Inutile nasconderlo: dopo l’annuncio da parte di Fabio Fognini del suo forfait per la trasferta belga, si era capito che le possibilità della nazionale azzurra di accedere alle semifinali del World Group si fossero ridotte al lumicino e il verdetto del campo non ha fatto altro che ribadire la superiorità dei belgi, quantomeno su una superficie veloce come il tappeto dello Spiroudome di Charleroi. La presenza del numero 1 azzurro, reduce dalla grande semifinale di Miami e dalla conquista del punto decisivo in Davis a Buenos Aires due mesi fa, poteva garantire teoricamente maggiori chance, sebbene il pronostico rimanesse in ogni caso a favore dei padroni di casa. Non va dimenticato che il ligure era in vantaggio 1-0 con Goffin negli scontri diretti (vinse sul duro di Pechino nel 2015) ed era avanti 3-2 con Darcis nei precedenti che considerano anche le sfide nei circuiti minori (qualificazioni, Challenger e Futures) e, circostanza non secondaria, la sua presenza in campo poteva far giocare un pizzico più deresponsabilizzati ed a braccio sciolto gli altri singolaristi.
In ogni caso, torniamo dal Belgio con la consapevolezza di avere un buon doppio alternativo a quello composto da Fognini e Bolelli (Andreas e Simone in coppia vinsero del resto nel 2016 l’ATP 500 di Dubai sconfiggendo ottime coppie) e con pochi rimpianti, se non magari il mancato utilizzo nella terza giornata di Bolelli, il quale, seppur reduce da un lungo doppio il giorno prima e da poche partite come singolarista a seguito del rientro nel circuito a febbraio, in carriera ha dimostrato di avere maggiori armi e potenzialità sull’indoor, dove ha sconfitto top ten e vari ottimi giocatori, a differenza di Lorenzi, che ha costruito la sua pregevole classifica soprattutto sui campi in terra rossa. La sconfitta non mette in discussione il buon livello medio della nostra squadra, dall’età media alta (il più giovane, Fognini, compie a maggio 30 anni), ma capace di raggiungere, negli ultimi 5 anni, per 4 volte i quarti di finale (con la punta della semifinale persa in Svizzera nel 2014). Una bella soddisfazione per una nazionale azzurra che, dopo essere uscita dal World Group nel 2000 per mano del Belgio nell’incontro di Mestre, era tornata dove era sempre stata solo nel 2012, dopo aver battuto il Cile nello spareggio del 2011 e dopo anni di umiliazioni, come la Serie C, arrivata dopo l’umiliante sconfitta patita nel 2003 in Zimbabwe. Preoccupa, semmai, la mancanza di ricambi validi all’orizzonte: dando una veloce occhiata alla classifica, il miglior under 23 azzurro è Stefano Napolitano, 177 ATP, ed è su questo problema che andrebbero accentrate le luci dell’attenzione mediatica.
Se il settore maschile di certo non ride, quello femminile piange sempre più: questa settimana le uniche due tenniste italiane iscritte a tornei hanno rimediato in due una sola vittoria. Ma se a Francesca Schiavone, quasi 37enne, non si può imputare nulla ed anzi va elogiata per come è riuscita a mettere in difficoltà la Kerber, preoccupa sempre più l’involuzione della Errani, autrice a Charleston di una pessima prova, che con ogni probabilità le costerà la necessità di passare dalle quali per partecipare al Roland Garros. Ma a prescindere da questo, l’emiliana ha soprattutto bisogno quanto prima di ritrovare fiducia nel suo tennis con qualche vittoria: in questo periodo professionale sembra molto fragile psicologicamente, come fa immaginare anche il suo tweet post-eliminazione a Charleston.
L’ex numero 5 del mondo sta vivendo un momento molto delicato della sua carriera, che già tantissime soddisfazioni le ha regalato: dopo un deludente 2016, il cambio di guida tecnica deciso a fine stagione – da Lozano che l’aveva accompagnata dagli esordi nel mondo pro, a Montalbini, suo maestro dagli 8 ai 15 anni – non ha prodotto gli effetti sperati e, complice anche una serie di problemi fisici, questo 2017 è iniziato in maniera peggiore, con l’uscita (temporanea) dalle prime 100.
