Appurato che alla mezzanotte del 31 dicembre 1999 non era successo quasi nulla di catastrofico nel mondo, come invece il tanto annunciato Millenium Bug aveva fatto supporre, la vita continuò e il tennis pure. Erano altri tempi: pensate che i primi due del ranking erano statunitensi! E, tanto per non smentirsi, amavano poco la terra battuta europea. In particolare, a Sampras e Agassi non piaceva quella del suggestivo Country Club di Montecarlo, luogo affascinante nel quale tuttavia sia Pete che Andre avevano raccolto assai più amarezze che soddisfazioni: quattro partecipazioni a testa con appena tre vittorie complessive a fronte di otto sconfitte e di conseguenza mai oltre il terzo turno. Per uno dei tanti curiosi scherzi del destino, nella loro ultima apparizione nel Principato (1998) gli americani si erano ritrovati di fronte e lì Sampras aveva vinto il suo unico match su quella terra. Insomma, nell’aprile del 2000 sia Agassi che Sampras non erano a Montecarlo e, in obbedienza al ranking, la prima testa di serie viene assegnata a Yevgeny Kafelnikov, il “Principe di Sochi”. Tra i 64 giocatori ammessi al main-draw di quell’edizione, ci sono due slovacchi e la sorte li allontana nel tabellone riservando loro un sorteggio a dir poco ostile: Dominik Hrbaty riceve il pettorale immaginario n°3, a un turno quindi da Kafelnikov mentre Karol Kucera si trova il 63, accoppiato così alla seconda testa di serie, nientemeno che Gustavo Kuerten. La Slovacchia aveva iniziato la sua avventura autonoma in Coppa Davis solo sei anni prima, nel 1994, e aveva impiegato quattro stagioni per salire dal Gruppo 3 a quello dell’elite mondiale. Di quella nazionale Kucera, classe 1974, aveva fatto parte fin dall’inizio mentre Hrbaty si sarebbe aggregato due anni dopo, appena diciottenne. Alla vista del sorteggio, probabilmente Dominik è più preoccupato del primo match che dell’eventuale secondo. Sì perché l’esito dell’unica sfida sostenuta con il francese di belle speranze Arnaud Di Pasquale (sulla terra di Amsterdam, quasi un anno prima) non gli evoca piacevoli ricordi in quanto Hrbaty aveva raccolto appena cinque giochi: 6-2, 6-3. Con Kafelnikov invece, in caso di passaggio del turno, la memoria potrebbe iniettargli dosi consistenti di fiducia dato che nei quattro precedenti con il russo ha vinto tre volte e perso di misura (7-5 al quinto) allo Stadio Olimpico di Mosca in occasione dei quarti di Davis 1999.
I fili radi ma puntuali dell’insalatiera si intrecciano con quelli più frequenti e spessi del circuito e la Davis spesso diventa il teatro ideale per rappresentazioni drammatiche. Così, come Hrbaty era risultato l’anello debole contro la Russia un anno prima (oltre Kafelnikov, anche Safin lo sconfisse sempre in cinque set nel match decisivo), Kucera lo divenne due settimane prima di Montecarlo nella sfida esterna che gli slovacchi persero al cospetto di 10.000 scatenati tifosi dentro il Marapendi Tennis Racket di Rio de Janeiro con il Brasile. Nell’economia in rosso della sconfitta slovacca pesarono i due ko di Kucera, l’ultimo nel match decisivo con Meligeni dopo che Hrbaty aveva annientato Kuerten in tre partite. Ora Kucera e Kuerten si ritrovano a Montecarlo e Karol si prende la rivincita battendo Guga 6-2 al terzo dopo aver subìto un cappotto fuori stagione nel secondo. Nel turno successivo Dominik completa l’opera di distruzione dei favoriti monegaschi regolando Kafelnikov 6-3 5-7 6-4. Il principe era stato a un passo dal baratro quando Dominik aveva servito avanti 5-3 nel secondo set ma lì si era preso sette giochi consecutivi e aveva invertito l’inerzia della sfida. “Pensi che quell’errore sul 3-1 e 30-15 sia stato il punto di svolta?” gli aveva chiesto un giornalista in conferenza stampa e Yevgeny aveva ammesso che “quel rovescio sul nastro mi ha condizionato; avessi tenuto quel servizio il match non mi sarebbe sfuggito. Volevo vincere, volevo continuare a stare in questo torneo ma purtroppo è andata così e non posso farci nulla”. Con Kafelnikov e Kuerten, lasciano Montecarlo in anticipo sui tempi previsti dalla compilazione del seeding tutte le prime 8 teste di serie eccezion fatta per l’ultima, assegnata al francese Cedric Pioline. Sarebbe stato dunque un torneo aperto a soluzioni di ogni tipo ma, quando glielo chiedono, Hrbaty glissa sull’argomento: “Ho superato un altro turno ma questo non fa di me uno dei favoriti” dice.
