La letteratura è un paio di occhiali straordinario che permette di vedere le cose da una prospettiva più ampia. La Piccola Biblioteca di Ubitennis dovrebbe servire a questo. Allontanarsi dalla furia del presente e mettere tutto nella giusta prospettiva. Anche Federer, soprattutto Federer.
Guardare lo svizzero giocare è fantastico, guardarlo dopo aver letto Wallace, Clerici, Fisher è un’esperienza più densa. Clerici sostiene che gli dei del Tennis inviano sulla terra (almeno) un “incarnato” a ogni generazione. È per questo che il GOAT non esiste. Esistono gli immortali, quella cerchia ristretta baciata dal soffio di Dio, ma è assurdo parlare di GOAT perché in fondo è sempre lo stesso soffio incarnato in campioni diversi. Laver, Mc, Sampras, Federer, e prima ancora Tilden, Kramer, ecc. Hanno nomi e stili diversi ma il cognome è sempre lo stesso: Gesti Bianchi, o Tennis puro fate voi[1].
Se Clerici è europeo e ha quindi un grande rispetto per la storia, Wallace è americano e la sua sensibilità è più schiacciata sul (suo) presente. Agassi, Sampras e Federer, soprattutto Federer[2]. Wallace – David caro David che cosa ti sei perso – la butta sul metafisico. Più o meno flirtando con l’antropologia e l’estetica, lo scrittore americano sostiene che lo svizzero è una specie di medium “di carne e di luce” che permette a noi la connessione con sfere più intime dell’essere. Io aggiungerei un elemento non secondario. La dimensione a metà tra il teatro e l’arena propria dello sport, in particolare del tennis[3]. Diecimila sconosciuti che fissano contemporaneamente una pallina e respirano come una persona sola, e urlano verso il cielo e si abbracciano ci collega con quello che il sociologo Durkheim chiama “uomo duplex”. Dentro ognuno di noi esistono due sfere, quella privata e quella collettiva. Siamo completi solo quando vibrano tutte e due. In un periodo storico in cui quella privata ha preso il sopravvento, visto lo sgretolarsi dei perimetri religiosi e politici, credo che lo sport sia uno dei pochi spazi in cui quella nostra componente più antropologica possa trovare il suo spazio rituale. E stiamo parlando di echi dionisiaci, orgiastici, metafore di guerra, sangue e guerra, fato, dramma e magia. Roba tosta insomma.
Più o meno nel centrale di Melbourne sono questi gli elementi che sono andati in scena. Quella partita è stata una dimensione “sui generis” che ci ha permesso di tirare fuori tutta quella roba pulsante che la vita quotidiana ci nega. Se nel calcio la questione è più o meno territoriale (la città, la Nazione) nel tennis è più complessa. Federer è tutto tranne che svizzero. È un fenomeno globale che esce anche dal perimetro tennistico, o sportivo per entrare in una dimensione globale[4].
In questo ragionamento manca però un elemento prezioso: Rafael Nadal. La sua contemporaneità allo svizzero ha generato quel “semplice” paradosso che ha costituito il grande motore drammaturgico dell’intera Golden Age del tennis contemporaneo. Roger è il più forte di tutti e Rafa è più forte di Roger. Tutto qui. Queste due proposizioni, entrambe vere e in insanabile contraddizione tra loro, sono state le due pietre focaie che hanno teletrasportato una semplice sfida sportiva dentro un’epica dai connotati universalistici. Come Borg e McEnroe. Come Magic Jonson e Larry Bird. Come Ben Hur contro non so chi, ma con l’aggiunta di quel grande amplificatore che si chiama internet. Se Borg e Mc sono stati battezzati dalla televisione, Roger e Rafa sono la prima grande rivalità ai tempi dei social.
