddetta sorpresa non è egualmente riuscita al giapponesino che, contro l’enfant du pays degli inglesi, Andy Murray, ha non soltanto vinto il tie-break del primo set, ma è giunto ad ottenere ben 11 palle break.
Al di là dei punteggi, si può domandarsi che cosa abbia accomunato i giovani nelle rispettive sconfitte. Sarebbe forse meglio rivolgersi da una parte al team di Raonic che, mi diceva ieri il capo-coach, Riccardo Piatti, possiede addirittura quel che è chiamato mental coach, il dottor Vercelli. Per quel che ho visto da me, impreparato psicologo, Raonic ha sofferto le 7 sconfitte subite sin qui da Djokovic. Nel vederlo peraltro, io che smemoro, attaccare un Djokovic in autentico disagio nel ribattere i suoi poderosi servizi e addirittura i rovesci tagliati, mi sono detto che non sarà una gran sorpresa il non lontano giorno in cui il risultato potrà invertirsi. Quanto al giapponesino, con Murray aveva vinto solo due volte, su nove precedenti match. Era accaduto su campi hard, come è definito questo che, per averci tentato due tiri prima di essere scacciato, definirei semi-hard. Si è visto che la capacità di imitare Agassi, testardamente suggerita da Bollettieri, è vicinissima ad un completamento. È mancata pero a Nishikori la convinzione di potercela fare contro un Murray che è – forse – al massimo delle sue umane possibilità, del suo ciclo tennistico-esistenziale. Il simil-Agassi giallo (ricorderei le dimenticate origini armene di Agassi) ha raggiunto il tie-break del primo set dopo 5 set point. Nel secondo ha, sul 4 pari, mancato due palle del 5-4, e nel terzo, nonostante una risalita da 1-5 a 4-5, ha mostrato quel che un mio vicino chiamava body language negativo. Di fronte al nuovo Murray, faceva una scoraggiante impressione il comportamento prematuramente deluso, impressionavano le braccia spasso abbandonate (…)
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L’highlander ferma il samurai (Claudio Giua, repubblica.it)
Quando in settembre Andy Murray uscì di scena nei quarti di finale degli Us Open scrissi che lo scozzese è un highlander al quale è stato insegnato dalla madre a roteare e affondare i colpi con la claymore Head e che il suo avversario Kei Nishikori è un giovane samurai programmato da una tennis academy in Florida per menare fendenti con la katana Wilson. Era il nono episodio di un corpo a corpo tra guerrieri che si assomigliano molto, anche se Kei è più attaccante; che giocano a specchio con l’eccezione del servizio, colpo spesso determinante per Andy ma non per Kei; che sanno controbattere alle reciproche mosse senza nulla togliere allo spettacolo. Nello Slam d’America il giapponese prevalse per 1-6 6-4 4-6 6-1 7-5 dopo 3 ore e 58 minuti massacranti. Il primo match di quella che sta via via diventando una saga del grande tennis aveva invece avuto come teatro il Masters 1000 di Shanghai nel 2011, con Andy che in semifinale aveva concesso tre miseri game a Kei (6-0 6-3). La prima delle due vittorie ottenute dal Top Ten del Sol Levante era arrivata solo alla quarta occasione, proprio qui a North Greenwich nel girone delle ATP World Tour Finals 2014 (6-4 6-4).
Contrariamente a Flushing Meadows due mesi fa, stavolta è la spada-racchetta dello scozzese a lasciare il segno più profondo. Ma il giapponese lotta con intelligenza e coraggio, sfoggiando per due ore e mezza un gioco talvolta eccelso. Anch’egli dimostra, come ieri Milos Raonic nel match perso al doppio tie break con Novak Djokovic, d’essere maturo per occupare stabilmente un posto tra i primi cinque al mondo.
Il primo set è un duello sfinente di 85 minuti senza break che Nishikori fa suo al tie break dopo aver sprecato quattro occasioni. Nel secondo parziale Murray ottiene il break in apertura e si fa raggiungere mentre è al servizio in vantaggio per 4 game a 3. Poi approfitta di qualche errore di troppo di Nishikori per riprendere il largo e chiudere sul 6-4. Il terzo set vive la svolta nel terzo e nel quinto game, quando il numero 1 ATP strappa il servizio al numero 5, che però ha ancora spirito e forza per conquistare un controbreak. Finisce 6-4 dopo 3 ore e 20 minuti che valgono il prezzo del biglietto d’ingresso alla O2 Arena.
Con la vittoria di oggi Murray ipoteca il posto in semifinale, anche se gli incroci imposti dal regolamento del doppio round robin della prima fase delle Finals non escludono sorprese. Tocca ai tattici del team di Novak Djokovic, che s’è già guadagnato la semifinale, valutare cosa fare nel terzo turno, se vincere o perdere contro Gael Monfils, il quale potrebbe però dare forfait per infortunio lasciando il centro della scena, per una sola giornata, al belga David Goffin. L’obiettivo del serbo potrebbe essere evitare la semifinale con Murray, nella speranza che siano Milos Raonic o Dominic Thiem a toglierlo di torno. Nishikori è ancora in corsa per le semifinali, ma dovrà in ogni caso battere Marin Cilic venerdì (…)