Dopo l’eccitazione della memorabile maratona vinta ieri da Nadal su Dimitrov, era inevitabile subire oggi il contraccolpo di una partita che, come quasi tutte quelle fra le sorelle Williams, non ha potuto scatenare grandi entusiasmi – pur essendo una finale “storica”, perché disputata 19 anni dopo il loro primo duello qui a Melbourne e perché ha portato alla famiglia il trentesimo Slam. Il ventitreesimo per la sola Serena, che si lascia alle spalle Steffi Graf e ora tallona più che mai Margaret Court, che dei suoi 24 ne ha vinti ben 11 in Australia, prima e dopo l’era Open, quando ancora poche giocatrici affrontavano tale trasferta.
Per una volta, in questo torneo pazzo e imprevedibile come pochi, ha vinto la grande favorita, Serena Williams, 6-4 6-4, ciascun set di 41 minuti, ciascun set deciso in pratica dal break subito da Venus nel settimo game (quello che i vecchi cronisti, quando ancora non esisteva il tie-break, chiamavano “the crucial game”). Venus ha già fatto un miracolo ad arrivare dove è arrivata, approfittando di un tabellone estremamente favorevole che si è aperto ogni giorno di più. N.13 del seeding, Venus non ha battuto che una sola testa di serie, e bassa per di più, la n.24 Pavlyuchenkova, trovando in semifinale l’outsider Coco Vandeweghe, n.34 WTA.
Così Serena torna lassù dove avrebbe dovute stare sempre, senza interruzioni, da 15 anni: sul trono del tennis. N.1 del mondo perché è la più forte di tutte se sta bene, se non ha problemi fisici o di peso. Più forte di tutte per meriti propri, ma un pochino anche per demeriti altrui. Infatti non esistono vere alternative. Lo scorso anno Kerber le ha strappato lo scettro, grazie alle vittorie qui e a New York, ma insomma non è che a 28 anni si diventa improvvisamente regine del tennis se non si aprono varchi come Mosè davanti al Mar Rosso. L’anno scorso è scomparsa Maria Sharapova dal lotto delle competitor, ma si sa che la russa dal 2004 contro Serena ha sempre fatto soltanto figuracce. Tutte le altre non sono cresciute come ci si attendeva: Radwanska, Pliskova, Muguruza più che Cibulkova, il cui trionfo nel Masters di Singapore a mio avviso ha dimostrato la crisi del tennis femminile… E così Serena avrebbe dovuto dominare anno dopo anno come ha fatto in alcuni anni quando ha vinto 3 Slam su quattro e quando ha fatto il Serena Slam – come anche Djokovic – vincendo quattro Slam di fila ma non nello stesso anno.
Sui 22 Slam di Steffi restavano alcune perplessità dovute all’accoltellamento di Monica Seles, che forse qualcuno dei successivi 11 Slam sarebbe riuscita a strapparglieli – era chiaramente riuscita a prenderle le misure, perché i suoi fondamentali da fondocampo erano entrambi solidi e formidabili mentre il rovescio slice di Steffi era chiaramente il colpo più debole, quando le due si trovavano a scambiare. Direi invece che sui 23 Slam di Serena proprio non ci piove. Il suo è uno dei pochi record che non può essere messo in discussione se non… al contrario! Era cioè talmente superiore a tutte le altre che avrebbe potuto vincerne molti di più. Non accade spesso: di solito si plaude a un record e ci si ferma lì, sottolineandone l’eccezionalità. Nel suo caso, curiosamente, si dice invece che avrebbe potuto realizzarne uno ancora molto più straordinario. È quasi ingiusto, ma è così.
