Proprio pochi giorni fa su Ubitennis si è parlato di Janko Tipsarevic e della sua prodigiosa scalata della classifica ATP negli ultimi dodici mesi, che non aveva paragoni. Beh, il 32enne tennista di Belgrado si è migliorato ancora. Con la vittoria di domenica in finale sul francese Quentin Halys ad Anning, in Cina, ha conquistato il quarto torneo Challenger (su quattro disputati) in stagione e da lunedì è n. 62, lui che dodici mesi fa era n. 581. Si tratta del suo best ranking dal febbraio 2014, quando già da alcuni mesi i problemi al piede sinistro si facevano sentire e prima che due operazioni a quel piede ed un’altra al ginocchio, di fatto bloccassero la sua carriera per tre anni, fino all’aprile dello scorso anno. L’obiettivo di tornare nei top 50 è sempre più vicino.
Il comeback di Janko è ovviamente seguito in maniera particolare in patria. Proprio poco prima di partire per la trasferta cinese che gli avrebbe regalato la doppia vittoria nei Challenger di Quindao e Anning, l’ex n. 8 ATP è stato intervistato da un quotidiano serbo. Una lunga intervista (pubblicata in due parti, 1 e 2) di cui nel seguito riportiamo un’ampia sintesi, in cui ha parlato – con la consueta schiettezza – di sé, della sua carriera e del suo futuro, ma anche di alcuni dei principali temi di attualità nel tennis maschile.
Si parte con un recente punto dolente, agonisticamente parlando: la trasferta sudamericana, dove in due occasioni (a Buenos Aires e a Rio del Janeiro) Tipsarevic è stato eliminato al primo turno dai futuri vincitori del torneo (rispettivamente Dolgopolov e Thiem). Di conseguenza è saltato l’obiettivo di recuperare posizioni in classifica e tornare già a febbraio tra i primi 60-70 giocatori del mondo.
Non mi piace lamentarmi del sorteggio e preferisco glissare sull’argomento, quando mi hanno chiesto come è andata in Sudamerica ho detto che è andata male e basta. In carriera ho avuto sorteggi buoni e cattivi, nessuna carriera è dipesa dai sorteggi. Ma se poi proprio mi tirano fuori l’argomento, non posso non notare che da quanto sono rientrato la scorsa primavera i sorteggi a livello di tornei ATP e Slam non mi sono stati favorevoli. Lo so che se vogliono tornare tra i primi cinquanta, trenta o venti, sono giocatori che devo battere, però dico: “Dammi un attimo. Un turno o due. E che dopo arrivino Nishikori, Dimitrov, Raonic…“ Sono tutti giocatori con cui ho giocato nei primi turni. Sento di giocare bene, ma di non essere ancora al livello di gioco e di fiducia per batterli in queste situazione. La fiducia in se stessi è una brutta bestia, vi può aiutare o intralciare. Ma io sono dell’idea che se continuo a scavare troverò l’oro.
La fiducia in se stessi. Nel tennis si ritiene che spesso si tratta proprio di quello che fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
Nel tennis la fiducia in se stessi dipende molto dalle vittorie, dal sentire quella sensazione interiore di poter vincere anche quando non si è al meglio solo perché negli ultimi due mesi hai sentito ripetere una quindicina di volte: “Game, set, match, Tipsarevic.” Praticamente, dentro di te sai che non puoi perdere. Attenzione, a Indian Wells molti match si sono risolti su un paio di punti, quindi la fiducia in se stessi non garantisce di vincere tutte le sfide, ma aumenta le chances. Quando invece non sei in fiducia, allora secondo me la chiave risiede nell’avere una condizione fisica ottimale. Ai due Challenger che ho vinto ad inizio stagione non sono arrivato in fiducia e neanche al top dal punto di vista del gioco, ma l’essere in forma fisicamente mi ha dato sicurezza nei momenti in cui mi sentivo in difficoltà.
L’esito negativo della trasferta sudamericana ha comportato la necessità di cambiare la programmazione per raggiungere comunque l’obiettivo di rientrare nei primi settanta al mondo il prima possibile (obiettivo raggiunto proprio questa settimana, ndr).
Giocherò i Challenger in Estremo Oriente quando in Europa sarà iniziata la stagione sulla terra. Avrei già i punti per entrare direttamente nel tabellone principale dei tornei ATP, dato che ogni settimana ce ne saranno almeno un paio, ma il mio obiettivo è quello di raccogliere un buon bottino di punti prima dei tornei che mi piacciono: Queen’s, Wimbledon, Washington, Atlanta, Cincinnati… È lì che voglio essere nel tabellone principale.