E ne ha tutte le ragioni. Anche se non c’erano più Norman, Lapentti, Rios, Enqvist e Henman, sono rimasti tanti ottimi specialisti della terra rossa, in primis spagnoli e argentini. Ma al terzo turno “Dominator” deve vedersela con un altro francese che gli assomiglia molto per caratteristiche tecniche, ovvero Arnaud Clement. Pur nati in anni diversi, i due sono divisi da appena 18 giorni: il transalpino è nato il 17/12/1977 mentre Hrbaty il 4 gennaio del ’78. L’ultimo mese del ragazzo di Aix-en-Provence era stato a dir poco deludente: dalla mancata qualificazione a Scottsdale aveva vinto uno solo dei quattro incontri disputati anche se a Miami si era trovato a un soffio dall’eliminare Kuerten. Il match rispecchia nello score i due disputati in precedenza da Hrbaty e Clement, con lo slovacco vincitore in due partite. “In questo momento lui è più solido di me” afferma il francese. “Ho cercato profondità ma, fatta eccezione per qualche errore nelle fasi finali dei due set, Dominik è stato quasi perfetto”. Nei quarti iniziano i guai, almeno sulla carta. L’esame da superare è di quelli che contano. Hrbaty ha affrontato Corretja una volta all’anno dal 1977 e sempre sulla terra; lo slovacco ha vinto la prima a Palermo e perso le due successive a Maiorca. Nel tempo, l’iberico ha lavorato sul suo tennis per adattarlo alle superfici meno lente e i risultati sono stati a dir poco strabilianti: degli ultimi sei tornei messi in bacheca da Alex, ben cinque sono arrivati sul duro tra i quali il Masters del 1998 e, di recente, Indian Wells. Non si pensi però che Corretja abbia perso l’abitudine a macinare chilometri sulla terra; piuttosto, ha aggiunto aggressività al suo gioco e non per caso è stato, poco più di un anno fa, n°2 del mondo. “La preparazione che abbiamo fatto per la trasferta in Brasile mi ha dato una mano per farmi trovare pronto qui ma su questa superficie ho già dimostrato di sapermela cavare. La semifinale dell’anno scorso al Roland Garros è una conferma. Sapevo che con Alex sarebbe stata dura e mi sono detto di essere paziente. Sono molto felice dell’esito di questa partita perché è un’ulteriore iniezione di fiducia”. Hrbaty, il cui gioco fa storcere il naso ai puristi tanto quanto il suo look (agli US Open 2005 indosserà una curiosa maglietta che lasciava scoperte le scapole…), recupera un set e batte anche Corretja 3-6 6-3 6-4 guadagnando l’accesso alle semifinali dove trova l’argentino Gaston Gaudio.
