L’Italia studia il Belgio, aspettando Fognini (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)
Aspettando Fabio. Continua a essere un’incognita la presenza di Fabio Fognini a Charleroi per il quarto di Coppa Davis contro il Belgio. L’azzurro è tornato da Miami, dove ha giocato una storica semifinale contro Nadal, piuttosto acciaccato. Gomito, polso, piede. Insomma tornare sul cemento per poi tuffarsi sulla «sua» terra rossa potrebbe essere un problema. Il cuore di Fognini, quando si tratta di nazionale è grande, e se non dovesse riuscire a scendere in campo con la squadra è perché l’infortunio è più serio del previsto. In attesa di capire l’evoluzione dell’infortunio il capitano Barazzutti si è cautelato chiamando Alessandro Giannessi. «Stiamo aspettando notizie da Fabio per conoscere quali sono le sue condizioni – spiega – e capire se potrà raggiungerci o meno qui a Charleroi. Si sta portando dietro un problema al polso e al piede da qualche settimana e a Miami la situazione purtroppo è peggiorata. Giannessi è venuto con noi come quinto giocatore come già accaduto al primo turno nella trasferta in Argentina. Se Fabio non dovesse farcela Alessandro entrerà nel quartetto».
I rivali schierano il loro numero 1 David Goffin, numero 14 al mondo, e non sono certo da sottovalutare. Fattore pubblico e superficie sono dalla parte dei vicecampioni del 2015, sconfitti dalla Gran Bretagna di Murray in finale. «Darcis gioca sempre molto bene in Davis, praticamente al primo turno ha battuto quasi da solo la Germania — spiega Barazzutti —. E Goffin è un ottimo giocatore». Proprio Darcis, 33 anni e numero 53 del ranking, non gioca dal torneo di Delray Beach di fine febbraio dove si era ritirato nei quarti tornando a casa per problemi familiari: Camille, la figlia di quattro anni, è stata operata al cuore per una malformazione congenita e ora fortunatamente sta bene.
Tra gli altri quarti la Spagna senza Nadal affronta la Serbia di un forse ritrovato Djokovic a Belgrado. Nole, protagonista di un brutto avvio di stagione si è fermato per un problema al gomito e rientra proprio per vestire la maglia della sua nazionale. «Ho bisogno di giocare molti match per ritrovare la giusta condizione – spiega Nole -. Non difendere il titolo a Miami non è stato piacevole, ma almeno ho potuto godere della mia famiglia per una intera settimana, cosa che non succede molto spesso. Mi sento rigenerato (…)
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Un circuito per salvare i giovani (Paolo Rossi, La Repubblica)
Luglio 1985: Boris Becker trionfa a Wimbledon a 17 anni e 227 giorni. Aprile 2017: Roger Federer conquista il torneo di Miami ( dopo Australian Open e Indian Wells) a 35 anni e 240 giorni. Due eventi, in un intervallo di (quasi) trentadue anni che raccontano il cambiamento epocale del tennis. Con un’unica sintesi: la racchetta è diventata affare per gente esperta e navigata. Lo dicono i fatti, questo è lo stato dell’arte. I giovani faticano ad emergere. Perché? Una risposta l’ha fornita la Itf ( International Tennis Federation ), la federazione mondiale, attraverso uno studio, PlayerPathaway, lungo tre anni. In estrema sintesi dice che il tennis soffre di inflazione perché ci sono 14mila tennisti attivi che intasano i circuiti, affollano il sistema e impediscono l’arrivo dei nuovi talenti. Direte, fa parte del gioco. Ma, ribatte la federazione, 7mila di questi atleti sono presunti tennisti, nel senso che non guadagnano un euro, e troppi sono in perdita. L’età di tutti aumenta sempre più. «Cosi non si può più andare avanti», ha ammonito David Haggerty, n. 1 di Itf. E ha preteso una riforma, appena annunciata: dal 2019 scatterà dunque il Transition Tour. Un nuovo circuito che, negli intenti, dovrebbe garantire pari opportunità ma, soprattutto, riduzione dei costi e dei giocatori stessi. «Il nostro obiettivo è arrivare alla creazione di un gruppo di professionisti composto da non più di 750 uomini e 750 donne».
Ma come ha accolto il mondo del tennis la novella? «Nessuno si è espresso perchè i dettagli non sono ancora noti, ma diciamo che c’è un certo scetticismo», ammette con sincerità Umberto Rianna, già coach di Xavier Malisse e Potito Starace: ha lavorato alla Bollettieri Academy e oggi cura il progetto under 18 della Federtennis italiana. «In molti hanno paura che, invece di estirpare il male, questo si riveli solo un palliativo e che alla lunga peggiori le cose». Resta il fatto che il tennis oggi è diventato più complicato. «Competitivo, direi. Ai miei tempi non c’era tutta questa gente, oggi fai fatica a battere anche i cinesi, con tutto il rispetto, se non sei concentrato». Sullo sfondo, anche se nessuno vuole ancora dirlo, c’è il rapporto tra Itf e Atp/Wta, le associazioni di giocatori e giocatrici che regolano il mondo professionistico: come può mai pensare di farlo la federazione mondiale, che non dà punti per la classifica? E che, per dirla tutta, non è ancora stata capace di rinnovare la Coppa Davis? In sostanza, il calendario del tennis è già cosi fitto che si rischia di ingolfarlo completamente.
«Oggi ci sono i Future, dove giocano anche i trentenni, e dunque i ragazzini non riusciranno mai a emergere – spiega Rianna – forse è qui che bisogna intervenire. Che poi siano necessari cambiamenti radicali, per affrontare i problemi del passaggio da juniores a professionista, non si può che essere d’accordo». E allora, cosa c’è da attendersi? «I costi del tennis sono quasi raddoppiati rispetto agli anni ’90. E anche i tempi della maturità si sono allungati. Infine, i tennisti bravi sono diventati più longevi, e non mi riferisco soltanto a Federer. Cosa voglio dire? Che ci vuole molta più pazienza per emergere (…)