Re…divivo: Federer all’esame Wawrinka (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Sarà pur vero, come ironizzava Orson Welles, che gli Svizzeri in più di settecento anni hanno inventato soltanto il cioccolato e l’orologio a cucù, ma anche a tennisti, finché dureranno quei due, non sono messi male. Derby in semifinale: era successo già agli Us Open del 2015, ora la storia si ripete in Australia e prolunga il periodo d’oro della saga del Maestro e dell’Eterno Secondo.
Federer contro Wawrinka, 22° atto. Cioè il romanzo del predestinato e di chi si è ritrovato a giocare a tennis in un paese senza troppa tradizione, dove perciò sarebbe diventato un idolo, e ha finito per incrociare sorte e carriera contro il più forte di ogni tempo. I precedenti, 18 a 3 per Roger (e le sconfitte sono arrivate tutte sulla terra, mai sul duro), narrano di un destino già scritto, ma c’è una data che quantomeno ha modificato le prospettive: il 2014, quando Stan The Man ha vinto il primo dei suoi tre Slam proprio in Australia e poi, a Montecarlo, ha battuto l’amico-rivale in finale, liberandosi Stan batte Tsonga e lo stuzzica dopo un’occhiata: «Calmati, a solo tennis« (record che si aggiorna) è solo un altro gioiello che va ad arricchire i diademi di Federer.
Quel che conta è che dopo sei mesi di sosta Roger sembra pronto come non è mai stato dal 2012 (ultima vittoria a Wimbledon) a regalare al mondo il 18 Major personale, affidandosi anche alla cabala, perché Sampras vinse gli Us Open 2002, lo splendido canto del cigno, da testa di serie numero 17 (la stessa di Roger): «Per me era un grosso punto di domanda il fatto di riuscire o meno a vincere più match di seguito al meglio dei cinque set. Avevo la sensazione di poter essere pericoloso in un singolo match, ma con l’avanzare del torneo pensavo che la mia energia sarebbe svanita. Essere in semifinale avendo giocato così bene, e sentendomi così bene, è bellissimo». Tanto da poter esorcizzare con una battuta quel lungo stop vissuto all’inizio come un incubo: «Forse dovrei giocare un torneo e poi stare fermo altri sei mesi… Scherzi a parte, siamo ancora agli inizi del mio rientro. Voglio prima giocare un paio di mesi per riassestarmi, e poi forse a aprile vedremo come sta andando (…)
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Ora salvate il rovescio di Federer e Wawrinka (Gianni Clerici, La Repubblica)
«Voglio giocare al tennis», mi ha detto prima di Natale la mia nipotina Anita. «Chiediamo la racchetta a Gesù Bambino», ho risposto. Abbiamo scritto la letterina, e Gesù Bambino ha recapitato la racchettina. Ho poi chiesto consiglio per conoscere un maestro, l’ho ottenuto, e ieri sono andato ad assistere alla prima lezione di Anita. Dopo averle fatto colpire qualche pallina con il diritto, il maestro si è affrettato a mostrarle come fare con il rovescio, dopo averle detto: «Tieni la manina destra più alta della sinistra. Ecco, brava, così». A questo punto, io che mi onoro della prima licenza emessa dalla Atp anche se, privo del diploma della Federtennis, non potrei insegnare in Italia, ho chiesto: «La imposta con due mani perché è piccola?». Il maestro mi ha guardato come un analfabeta, e ha risposto: «Ma ormai si gioca così. Lei la guarda la televisione? Ai campionati d’Australia giocano tutti con due mani».