Trentatré anni a giugno, “Tipsy” sente di poter esprimersi ad alto livello ancora per 3-4 anni. Per questo, mentre si preparava per il rientro e poi anche in seguito, ha lavorato molto sull’ottimizzazione dei movimenti sul campo da gioco. Seguendo le indicazioni del professore Dusan Ilic dell’Università di Belgrado, esperto in biomeccanica, ha lavorato per modificare il suo modo di muoversi sul campo, cercando di sfruttare al massimo il lavoro del busto negli spostamenti e di ridurre gli spostamenti laterali, per renderlo anche meno dispendioso dal punto di vista energetico. Aspetto fondamentale per poter rendere al meglio superata la trentina. E parlando del fatto di riuscire ad esprimere ancora un grande tennis anche se si è abbondantemente sopra la trentina, era ovvio che il discorso cadesse sul grande inizio di stagione del 36enne Roger Federer.
Federer è un grande campione, ma uno dei motivi per cui ha vinto è che Djokovic e Murray non sono al massimo. Questo Federer non sono sicuro avrebbe avuto delle possibilità contro il Novak dello scorso anno. Non lo dico perché sono amico di Novak, questa è la mia opinione. Altra cosa, è anche accaduto che sia stato il più veloce Australian Open finora, almeno così mi hanno detto tutti (e lo aveva confermato lo stesso Federer a Melbourne, ndr ). Per la prima volta dopo non so quanto tempo non hanno riverniciato i campi e quindi il manto era quello dello scorso anno. E se non lo rivernici, il campo diventa sempre più veloce. Detto questo, a Melbourne Federer ha battuto in cinque set Nishikori, Wawrinka e poi Nadal. Più di ogni altra cosa voleva dimostrare a tutti che non è ancora pronto per la pensione. Inoltre non aveva nessun dolore e sono sicuro che nell’ultimo periodo ha sempre giocato con qualche piccolo fastidio che non gli ha permesso di fare quello che voleva in campo. Oltre a questo, ritengo che Ivan Ljubicic lo abbia aiutato molto nel migliorare il rovescio. Roger dal mio punto di vista in questo momento gioca il rovescio come non ha mai fatto in carriera.
Federer è anche un esempio di come trovare sempre nuove motivazioni e di come riuscire a mantenere inalterato il proprio spirito competitivo dopo tanti anni di vittorie.
L’unica cosa che motiva uno sportivo è il risultato. Io sono convinto che Federer ora è motivato perché vede la possibilità di tornare n. 1. Cosa potrebbe stimolarlo di più, lui che è il migliore di tutti di tempi, dell’essere di nuovo il n. 1? L’unico modo per motivarti è quello di fissare un obiettivo più grande di quelli che hai già raggiunto e poi prepararti e convincerti che puoi raggiungerlo. Uno dei motivi per cui sono crollato in classifica, oltre agli infortuni, è che avevo smesso di guardare quelli davanti a me, di guardare dov’erano Ferrer e gli altri, e invece mi sono messo a guardare indietro, a quelli che mi stavano tallonando nel ranking. Semplicemente devi sempre guardare avanti, devi sempre dirti: “Voglio qualcosa in più”. Non solo nel tennis, anche nella vita. E deve sempre esserci una piccola dose di insoddisfazione – il che non significa essere triste, ma solo che devi volere qualcosa di più, perché è questo che ti spinge a svegliarti alle sette del mattino per andare ad allenarti.
Parlare dello svizzero è anche parlare del passato per Tipsarevic. Per la precisione del gennaio 2008, quando sfiorò la vittoria contro il fuoriclasse di Basilea, perdendo 10-8 al quinto al terzo turno degli Australian Open.
Mi spiace molto non avere il suo scalpo. Con Federer ho uno score pessimo, 0-6, ma non è niente di cui vergognarsi, dato che è così per il 90% dei giocatori del Tour. Ho battuto tanti top 10 e una vittoria su di lui sarebbe stato un bel ricordo. Ma non è successo. In quel match sono state veramente poche occasioni che non ho sfruttato. Lui servì benissimo, fece tantissimi ace – io quel giorno sentivo di essere superiore se entravamo nello scambio, ma lui sfruttò incredibilmente servizio e dritto e non mi consentì spesso di portarlo a scambiare sulla diagonale di rovescio o su altri schemi a me più favorevoli.