Paradosso per paradosso io credo che senza lo spagnolo Federer avrebbe vinto facilmente un paio di Grand Slam, avrebbe sgretolato ogni record inimmaginabile ma sarebbe stato un campione minore. Numeri maggiori ma non ci avrebbe tirato fuori tutta quella roba antropologica ed emozionale che ce lo fa amare così. Avremmo applaudito di più ma avremmo sofferto e goduto infinitamente di meno. La superiorità di Nadal nell’uno contro uno ha costretto Roger a tirare fuori l’uomo. A confrontarsi con le sue paure. Ricordo le prime volte che l’ho visto giocare. Sembrava negare quella regola greca che vede gli Dei come esseri dispettosi. Solo loro sono perfetti, noi siamo destinati ad avere sempre un tallone d’Achille. Vale anche per i tennisti. Nole non ha il posizionamento a rete, per Lendl e Borg le volée erano un dovere sindacale, Mc era allergico alla terra, Becker aveva due piedoni che non gli permettevano di muoversi in orizzontale, Edberg dal lato destro era vulnerabile, in Sampras il rovescio aveva il singhiozzo, Jimbo era senza dritto, e via cantando. Roger no. Non esiste un singolo colpo che non sia meno che perfetto. Ma la perfezione ci manda in estasi ma non ci appassiona. Nell’arena noi vogliamo il sangue. Come immedesimarsi in un alieno? A renderci appassionante lo svizzero è stato Rafa Nadal da Manacor. Evidentemente un dio invidioso, nel vedere lo svizzero fatto troppo a sua somiglianza ha mandato sulla terra (rossa) una belva mancina costruita unicamente per mandare in crisi quella perfezione in fin dei conti troppo algida. Chi ama il tennis deve ringraziare ogni santa mattina quello spaventoso toppone in grado di fare rimbalzare la palla in un luogo non contemplato nemmeno dalla perfezione biomeccanica del suo rovescio a una mano. Se per il bimane Nole spingere sopra la spalla sinistra è semplice per Federer è impossibile. Questo strano triangolo delle bermude ha scritto la storia della New Golden Age del Tennis e ha tenuto sotto scacco un’epoca. Fino a Melbourne. Quello che è successo in Australia è la chiusura di un cerchio. Una partita che riscrive retroattivamente la storia degli ultimi quindici anni. È la storia di un uomo che decide di spostare la sua perfezione a un livello superiore rischiando tutto. È la storia di un uomo che riesce a trasformare il suo tallone d’Achille nel Tacco di Dio. L’unica possibilità per Roger di capovolgere il suo destino era quella di colpire due metri avanti, prima che la palla assassina s’impennasse. Un’idea semplice ma fragilissima. Senza margine. Abbandonare l’armatura e stare in equilibrio sui millesimi di secondo. Esplodere quei rovesci di controbalzo equivale a colpire un sasso con una frusta. Mentre stai correndo. Puoi solo crederci. Non devi avere paura. E devi frustare sassi per quattro ore consecutive senza un domani. Sfidando l’errore e dimenticandosi che due metri più indietro c’è la tua bella armatura calda che ti ha reso immortale. Più o meno è questo quello che è successo. Grazie a Rafa, e al dio che ce lo ha mandato su un campo di tennis, è andato finalmente in scena l’uomo. E ha vinto. E ha sconfitto il suo vero buco nero: le partite epiche. Prima dell’Australia le aveva perse tutte, ma proprio tutte. Con Rafa, con Nole, con Safin, con del Potro. Paradossalmente l’unica vera grande partita epica vinta era stata la prima, con Sampras. Domenica ha chiuso finalmente il cerchio.
Ma forse era già tutto scritto. Troppe coincidenze. La testa di serie numero 17, come Pete a NY. Lo stesso luogo delle lacrime di nove anni fa. Lo stesso avversario. La stessa semifinale. Di nuovo al quinto. Ma tutto questo appartiene a un altro campo. Quello più ampio della narrazione. Lo sport senza narrazione rimane solo sport. L’incredibile è il motivo per cui si raccontano le storie e si scrivono i libri. Per potere rivivere il momento, come fanno i bambini con le favole. Per poter tirare fuori altri significati. Come si fa con le stelle. I libri e le biblioteche servono principalmente per questo. Anche quelle piccole, soprattutto quelle piccole. Come questa.
[1] Per esplorare questo concetto vedi “Clerici, 500 anni di Tennis”, qui la recensione su Ubitennis
[2] Vedi il celeberrimo “Federer come esperienza religiosa”, qui le recensioni su Ubitennis (prima parte, seconda parte).
[3] Per una restituzione dell’inquietante (e terapeutica) dimensione collettiva prodotta dall’assistere ad una partita dello svizzero vedi “Zampieri, Federe & Freud, Cronaca di una terapia”, qui la recensione su Ubitennis.
[4] Per un approccio invece più filosofico vedi: (Magnani, La filosofia del tennis) – qui la recensione – e (Scala, I silenzi di Federer) – qui la recensione.
Bibliografia essenziale:
Bottazzi L. e Rossi C., Il codice del tennis. Bill Tilden. Arte e scienza del gioco, Guerini Next, 2015.
Clerici G., (1974), 500 anni di tennis, Mondadori, 2004.
Fisher M. J. (2009), Terribile splendore. La più bella partita di tennis di tutti i tempi, tr. it Cognetti P. e Bonfanti F., 66thand2nd, 2013.
Magnani C., Filosofia del tennis. Profilo ideologico del tennis moderno, Mimemis Edizioni, 2011.
Scala A., (2011) I silenzi di Federer, tr. Giarda A., O barra O edizioni, 2012.
Wallace D.F., Il tennis come esperienza religiosa, tr. Granato G., Einaudi, 2012.
Zampieri P.P. (2014), Federer & Freud. Roma BNL 2102. Cronaca di una malattia-terapia, La Feluca Edizioni, Messina (ebook).
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