[4] J. Sock b. J. Sousa 6-3 5-7 6-3
Con lo Slam Down Under ormai alle porte, e gran parte dei protagonisti del primo Major stagionale già di stanza sotto il sole di Melbourne, si è svolta nella nottata italiana la finale dell’ASB Classic 2017 di Auckland. Un torneo di buonissima tradizione che si disputa ormai dal 1968 nella città più popolosa dell’Isola del Nord della Nuova Zelanda e che vanta tra i propri vincitori anche due ex numeri uno al mondo come il cileno Marcelo Rios e il tre volte trionfatore del Roland Garros, Gustavo Kuerten. Dal 2009 la manifestazione dello stato insulare dell’Oceania appartiene alla cerchia degli ATP 250.
Protagonisti di questo atto conclusivo sono la testa di serie numero 4 del seeding e numero 23 del ranking, lo statunitense Jack Sock – già sfortunato finalista qui lo scorso anno e a caccia del secondo titolo della carriera – e il portoghese Joao Sousa, una ventina di posizioni di ritardo nelle ultime classifiche mondiali e tre anni di più registrati all’anagrafe. La cornice dell’ASB Tennis Arena offre un discreto colpo d’occhio, gli spalti, per la verità modesti, sono gremiti e il cielo ha lo stesso blu del cemento di gioco. Entrambi i giocatori fanno del diritto la più redditizia fonte di gioco con il tennista di Guimaraes – numeri alla mano, il lusitano più forte di sempre – solido e propenso alla manovra e il suo avversario – di recente finalista nella Hopman Cup in coppia con Coco Vandeweghe – di chiara impostazione statunitense, tutto potenza, uno-due e pochi fronzoli. Potenzialmente interessante, dunque, il confronto di stili. Non si tratta, questo, di un inedito assoluto essendosi già affrontati una volta nel corso della scorsa stagione sulla terra di Madrid con la vittoria sofferta di Sousa che qui ad Auckland non ha ancora perso un set.
Si comincia con il ventisettenne di Guimaraes al servizio. Fin dalle prime battute emerge il leitmotiv dell’incontro con il tennista del Nebraska sbrigativo ed essenziale nelle scelte e il suo competitor attento nel regalare il minimo sindacale. Per sei turni di fatto non succede nulla con il match che senza sussulti segue con precisione svizzera l’ordine dei servizi. Qualche lieve scricchiolio nelle certezze del portoghese, per la verità, lo si era intravisto già nel corso del quinto game quando Sock, complice qualche incertezza di troppo del suo avversario, si era arrampicato fino a break point. Allungo solo rinviato di una manciata di minuti in quanto, nel corso del successivo turno di battuta di Sousa, una volée malamente affossata in rete consegna nelle mani del corazziere statunitense il primo importantissimo vantaggio di giornata. L’allievo di coach Marques sembra decisamente accusare il colpo e, se in risposta – dove fatica terribilmente ad entrare nello scambio – continua a raccogliere solo le briciole, ora anche con in mano il pallino delle operazioni i risultati non sono affatto soddisfacenti. Inevitabile, pertanto, il 6 a 3 che chiude un parziale prima noioso e poi a senso unico. Troppi i 16 gratuiti che impietosamente il tabellino attribuisce al portoghese.
Dopo un parziale di quattro giochi persi in rapida successione, Sousa, indietro nel punteggio e sotto di due quindici nel game, viene a capo, grazie ad un servizio puntuale per l’occasione, di una situazione a dir poco delicata e impatta sul punteggio di uno pari. Arrestata l’emorragia e rinfrancato nel morale, Sousa si approccia alla risposta con un piglio diverso e grazie anche ad un piccolo passaggio a vuoto della quarta testa di serie – a dir poco orribile il diritto al salto spedito in corridoio sulla prima palla break concessa nell’incontro – opera un inatteso sorpasso. Così è il tennis, anche se per il lusitano dal grunting facile la fuga è solo questione di un attimo. Sousa conferma tutte le sue difficoltà ogni qualvolta ci sia da spingere la palla e quando ancora una volta lo sventaglio di diritto muore a metà rete ecco che il parziale torna, almeno in quanto a numeri, in equilibrio. L’impressione in questo frangente è che sui campi veloci questo Sock, forse in palla come non mai, contro Sousa possa fare il bello e il cattivo tempo, sebbene un po’ di congenita lentezza nel muovere i piedi alla ricerca della palla. Nonostante tutto, il set segue adesso l’ordine delle battute e, benché scevro di pathos, pare essere almeno in bilico, anche se il nativo di Lincoln persevera senza batter ciglio nel mietere winners come piovesse, con i suoi turni di servizio più rapidi di un pit-stop in casa Ferrari. Quando nel corso del decimo game Sock è a due punti dal match con alle spalle tutta l’inerzia del mondo, sono in pochi a sperare di poter assistere ancora a più di qualche scampolo di match. Quel che conta è che a non essere dello stesso avviso è proprio Sousa che con tre provvidenziali ace in quattro punti aggancia il rivale sul cinque pari. Gol sbagliato, gol subito si direbbe nel calcio, al punto che Sock – uno che non ha un bel rapporto con le finali – in un battito di ciglia cede senza opporre resistenza servizio e parziale.
Si va al terzo. Il segnale che che per lo statunitense il match stia prendendo una pessima piega è il numero medio degli scambi salito vertiginosamente col passare dei minuti. Sousa, più reattivo per DNA nella lotta, ha il merito di far sempre giocare una palla in più al suo avversario che appare di colpo in colpo più pesante e insicuro. Inevitabile quindi il break, in un terzo game costellato dalle brutture tennistiche di un Sock il cui body language, ora, è tutto un programma. Questa finale, però, ha il pregio di non avere un tiranno duraturo e ciò che appare certo in quell’attimo non è detto lo sia a lungo. In bilico sul cornicione, Sock spara due risposte al fulmicotone nei paraggi delle righe che significano il tre pari. Gran coraggio, il suo. Nulla da registrare, poi, fino all’ottavo game, laddove un sanguinoso doppio fallo – e non è il primo – costa a Sousa il break che spedisce il redivivo statunitense a servire per il torneo. La tensione è palpabile e Jack Sock, saggiamente, sceglie di ancorarsi al servizio, quasi ad occhi chiusi. La scelta è quella giusta perché, nonostante un errore di tocco da far sobbalzare in poltrona i puristi dello sport elegante che fu di Bill Tilden, il nono gioco mette fine dopo circa due ore di gioco alla contesa, con il pupillo di coach Hahn che può esultare con merito dopo l’ennesimo vincente messo a referto di prepotenza.
In definitiva, una partita per certi versi strana, non bella, e dai repentini cambi della guardia, che come spesso accade finisce alla lunga per premiare il giocatore più forte. Per Sock, mina vagante dei prossimi Australian Open, da lunedì prossimo sarà nuovo best ranking e prima volta in Top20 della carriera.