Non ci è riuscito contro Roger Federer, ma Janko può comunque vantare nel suo palmarès la vittoria su un ex n. 1 del mondo. Si tratta di Andy Roddick, che ha sconfitto in due occasioni, a Wimbledon nel 2008 e poi agli US Open 2010. A New York con tanto di “minaccia” ricevuta dal Kid del Nebraska a fine partita.
Roddick era un giocatore contro di cui mi trovavo bene, mi piace giocare contro i grandi battitori che “bombardano”, perché la velocità non è un problema per me. Mi danno invece fastidio i battitori che colpiscono con precisione, come Federer, per poi entrare e dominare lo scambio. Quando battei Roddick a Wimbledon, il tabellone era aperto fino alle semifinale, ma persi l’occasione e al posto mio in semifinale ci arrivò Schuettler. Così, quando poi lo sconfissi nuovamente a New York, al momento della stretta di mano a fine partita Andy mi disse: “Se anche stavolta esci subito, ti ammazzo.”
Janko in effetti perse al turno successivo anche quella volta, contro Monfils. Accade spesso che un giocatore dopo aver vinto un match in cui era nettamente sfavorito, nel turno successivo si ritrovi svuotato di energie e finisca per perdere da un giocatore che invece è ampiamente alla sua portata. Tipsarevic ha una sua teoria sul perché succede.
La questione non è che uno sente il peso delle aspettative. Semplicemente, giocatori come ero io allora non sono abituati a giocare davanti a 15.000 persone su un campo centrale. Tipsarevic in genere giocava sul campo n. 15 vicino al parcheggio, contro chissà chi. Dopo che lo hai messo sul campo centrale, dopo che ha provato così tante emozioni, quella vittoria non la vive tranquillamente, ma come un qualcosa di incredibile. Ecco perché il match dopo si ritrova “spento”, e questo accade spesso. Ad esempio, ultimamente abbiamo visto cosa è successo a Kyrgios ad Indian Wells dopo la vittoria su Djokovic. Si è ammalato. Pochi giocatori riescono a mantenere lo stesso livello dall’inizio alla fine del torneo, in questo è fondamentale sapere gestire le emozioni.
Proprio dopo quegli US Open, la carriera di Tipsarevic ebbe una svolta. L’ex n.1 del mondo juniores che fino ai 26 anni non era mai entrato tra i primi trenta giocatori del mondo e non aveva mai vinto un torneo ATP, all’improvviso cambiò marcia: l’anno dopo era un top ten e aveva in bacheca due vittorie del massimo circuito professionistico.
Per la prima volta mi diedi un obiettivo in termini di ranking. Fino ad allora non mi ero mai detto: “Voglio questo e questo.” Ero un fifone. Il 99% dei giovani giocatori, e in generale delle persone che non hanno successo, hanno soprattutto paura di se stessi. Non vogliono porsi degli obiettivi per poi rischiare di non raggiungerli. Soprattutto i ragazzi di talento, e ne ho visti a migliaia, tra la mia società di management e l’accademia di tennis. Ed io ero uno di loro… Tutti a comportarsi come se non fosse cool dare il meglio di sé. Osservo come i ragazzi guardano il tennis mondiale: non è cool Ferrer che si allena tutto il giorno e dà sempre il 100%, o Marin Cilic che è sempre in palestra. No, sono cool Kyrgios e Fognini. Ecco, io ad un certo punto ho avuto il coraggio di dirmi: “Quest’anno voglio entrare nei top 20 e vincere il mio primo titolo. E se non succede, cado e riparto.” L’unico modo per riuscire è questo. Sono stato abbastanza coraggioso da dare tutto me stesso anche a costo di non ottenere niente in cambio. La maggior parte dei giovani non da tutto se stesso perché cerca sempre degli alibi. Hanno un piccolo grillo sulla spalla che gli ripete: “Ma sì, se davi il massimo lo avresti battuto.” Moltissimi hanno fallito per questo, mentre invece un gran numero di quelli che hanno lavorato in silenzio hanno ottenuto molto nel tennis.
In realtà il “click” nella mente del giocatore serbo avvenne a fine 2010, dopo aver raggiunto un importante traguardo della sua carriera.
