Qui l’articolo originale di Luca Bottazzi pubblicato il 23 aprile 2015
Il tennis Open che tutti oggi conosciamo non è nato dal nulla. Al contrario ha preso forma e si è imposto attraverso epoche, contrapposizioni e battaglie molto forti. Alcuni campioni sono stati degli autentici baluardi nella lotta contro il sistema dominante del passato che ha messo in campo ogni mezzo per ostacolare l’avanzata del cambiamento. Suzanne Lenglen, Bill Tilden e Jack Kramer sono stati, per l’appunto, i principali artefici dell’innovazione a cui il tennis attuale deve più di un ringraziamento.
Aprile è il mese che ha avuto in grembo il tennis Open, lo sport che tutti amiamo. Fino a quel momento i giocatori erano separati in due differenti status. I dilettanti che potevano giocare i tornei dello Slam e la Coppa Davis e i professionisti che si organizzavano in esibizioni autonome e remunerate, separate dall’egida della Federazione Internazionale. Le origini dell’attività professionistica hanno radici molto antiche, quasi contemporanee alla nascita di Wimbledon (1877). Questa attività risale addirittura al 1883 quando pochi arditi pionieri iniziarono a sfidarsi per denaro, in partite di singolare e brevi tornei d’esibizione. In seguito, furono i ruggenti anni venti a far realizzare un salto titanico al tennis professionistico perché attirava grandi giocatori e pubblico.
Il primo leggendario tennista a lasciare il dilettantismo fu una donna, la “Divina” Suzanne Lenglen che nel 1927 giocò e vinse il suo primo match pro contro l’americana Mary Browne. Sempre nel 1927, l’esempio della Lenglen fu seguito da Vincent Richards, medaglia d’oro olimpica 1924 nonché compagno di doppio del grande Tilden. Questi fatti comportarono per il tennis l’esclusione dai giochi Olimpici del 1928 con evidente disappunto della neonata federazione internazionale di tennis (ITF). Pertanto, quando nel 1931 Bill Tilden in persona passò al professionismo, giocando e vincendo il primo incontro al Madison Square Garden di New York davanti a quasi 20.000 paganti contro il ceko K. Kozeluh, il tennis pro esplose. Dopo Big Bill tutte le grandi stelle degli anni trenta seguirono le sue orme, da Cochet a Vines, da Perry a Budge. Da quel momento fino all’era Open, tutti i più forti tennisti dilettanti passavano nel circuito professionisti, rimanendo, come già accennato, esclusi dai tornei sottoposti alla Federazione Internazionale, Wimbledon e Davis inclusi. Per dare un’idea concreta al lettore circa la questione “soldi”, basti pensare che vincere Wimbledon in quegli anni comportava un rimborso spese e un introito forfettario di poche sterline. Nello specifico quando Fred Perry passò al circuito Pro incassò 91.000 dollari, solo nell’anno in cui fece il tour con E. Vines verso la fine dei trenta.
Negli anni successivi la consuetudine si consolidò con i campioni degli anni quaranta e cinquanta come Segura, Riggs e Kramer che proseguì l’azione di Tilden organizzando, per l’appunto, la troupe Kramer. Inoltre, si aggregarono all’iniziativa altri fenomeni come Gonzales, Sedgman, Trabert, Hoad, Rosewall, fino ad arrivare agli anni sessanta al mitico Rod Laver. Va detto che il circuito di questi tennisti prevedeva anche una serie di appuntamenti classici che costituivano una sorta di tornei Slam: i French Championship, i British Championship e gli American Championship. Ad onor di cronaca è da ricordare come questi leggendari campioni fossero vittima di ostracismo dato che spesso era loro impedito l’accesso e la possibilità di allenarsi nei club affiliati alle varie federazioni nazionali che rispondevano ovviamente a quella internazionale. Tuttavia, alla fine degli anni cinquanta, i raffinati e appassionati “tennistofili” inglesi e più precisamente i soci dell’All England Club, capeggiati dal loro Presidente, desideravano fortemente la fine del dilettantismo. Essi ambivano a un tennis unificato, dove tutti i giocatori potessero competere nella stessa casa, sotto lo stesso tetto.
Nel 1961, se la memoria non mi inganna, vi fu una votazione per liberare il tennis Pro, ma per un solo voto vinsero i conservatori coadiuvati dal presidente ITF del tempo, l’italiano De Stefani e dal vecchio campione francese Borotra. Tuttavia i progressisti non si diedero per vinti e a costo di essere estromessi dal mondo ufficiale del tennis decisero che il loro club avrebbe ospitato un torneo di professionisti. Ebbene, nell’agosto del 1967 si disputò a Wimbledon un torneo Pro, vinto nell’occasione da Laver su Rosewall in cinque memorabili set. Wimbledon, la culla del tennis di Wingfield, tornò a riprendersi ciò che era suo: il tennis. Pertanto, seguì a questo eccezionale evento una seconda assemblea dove si votava, a favore o contro, la realizzazione del tennis Open. Dunque, si fronteggiarono ancora una volta le due opposte fazioni. Da una parte i conservatori, dall’altra i progressisti. Progressisti con in testa gli inglesi, il campione americano Jack Kramer e il francese Philipe Chatrier, columnist dell’Equipe. Vinsero alla grande i progressisti e il tennis fu liberato il 22 aprile 1968.
In seguito, il primo torneo Open fu giocato in Inghilterra a Bournemouth, mentre il primo Slam fu disputato al Roland Garros e vinto dal Maestro, il magnifico muro di rose (Rosewall cit. G. Clerici) a sedici anni di distanza dalla sua prima volta a Parigi. In seguito la cometa del tennis brillò di una luce abbagliante attraverso il Grande Slam di Rod Laver e continua tutt’oggi a risplendere folgorante nelle magnifiche gesta di Roger Federer et Alumni. Questa però è un’altra storia.
Luca Bottazzi