Da qualche settimana, partendo dalla terra grigia americana per arrivare al più classico mattone tritato rossiccio europeo, nel circuito mondiale del tennis abbiamo ricominciato a vedere con continuità un gesto tecnico, riguardante gli spostamenti, che arriva puntuale ogni anno come le rondini a primavera: la scivolata. A dire la verità, da parecchio ormai i migliori in termini di elasticità articolare e preparazione fisica la eseguono spesso e volentieri anche sui campi duri, ma in quel tipo di contesto, dato l’ovvio maggiore attrito con il terreno, è per l’appunto un “numero” alla portata solo di gente super-atletica, e pure per campioni di quel livello rimane un azzardo, con il rischio costante di guai anche molto seri alle caviglie non appena la minima cosa dovesse andare storta, tipo la classica “impuntata” del piede esterno. Sui “campi rossi”, invece, la utilizzano tutti per la quasi totalità dei colpi in recupero laterale o in avanzamento. Quali sono i vantaggi di questo tipo di approccio alla palla, evidentemente così significativi da aver convinto tanti professionisti a “esportarlo” anche sul cemento, nonostante la pericolosità per le articolazioni?
Il principale, confermato da diverse ricerche dell’ITF, è la maggiore velocità nel raggiungere la palla rispetto ai passi standard di corsa. Tecnicamente, poter eliminare i “baby step”, passettini brevi di aggiustamento, e la successiva frenata con caricamento sugli appoggi per impattare nel punto giusto, limitandosi invece a lasciar andare l’inerzia scivolando sul piede esterno (o avanzato), è anche intuitivamente molto più semplice, e di conseguenza più rapido. Ma ce n’è un altro, ancora più significativo, che riguarda un aspetto anche più importante (specie sui campi lenti, dove il punto è difficile chiuderlo e la palla sembra tornare sempre): la possibilità di gestire molto meglio il peso e l’equilibrio, per riportarsi più velocemente verso il centro del campo e recuperare la posizione. Mentre si scivola, è relativamente facile iniziare in anticipo la fase di cambio di direzione rivolgendosi in direzione contraria allo spostamento appena effettuato, in un solo gesto contemporaneamente allo swing a colpire. Praticamente, si arriva sulla palla prima, e soprattutto si rientra prima in copertura: è come se il campo per l’avversario diventasse più piccolo. Vediamo qualche esempio.
Qui sopra, il buon vecchio Novak Djokovic ci mostra la differenza di postura tra un dritto in scivolata e uno in corsa “classico”, vediamo che scivolare consente a Nole di tenere il busto perfettamente centrale nonostante l’inerzia lo porti verso la sua destra, mentre in corsa il giocatore si trova a colpire totalmente proiettato nella direzione dello spostamento. Ma come detto, la cosa interessante è il modo in cui durante e dopo lo swing a colpire con la tecnica della scivolata si può cambiare direzione.
Qui sopra, ed è una “guest star” scontata in una analisi di questo tipo, vediamo Gael Monfils. Da sinistra a destra, conclusione della scivolata, e contemporanea rotazione interna di entrambi i piedi. Si può notare, usando come riferimento la scritta sui teloni di fondo, che mentre ruota sugli avampiedi Gael sta ancora scivolando verso la sua destra.
Qui sopra, rotazione interna sugli avampiedi completata, e immediato fulmineo rientro di scatto verso il centro del campo. Come avesse rimbalzato su un muro di gomma invisibile, se riguardiamo le due sequenze di immagini, Gael ha iniziato a scivolare sul piede destro all’altezza della “S” di Paribas, e prima di superare la “P” è già in pieno slancio in direzione contraria. I vantaggi del poter cambiare direzione in questo modo cominciano a essere evidenti, credo.
Qui sopra, l’amico Kei Nishikori ci fa vedere il tutto ancora più chiaramente: nonostante il disperato allungo in avanti-laterale per raggiungere una palla corta (stiamo parlando di una scivolata di un metro e mezzo abbondante dopo uno scatto al massimo della velocità), Kei ha comunque la possibilità di reagire spostando il peso verso la sua sinistra così repentinamente da essere già in fase di spinta per rientrare in copertura quando la palla non ha ancora oltrepassato il nastro. Senza scivolare, quel colpo lo tiri su in corsa lo stesso, certo, ma poi prosegui fino alla sedia dell’arbitro potendo solo sperare che il tuo recupero sia vincente.
Qui sopra, infine, ritorniamo un attimo sul cemento, e vediamo perchè il mitico Monfils viene chiamato “Tiramolla”. Gael inizia la scivolata sul piede destro a più di un metro dalla linea laterale, affonda la spaccata, andando tanto giù da doversi aiutare con la mano sinistra appoggiata al campo, ma di pura elasticità e scatto di reni tiene su il busto, e come un gatto incazzato si rigira istantaneamente partendo a mille all’ora nella direzione opposta. Detto che un “numero” del genere lo può fare quasi solo lui, dal punto di vista tecnico senza scivolata un cambio di direzione simile in quella situazione di gioco è semplicemente impossibile, un po’ come nell’esempio di Nishikori visto più su.
In definitiva, il motivo principale per cui gli scambi su terra battuta durano di più non è solo il rimbalzo meno veloce, ma anche e soprattutto la capacità di coprire meglio, tanto meglio il campo da parte di tutti, e non solo dei migliori atleti, grazie alla possibilità di scivolare e rientrare tanto rapidamente. Una legnata di dritto a 150 kmh esterna mette in difficoltà sempre e comunque, che sia terra, cemento, erba, sabbia o ghiaccio: però se l’altro non solo ci arriva, ma rientrando in un attimo non perde nemmeno tanto campo, ecco che chiudere i punti diventa un bel problema.
Buona stagione “rossa” a tutti, quindi, e godiamoci insieme queste settimane di recuperi, scivolate, topponi, palle corte e scambi all’ultimo sangue, che possono risultare tanto appassionanti, e perchè no, esaltanti, da non avere nulla da invidiare ai bombardamenti da cemento e alle finezze da erba.