L’emiliana, che tra una ventina di giorni compie trent’anni, purtroppo non riesce a vincere due partite di fila dallo scorso agosto ai giochi olimpici di Rio, dove sconfisse Kasatkina e Strycova, prima di perdere dalla Bertens: l’inevitabile conseguenza è stata la discesa in classifica che, come detto, le costa il concretissimo rischio di dover affrontare le quali per poter partecipare al Roland Garros. Proprio per cercare di giocarsi le ultime chance per scongiurare tale ipotesi, Sara per la quinta volta si è iscritta al Volvo Car Open di Charleston, nel South Carolina, uno dei tornei più antichi e nobili del circuito, capace di vantare un albo d’oro con campionesse che hanno fatto la storia di questo sport come Tracy Austin, Jennifer Capriati, Stefi Graf, Conchita Martinez, le sorelle Williams, Martina Hingis e Gabriela Sabatini. In quello che è ormai l’unico torneo del circuito a giocarsi sulla terra verde, Sara difendeva i pesantissimi 185 punti della semifinale conquistata l’anno scorso alla Family Circle Cup, quando si arrese alla Vesnina. Sorteggiata contro la lucky loser Grace Min, 23 enne statunitense di Atlanta, n°129 WTA, battuta molto nettamente nell’unico precedente degli Autralian Open 2015, Sara ha bissato la tipologia di successo: involatasi sul 4-0 dopo venti minuti, ha chiuso il primo set 6-1, concedendo appena 13 punti all’avversaria. Dopo una distrazione costatale lo smarrimento del servizio in apertura di secondo, ha poi inanellato un filotto di sei giochi consecutivi, che le hanno regalato il duplice 6-1.
Al turno successivo Sara aveva un ostacolo certamente non insormontabile, l’australiana di origini russe Anastasia Rodionova, numero 669 WTA, ma top settanta nel 2010, proveniente dalle qualificazioni: vi era un solo precedente tra le due, al secondo turno dello US Open 2014, vinto dall’azzurra in due set. Purtroppo questa volta Sara è scesa in campo nella sua versione peggiore, come si evince dalle statistiche relative al suo colpo più debole e che quindi maggiormente funge da termometro della sua forma, il servizio: nonostante un buon 72% di prime in campo, l’Errani ha vinto la miseria di 29 % di punti con la prima e del 33% con la seconda. Con tali numeri è impossibile fare partita pari e difatti Sara ha perso con un netto duplice 6-2 in appena 1 ora ed 1 minuto di gioco, durante i quali non è praticamente mai stata in partita, se si eccettua il break in apertura di secondo set regalato dalla Rodionova con due doppi falli.
Francesca Schiavone è ammirevole per l’umiltà e la passione con la quale sta girando il circuito in quest’ultima sua stagione di una eccellente carriera, incurante di una classifica che si fa sempre più modesta (152 WTA), che la costringe alle quali nei Premier e nei prossimi Slam (con ogni probabilità quelli europei, almeno). La Leonessa, che non ha la meglio su una top 100 dallo scorso ottobre, quando in Lussemburgo sconfisse la Siegemund, si è iscritta alla nona edizione dell’ International WTA di Monterrey (250.000$ di montepremi), terza città più popolata del Messico, situata nella sua parte nord-orientale. Francesca, che partecipava per la terza volta in carriera all’Abierto GNP Seguros, è stata decisamente sfortunata nel sorteggio del tabellone, che l’ha accoppiata alla numero 1 del mondo Angelique Kerber. I precedenti tra due giocatori danno sempre indicazioni utili: la nostra tennista aveva sconfitto in 3 occasioni su 5 la primatista del ranking, sebbene la mancina teutonica sino al 2015, anno degli ultimi scontri tra le due, non fosse ancora esplosa a grandissimi livelli.
Francesca a Monterrey ha confermato di avere nel suo repertorio le armi tecnico-tattiche per dare molto fastidio alla Kerber: nonostante le 150 posizioni di differenza in classifica, la tennista azzurra ha onorato la wild card concessale dagli organizzatori vincendo in 37 minuti con merito un primo set giocato con grandissima attenzione (spicca un eccellente 80% di prime palle in campo). Un fisiologico calo della milanese e la contestuale veemente reazione della tedesca, sono costate alla Schiavone un pesante filotto di 8 game a 0, che ha deciso di fatto la partita: dopo il 6-0 con il quale è stato archiviato in 22 minuti il secondo parziale, il terzo è stato deciso dall’unico break del set, quello subito in apertura dalla Schiavone, la quale, pur recuperando il bandolo della matassa del suo tennis,non è riuscita più a cambiare l’inerzia dell’incontro, finito nelle mani della Kerber col punteggio di 4-6 6-0 6-4 in 1 ora e 40 minuti.