Non ero dello stesso parere, anche se mi pareva che avesse ragione per le ultime sedici ragazze, ma il dubbio mi ha spinto a un controllo del tabellone maschile, mentre ammiravo il divino Federer allenarsi con lo sventurato Zverev. Ho così appurato che, su centoventotto tennisti, ce n’erano solo diciannove che giocassero il rovescio a una mano, e non bimane, come da anni ho iniziato a denominarlo. Ho scritto più di una volta che il colpo a due mani non era stato iniziato dal mancino Bromwich ( campionati Australiani 1939 e 1946 )che informò, me e il povero Bud Collins, quando andammo a trovarlo, che prima di lui c’era stato un certo Mac Grath negli Anni Trenta. In seguito la filiale amicizia con René Lacoste mi spinse a ritenere, insieme a lui, che il rovescio del futuro sarebbe stato bimane, per meglio bloccare le battute, e a una mano per meglio attaccare e smorzare, non si dice ovviamente a volleare. Tra i contemporanei ho ammirato Wilander che, impostato bimane, negli ultimi anni della carriera fu in grado di confermare l’opinione del Grande Moschettiere, e preso a staccare la sinistra per tagliare i suoi attacchi e per volleare. Non potevo però far a meno di notare che la prima delle semifinali australiane vedrà due monomano, se posso così definire gli straordinari rovesci dei due svizzeri, notando al contempo che hanno superato i trenta anni, e non sono così stati costretti dalla banale contemporaneità alle due mani.
Ma non è detto che almeno uno degli altri semifinalisti si chiami Dimitrov, e così potrebbero essere tre su cinque, escluso il quarto, che dovrebbe chiamarsi Raonic. Mi pare insomma, per rivolgermi al maestro di Anita, e ad altri insegnanti, che sia il caso di aiutare le fragili articolazioni dei piccoli impugnando bimane, ma si debba in seguito decidere se non sia meglio diventare, insieme, bimani e non, o addirittura giocare a una sola mano (…)
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Federer e Venus (71 anni in due) danno lezione a Melbourne (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
Certi paragoni dicono tutto. Uno Slam non ospitava in semifinale un dinosauro così deliziosamente vecchio da Jimmy Connors (Us Open 1991, a 39 anni) e l’Australian Open nell’era Open non aveva mai dato il benvenuto a una signora così attempata nel club delle ultime quattro. Roger Federer e Venus Williams, 71 anni in due (35 più 36), sono le bandiere che sventolano su Melbourne per la gioia del tennis. Misteri insolubili per chi ne sa («Spiegatemi voi, per favore, come è possibile che Roger sia così fresco alla sua età…» sbotta in telecronaca John McEnroe, incredulo), puro piacere per gli occhi di chi guarda. Lo svizzero senza data di scadenza sforacchia in tre set (6-1, 7-5, 6-2) il tedesco made in Russia Misha Zverev, che batte e scende come se avesse dna aussie, altro che la gelida Mosca. Contro il numero uno del mondo Murray Misha era venuto a rete u8 volte, ma con i suoi 65 winners (e appena il 4096 di punti conquistati a rete dal tedesco) Federer si rivela avversario più solido, preceduto sul campo dalla sua stessa leggenda.
E tutto molto veloce: con Zverev all’attacco perenne, gli scambi superiori ai 9 colpi sono rari come unicorni. Ma quello sul 2-2 del terzo set merita un replay: due lob, il secondo più millimetrico del primo, consegnano allo svizzero il break decisivo. Roger stacca il biglietto per il derby svizzero di semifinale con Stan Wawrinka (7-6, 6-4, 6-3 al francese Tsonga) aggiornando quella lista di record che gli interessano quanto una top model che bussa alla porta: zero (questione di fedeltà, sia chiaro). Quella di Melbourne sarà la 41′ semifinale Slam (17 titoli), la 13a down under. «Avevo nel mirino la seconda settimana, poi i quarti — ha raccontato lui, sinceramente divertito, dopo aver stretto la mano a Zverev —. Mai avrei pensato di arrivare fino a qui al rientro dopo sei mesi di stop per infortunio». Arthur Ashe, semifinalista in Australia nel ’78 battuto dal padrone di casa John Marks, aveva 35 anni e 177 giorni. Federer ne compirà 36 l’8 agosto però festeggia come una matricola, proprio come Venus che strapazzando la russa Pavlyuchenkova (u anni meno di lei) agguanta il derby americano con Coco Vandeweghe (…)
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I sogni di Roger e Mischa (Claudio Giua, repubblica.it)
Il sogno di Roger Federer è prendersi qui a Melbourne un altro Slam, cinque anni dopo il diciassettesimo conquistato a Wimbledon. Anche il sogno di Mischa Zverev era arrivare allo Slam, lui che in carriera ha vinto tornei minori solo quando aveva vent’anni, prima di venire risucchiato nel vortice degli infortuni e della rinuncia a lottare.