È accaduto dopo che abbiamo vinto la Coppa Davis nel 2010, anche se non è strettamente legato a quella vittoria. C’è una bella domanda che viene posta, in termini motivazionali, nello sport professionistico: “Lo vuoi o lo vuoi VERAMENTE?“ Ecco, io in quel momento decisi che volevo VERAMENTE qualcosa di più. Che se avessi interrotto la mia carriera o se il mio best ranking fosse stato n. 40 mi sarei sentito parecchio insoddisfatto. Avrei voluto mettere la testa a posto prima, quando ero ancora quindicenne, così avrei potuto avere una carriera come quelle di Gilles Simon o Thomas Berdych. Semplicemente, a quel tempo pensavo di poterlo fare, ma non mi ci sono messo a farlo.
Parlando di giocatori da prendere come riferimento per il loro approccio in questo senso, Janko ha citato anche David Ferrer. Ma il tennista spagnolo si dice non sia un modello da prendere come riferimento in assoluto, dato che pare avesse il vizio del fumo.
Ha fumato fino a tre-quattro anni fa, poi ha smesso. Ricordo che prima del nostro match al Masters di Londra (nel 2012, vinse lo spagnolo al terzo, ndr) siamo andati entrambi in bagno e lui ci è andato con la sigaretta in bocca! Corrisponde al vero anche che Nadal quando era già n. 2 o 3 al mondo beveva ancora un paio di litri di Coca Cola al giorno e si ingozzava di Nutella. Un terzo dei giocatori del Bayern fuma, lo so per certo perché sono stato al ristorante con loro. È vero, ci sono diverse cose che non sono il massimo per uno sportivo, e io non allenerei mai uno che fuma o beve, ma ognuno è responsabile delle sue scelte e decide come comportarsi. Ferrer, ad esempio, compensa allenandosi tutto il giorno ogni giorno.
L’ex n. 8 del mondo (classifica che ha mantenuto ininterrottamente dall’aprile al luglio 2012) ci tiene però a precisare che il grado di professionalità dei giocatori è cresciuto enormemente in questi anni.
Negli ultimi tempi, cose di questo genere se ne vedono sempre meno. I tennisti fanno molta più attenzione a cosa fanno a cosa mangiano. Hanno iniziato ad investire su se stessi, e non ha molto senso avere il preparatore fisico, l’allenatore, il fisioterapista e poi fumare un pacchetto di sigarette al giorno… Per questo le carriere si sono allungate. Io ho quasi 33 anni ma sono ancora in grado di giocare un buon tennis, perché non ho fumato, bevuto o fatto fesserie di alcun genere. O almeno non negli ultimi quindici anni! Il pioniere di questo approccio è stato Ivan Lendl – è stato il primo ad impostare un metodo ben preciso basato sul cosa mangiare e sul come allenarsi. Lui addirittura è andato agli estremi, allenandosi tutto il giorno e mangiando solo determinati alimenti. Credo però che tutto vada a periodi: secondo me, ad esempio, buona parte delle nuove generazioni non curano adeguatamente la parte di condizionamento fisico. Si lavora molto sull’equilibrio funzionale, si allenano gli addominali ed i muscoli della schiena in palestra, ma credo che molti dei giovani abbiano smesso di correre. Come se la corsa fosse un qualcosa della “vecchia scuola”: non vogliamo correre, andiamo in palestra a lavorare sulla core stability così possiamo avere il telefono nella mano destra e mandare una foto su Instagram. La corsa è una delle cose fondamentali nel tennis.
Come tutti gli appassionati, anche Tipsarevic ha i suoi giocatori preferiti. Attualmente tra i colleghi apprezza in particolare due top ten.
Mi piace soprattutto come gioca Kei Nishikori, è incredibile che con quel servizio così debole riesca a vincere dei match così facilmente – quando è in forma, perde pochi game a partita. Però ha tanti alti e bassi, il suo problema sono gli infortuni. Per quanto riguarda l’etica del lavoro, il migliore è Dominc Thiem – questo è qualcosa che so per certo perché mio fratello Veljko lavora come aiuto-allenatore nell’accademia dove lui si allena. Il ragazzo è un fenomeno per quanto sa lavorare e soffrire: l’unica cosa è che gioca troppi tornei, per i miei gusti.
Da Thiem agli altri giovani talenti del circuito, il passo è breve. In particolare ovviamente quelli attualmente sulla bocca di tutti: Nick Kyrgios e Alexander Zverev.