Riguardo alle due sorelle Williams, un fenomeno oggettivamente incredibile che trascende lo sport del tennis – non mi pare che ci sia disciplina sportiva altrettanto praticata in cui due sorelle (o anche due fratelli) abbiano conquistato 30 titoli “mondiali” – ciò che è sorprendente, come ho già avuto modo di scrivere mille volte, è che questo fenomeno scaturisce dal nulla: nessuno giocava a tennis in casa Williams, e i primi coach sono stati i genitori. Quasi nessun nero sceglie il tennis negli Stati Uniti e loro, senza alcuna tradizione né particolare ragione, sono venute fuori formidabili tenniste. Certamente si sono aiutate l’un l’altra. Sia ad inserirsi nel mondo dei bianchi e del tennis, sia a misurarsi fra loro che fin da bambine tiravano più forte di chiunque altra tennista, che erano più atletiche, più agili, più possenti. E sono presto diventate anche tecnicamente superiori a parecchie, pur sembrando autodidatte anche nell’impostazione dei colpi – che pure buoni maestri, come Rick Macci e altri, avevano certamente contribuito ad affinare.
Si discute tanto su Federer GOAT o meno, si potrebbe discuterne un po’ anche su Serena GOAT piuttosto che Martina Navratilova (lasciando perdere Suzanne Lenglen come si lascia perdere Bill Tilden). Le donne con racchetta, evidentemente, attirano meno attenzione degli uomini. Siamo un popolo di machos. Condivido l’osservazione di un lettore, Marco (che ringrazio), il quale sottolinea come probabilmente né Serena né Venus sarebbero arrivate ancora straordinariamente competitive a 35 e 36 anni suonati, se non avessero fatto molto cammino accanto. Si sono sempre volute bene, si sono aiutate, non è mai mancata tra di loro una profonda complicità, a volte si saranno forse sentite anche sole contro tutte le altre e questa sensazione le avrà fortificate anche mentalmente. È quindi giusto immaginare che la loro longevità non sarebbe stata questa.
Al tempo stesso è giusto chiedersi quale meravigliosa rivalità sarebbe nata e si sarebbe sviluppata, se due incredibili atlete così talentuose non fossero state sorelle legate da un grande legame affettivo. Vi immaginate quali battaglie pazzesche avrebbero ingaggiato? A volte per essere più forti bisogna anche detestarsi un po’. Kim Clijsters e Justine Henin erano grandi amiche da piccole. Poi non lo sono state più, anche perché il coach di Justine, Carlos Rodriguez, convinse la sua allieva – che da bambina perdeva sempre contro Kim – a non familiarizzare troppo con la sua amica fiamminga, se avesse voluto cominciare a batterla.
Stessa cosa accadde fra Steffi Graf e Gabriela Sabatini, che avevano cominciato a giocare il doppio insieme e ad allenarsi insieme. Successe che Steffi, dopo aver quasi sempre battuto Gabriela, cominciò improvvisamente a perderci tre, quattro volte di fila, compreso un US Open che le bruciò parecchio. L’allenatore di Gabriela, un ex tennista brasiliano molto intelligente di nome Carlos Kirmayr, la aveva persuasa giocare tutto d’attacco, scendendo sempre a rete sul rovescio col quale Steffi non riusciva a passarla. Non ricordo se fu suo padre Peter, o il coach di allora Peter Slozil, a suggerire a Steffi che sarebbe stato meglio mettere fine a quella partnership, a quei doppi, a sospendere quell’abitudine che aveva trasmesso all’argentina una maggior serenità quando la doveva affrontare. Fu divorzio, e guarda caso Steffi ricominciò a batterla come aveva sempre fatto prima.
In conclusione le sorelle Williams, una 23 Slam, l’altra 7, sono state formidabili e ancora lo sono. E da una parte se non fossero state sorelle forse non sarebbero diventate così forti. Ma dall’altra parte, si può anche pensare che se non lo fossero state sarebbero diventate ancora più forti. Come Federer e Nadal, che si sono certo “stimolati” a vicenda. La medaglia e il rovescio della medaglia. Questa la piccola morale… suggerita anche dal fatto che sulla finale in sé non avrei avuto da dire granché.