La storia in parte deve ancora essere scritta ma, anche senza saperlo, il nostro deve vedersela uno dietro l’altro con tre passati e futuri finalisti Slam; nel 2001 infatti Clement si giocherà, perdendolo con Agassi, il titolo degli Australian Open mentre lo stesso Corretja, già finalista a Parigi nel 1998 (battuto da Moya), si ripeterà tre anni dopo con lo stesso esito al cospetto di Kuerten in una domenica grigia e ventosa. Il terzo è Gaston Gaudio e l’argentino, nel 2004, la farà grossa recuperando due set e salvando due match-point al più quotato connazionale Coria per prendersi il trofeo che vale un’intera carriera: la Coppa dei Moschettieri. Ma quattro anni prima Gaudio è uno che si è fatto solida reputazione e una classifica dentro i 100 grazie ai Challenger per poi migliorarla nei primi mesi del 2000. A Montecarlo ci è arrivato da n°62 e piuttosto in sordina ma il suo classico gioco sudamericano che fa perno su un rovescio sublime ha lasciato senza parole due futuri numero uno come Safin e Ferrero. “Penso che sia stata una bella partita, con scambi lunghi e intensi. Gaston ha sbagliato pochissimo e potevo solo sperare che calasse, che mi fornisse l’occasione per entrare nel match” dirà alla fine un raggiante Dominik, anche se in realtà mentre lui ci entrava, nella semifinale, Gaudio ne usciva progressivamente intaccato nella fiducia dalla fatica che i palleggi prolungati con lo slovacco gli costavano. Hrbaty invece, vittorioso 4-6 7-5 6-2, ha ancora fiato da spendere e si può permettere di intrattenere parte della stampa raccontando della sua amicizia con il primo ministro slovacco Nicolas Dzurinda. Sopravvissuto alla falcidia delle teste di serie, Cedric Pioline è arrivato in finale dopo aver passato un brutto quarto d’ora al terzo turno contro il versatile ceco Slava Dosedel, che ha commesso un doppio fallo sulla palla del 5-1 nel terzo set e da quel momento non si è più ripreso. Il francese rischia di passare alla storia più per le finali perse (già due qui nel Principato, oltre agli US Open 1993 e Wimbledon 1997) che per quanto di buono ha fatto vedere nella sua carriera e sa di avere una delle ultime chance per colmare la lacuna. Non solo, potrebbe diventare il primo francese nell’Era Open ad alzare il trofeo monegasco, esattamente 37 anni dopo Pierre Darmon che ci riuscì nel ’63.
Previsto sulla lunga distanza, l’atto conclusivo si presenta piuttosto incerto. I francesi temono che la “maledizione” del Country Club possa riproporsi e non si fidano di quello slovacco rapido e capace di accelerazioni improvvise. All’inizio le condizioni atmosferiche aiutano il tennis più offensivo di Pioline, poi con la pioggia il campo inizia ad appesantirsi e il corri-e-tira di Hrbaty sembra prendere il sopravvento. “Nonostante abbia perso tutti i set, in realtà penso che oggi poche palle abbiano deciso chi avrebbe alzato la coppa” afferma un Dominik piuttosto deluso davanti ai microfoni. “Non ero per niente stanco e avrei voluto giocare altri due set” aggiunge senza perdere il sorriso. Pioline vince 6-4 7-6 7-6 . Il francese invece non ha dubbi: “È la mia vittoria più importante ma non sono sceso in campo pensando che poteva essere l’ultima grande occasione della carriera. C’è stato equilibrio ma sono rimasto tranquillo anche quando, all’inizio del terzo set, ho subìto il break e alla fine è andata bene”. Il sogno di “Dominator” si interrompe dunque sotto lo striscione ma lo slovacco avrà altre occasioni per mettersi in luce, pur caratterizzando la propria carriera di scarsa continuità. Verso la fine del 2004 raggiungerà il suo best-ranking al n°12 e nel 2006 centrerà la seconda finale in un 1000, assistendo però quasi impotente allo show di un Davydenko scatenato. Ma il rammarico più grosso resta, per lui, quello della Davis sfiorata nel 2005. Graziata da un calendario che le permetterà di disputare tutti gli incontri in casa, la Slovacchia capitanata da Miloslav Mecir raggiunge la finale battendo 4-1 nell’ordine Spagna (con Nadal solo doppista), Olanda e Argentina ma in finale la Croazia di Ancic e Ljubicic (pur battuti entrambi da Dominik in singolare) espugna la Sibamac Arena di Bratislava per 3-2.
La carriera di Hrbaty termina con un gomito sofferente un giorno di febbraio del 2010 a Johannesburg; è la sconfitta ufficiale numero 318 a fronte di 359 vittorie. Ha incontrato ben 15 numeri uno e ben 11 di questi li ha battuti almeno una volta, tra cui Federer e Nadal che non potranno mai rimediare al bilancio negativo: 1-2 lo svizzero, 1-3 l’iberico. Anche queste sono soddisfazioni.