Kyrgios è un incredibile giocatore “da match” – sente quando deve spingere, sente il momento nel modo giusto, credo che il suo score nei tie-break sia spettacolare. Però il suo stile di gioco non mi piace. Zverev invece credo diventerà il nuovo n.1, è un tennista completo. Forse non si muove benissimo in campo, però ha appena 19 anni ed è alto quasi due metri. Questo non si capisce guardando i match in TV, la gente che li vede alla TV poi paragona lui o Berdych a Goffin e dice: “Si muove male.” Ma Goffin è 20 cm più basso!
Parlando di giovani promesse, uno che pare essersi fermato dopo l’infortunio al ginocchio è Borna Coric, attualmente fuori dalla top 50 dopo essere stato vicino ad entrare tra i primi trenta.
Coric tornerà, è solo questione di tempo. Il suo tennis è molto fisico, lui è incredibilmente dotato fisicamente. E quando non sei sicuro che il fisico ti supporti, come accade dopo un’operazione, allora non riesci a giocare al tuo massimo livello. Borna, fondamentalmente, non è un giocatore con un grande servizio o un gran dritto, lui vince perché quando si mette a giocare sul ritmo diventa veramente una macchina.
Si è parlato del suo presente e del suo passato. Ed il futuro di Janko Tipsarevic? Cosa farà quando appenderà la racchetta il chiodo? Il tennista serbo ha le idee chiare: ci sarà ancora il tennis, con l’accademia che gestisce a Belgrado, la società di management e molto probabilmente anche con una nuova carriera da allenatore.
Perché dovrei rimanere nel tennis? Perché il tennis è la cosa che so fare meglio e mi rende felice. Ho sentito una volta una frase: “Quando finisci la carriera, qualsiasi cosa decidi di fare, fai quello che sai fare meglio.” Ho visto molto spesso degli sportivi cercare di fare qualcosa di diverso, in campi in cui non erano esperti – e poi perdere i capitali che avevano guadagnato in tanti anni perché qualcuno li aveva truffati o avevano fatto cattivi investimenti.
Come il tennista belgradese ama spesso ripetere, è stato un buon giocatore da junior e poi di nuovo da senior dopo non essere stato niente di che per diversi anni, ed ora ha alle spalle anche diverse operazioni ed un rientro. Tutta questa esperienza potrà essere molto importante per i suoi futuri allievi.
Sì, credo che la carriera che ho avuto mi aiuterà come allenatore, e che potrò essere un allenatore migliore di qualche campione di altissimo livello proprio perché conosco entrambi i lati della medaglia, conosco aspetti molto diversi della carriera di un giocatore. Uno dei miei desideri è prendere un giocatore e farlo crescere sotto la mia guida, in modo che si veda la differenza tra prima e dopo.
Tipsarevic lavora da otto anni con il coach tedesco Dirk Hordorff ed il suo obiettivo è quello di riuscire ad applicare, quando diventerà allenatore, i principi ed il metodo di lavoro che hanno condiviso in questi anni. Già adesso chiede agli allenatori della sua accademia di lavorare con questo approccio.
Al giocatore si devono fornire solo le indicazioni relative a quello su cui deve concentrarsi in quel dato momento, non ci sono altre indicazioni da dare. Se come team lavoriamo su un aspetto, è importante che nella mezz’ora in cui ci lavoriamo tutto il resto passi in secondo piano. Molti allenatori invece amano intervenire, quasi volessero ascoltare il suono della propria voce: il giocatore fa un errore e loro glielo dicono, pensando così di aver fatto il loro lavoro. L’allenatore deve essere un po’ un pedagogista, deve saper scegliere quando e cosa dire, perché la questione non è correggere un determinato colpo, ma portare il giocatore a migliorarsi. E migliorare il dritto non significa dirgli ogni volta che non ci ha messo abbastanza spin o che non ha piegato abbastanza le gambe.
Ma il futuro per il momento può attendere. Prima Janko ha ancora qualcosa da fare. Prima deve e vuole scavare ancora un po’ dentro di sé e dentro il suo tennis, per trovare di nuovo quell’oro che aveva scoperto di avere sei anni fa. Con lo stesso coraggio. E una volta trovato, riprovare la sensazione di farlo risplendere sui campi del circuito. Ancora una volta, ancora per un po’. Così poi, da allenatore, potrà spiegare ancora meglio ai suoi allievi cosa significa non avere paura dei propri sogni.