Apparentemente è lo stesso sogno. Per l’ex numero 1 ATP sarebbe la conferma della sua convinzione che, a quasi 36 anni, chi ha il rigore e la costanza necessari può essere il più forte al mondo. Per Mischa – il “fratellone di Alexander”, come tutti l’hanno chiamato fino a tre giorni fa – raggiungere il più clamoroso degli Slam avrebbe dimostrato che è possibile risalire dall’inferno tennistico dei professionisti, quello degli spalti vuoti e degli alberghi scalcinati, su su fino a sedersi al fianco del Padre.
Poi c’è la sostanza, che è il bilancio di fine anno o, come dice un mio amico, la “sindrome del frigorifero pieno o vuoto”. Anche qui, le prospettive sono diverse tra Roger e Mischa. Tra ingaggi, premi, pubblicità eccetera, lo svizzero fattura circa sessanta milioni di dollari l’anno. Se domenica prossima alzasse la coppa, supererebbe la soglia dei cento milioni di dollari solo in premi, traguardo finora raggiunto solo da Novak Djokovic. Il tedesco nato a Mosca ha invece messo assieme, a 29 anni, due milioni e mezzo di dollari in premi e qualche centinaia di migliaia di dollari in sponsorizzazioni: più o meno quello che va al vincitore degli Australian Open 2017 (2,8 milioni).
Come già sapete o avete intuito dai tempi dei verbi usati, il sogno che va avanti è quello di Federer, che ha battuto Zverev in tre set (6-1 7-5 6-4). È stato un match breve ma piuttosto divertente. I coach Ivan Ljubicic e Severin Luthi hanno dato a Roger le indicazioni giuste dopo aver studiato la lezione impartita dal tedesco ad Andy Murray domenica. Gli hanno suggerito di tenere la linea di fondo e di muoversi in orizzontale in modo da piazzare con precisione i lungolinea e gli incrociati. Così è stato e Mischa ha fatto molta fatica nel primo set ad adeguare il proprio gioco d’attacco ai passanti e ai lob dell’avversario. Gli sono serviti sette game per registrare modi e tempi dei propri avanzamenti verso la rete senza venire regolarmente perforato. Quando in seguito c’è riuscito, ha messo più volte in difficoltà Federer.
Nel secondo set il tedesco ha tenuto il passo e ha pagato salatamente un errore di troppo nel dodicesimo game. Il terzo set è stato equilibrato solo all’inizio, poi Roger ha deciso che bastava: dopo due break a favore, ha servito per il match e ha chiuso con un passante di dritto incrociato.
Sempre più convincente sul campo e raggiante fuori, Federer troverà in semifinale (la sua tredicesima nella Rod Laver Arena) Stan Wawrinka, che oggi ha eliminato in tre set Jo-Wilfried Tsonga (7-6 6-4 6-4). “Sarà bello affrontarlo”, ha detto subito Roger, ma forse non è tanto vero. Non credo sia un piacere sfidare il connazionale con il quale si condividono il preparatore atletico e, in parte, anche il coach (Luthi è il capitano della nazionale rossocrociata).
Di sicuro in questi giorni si continuerà a parlare e a scrivere del rinnovato fondo sintetico dei campi del Melbourne Park, più lento rispetto agli anni scorsi e dunque più consono agli attacchi alla Zverev, oppure alle qualità di chi, come Federer, ha capacità di adattamento alla varie superfici. In teoria, è una mescola meno favorevole alle caratteristiche dei bombardieri come Raonic, tuttora in tabellone, e dei “fondocampisti” come Djokovic e Murray, troppo presto fuori. A mio giudizio, quest’anno gli Australian Open stanno favorendo il ritorno al gioco pensato e lavorato a scapito di quello più fisico (…)