Fino ad un paio di mesi fa Laslo Djere sembrava destinato ad essere l’ennesima promessa del tennis juniores smarritasi nei meandri del circuito professionistico. E non una promessa qualsiasi, soprattutto per la Serbia, dato che nel 2012 aveva realizzato un’impresa che non era riuscita a nessuno dei migliori giocatori del suo paese, né al futuro n. 1 ATP e pluricampione Slam Novak Djokovic, né al n. 1 juniores e futuro top ten Janko Tipsarevic: vincere il più prestigioso torneo juniores al mondo, l’Orange Bowl di Miami (ci sarebbe riuscito nuovamente nel 2015 Miomir Kecmanovic, capace poi anche di bissare la vittoria lo scorso anno). Sembrava, prima che nell’arco di tre settimane infilasse una incredibile serie di vittorie nei tornei ATP – le prime in assoluto per lui nel circuito maggiore in più di tre anni da professionista – che lo hanno portato a diventare una delle grandi rivelazioni della prima parte della stagione sulla terra battuta.
Tre anni e rotti per la prima vittoria ATP (ha iniziato la carriera professionistica nella seconda metà del 2013, dopo aver raggiunto nell’aprile dello stesso il suo best ranking a livello mondiale juniores, n. 3, e aver disputato a Wimbledon l’ultimo Slam da under 18, fermato nei quarti dal tedesco Marterer) non sono proprio pochi, soprattutto per uno che si riteneva avesse i numeri per sfondare. Per capirci, tra quelli che se la giocavano con lui a livello giovanile in diversi ci sono arrivati ben prima, come una decina di nomi già noti: Zverev, Kyrgios, Coric, Edmund, Chung, Medvedev, Khachanov, Halys, Rublev e Rubin. A ripercorrere però la sua breve carriera da professionista, non si può non notare che il tennista di Senta (Zenta in ungherese, cittadina nel nord-est della provincia autonoma serba della Vojvodina, dove fu combattuta nel 1697 la famosa battaglia nella quale l’esercito austriaco guidato da Eugenio di Savoia inflisse una pesante sconfitta all’esercito turco, che di fatto pose fine alla guerra tra i due imperi iniziata nel 1684) all’inizio non abbia dovuto affrontare solo il classico problema di adattamento di molti ex junior al tennis professionistico, ma anche un bel po’ di sfortuna. Nel 2014, infatti, prima uno strappo del muscolo romboide e poi uno a carico degli addominali obliqui lo avevano frenato nella sua prima stagione interamente da professionista. Stagione in cui riusciva comunque conquistare 4 titoli Future e a concludere l’anno, iniziato da n. 495, tra i primi 350 al mondo.
Nel giugno 2015 arrivava la prima finale in un Challenger, a Prostjejov in Repubblica Ceca, prima effettiva dimostrazione che il potenziale per emergere anche tra i “grandi” c’era, dato che per accedervi aveva battuto tre top 100 di fila, Martin Klizan, Dusan Lajovic e Joao Souza, prima di arrendersi al n. 42 ATP Jiri Veselj. Un risultato importante, come da lui confidato successivamente in un’intervista, anche come iniezione di fiducia nel continuare lungo la strada intrapresa. Poco dopo arrivava anche la prima qualificazione ad un tabellone principale ATP: ad Umago, in Croazia, dove nelle qualificazioni superava il croato Mektic e l’azzurro Marcora, per poi cedere al connazionale Lajovic nel main draw. Risultati che gli permettevano di sfondare per la prima volta il muro dei top 200 e finire la stagione al n. 186 ATP, toccando nel frattempo il suo best ranking al n. 170. All’inizio del 2016, a vent’anni abbondantemente compiuti (è nato il 6 giugno 1995), con più di due anni di professionismo alle spalle e qualche vittoria significativa nel curriculum, ci si attendeva da lui un ulteriore salto di qualità, che però non arriva. Nei primi mesi dell’anno si comporta bene a livello Future, meno però nel circuito Challenger. Scivola così nuovamente fuori dai primi duecento. Riesce comunque a raggiungere, al quarto tentativo, uno dei classici obiettivi che si pone un giovane tennista professionista: la qualificazione ad un torneo del Grande Slam. Al Roland Garros riesce infatti a superare le qualificazioni, vincendo tutti e tre i match contro avversari che lo sopravanzano in classifica. Nel tabellone principale viene sconfitto al primo turno, con qualche piccolo rammarico dato che l’avversario, l’australiano Thompson, non era un ostacolo impossibile considerato che ha raggiunto il secondo turno in uno Slam solo in quell’occasione e poi lo scorso gennaio a Melbourne. Si tratta comunque di un altro passo in avanti nel percorso di crescita del giovane tennista balcanico. Che ne trae anche in questo caso beneficio in termini di fiducia, come dimostra il fatto che è poi protagonista di una brillante stagione estiva, nella quale raggiunge altre due finali Challenger (a Milano e a Cortina d’Ampezzo, sconfitto rispettivamente da Cecchinato e dal brasiliano Souza) e riesce a tornare tra i primi duecento ad inizio agosto.
I passi in avanti si fermano però lì, dato che poi fino a fine anno riesce solo ad eguagliare il best ranking dell’anno precedente, n. 170, per poi concludere la stagione sul gradino n. 185. Sembra quasi un “copia e incolla” dei numeri della stagione precedente, che presi alla lettera potevano sembrare la dimostrazione che nulla si era mosso per il tennista serbo. In realtà si era mosso parecchio: senza tornare al diciassettenne che batté lo svedese Elias Ymer nella finale di Miami, già il Laslo Djere arrivato in finale a Prostetjov era un giocatore ben diverso da quello che inizia la stagione 2017, seppur la posizione nel ranking sia sostanzialmente la stessa. Nel frattempo infatti il giovane tennista serbo ha continuato a lavorare incessantemente sul suo tennis e su di sé. Cambiando anche allenatore, con il passaggio dal suo storico coach Miklos Palagy, che lo aveva seguito sin da quando era junior, ad uno che di lavoro con i grandi talenti serbi se ne intende: quel Dejan Petrovic capace di portare Novak Djokovic tra i primi cento giocatori del mondo e Ana Ivanovic al n. 4 WTA. Proprio il 39 enne coach serbo – ma nato e cresciuto in Australia e rientrato nella terra d’origine nel 2003 – dopo gli ultimi exploit del suo allievo ha dichiarato che dal suo punto di vista non ci sono stati ritardi nel percorso di crescita del 21enne di Senta. “Lui era uno junior promettente, ha vinto l’Orange Bowl, il suo momento è arrivato quando doveva arrivare. È migliorato molto negli spostamenti, questo gli ha permesso di costruirsi il dritto che ha adesso, che è diventato il suo colpo più forte. Anche il livello di intensità del gioco è cresciuto. Ora deve lavorare sul servizio”.
Quando devono spiegare come sia accaduto che, quasi all’improvviso, tutti i pezzi del loro gioco si siano finalmente incastrati alla perfezione e la loro carriera abbia subito l’attesa svolta, spesso gli sportivi – ed i tennisti non fanno eccezione – parlano del famoso “click”. Quasi a voler definire onomatopeicamente quel qualcosa che hanno sentito scattare nella loro testa in termini di consapevolezza dei propri mezzi e fiducia in se stessi, e che gli ha permesso di attingere a tutte le proprie risorse tecniche, fisiche e mentali. Quando è arrivato questo “click” per Laslo? Quando ha capito dentro di sé che era finalmente giunto il momento di fare il salto di qualità tanto atteso? “Tutto è iniziato in Marocco qualche settimana fa, quando per la prima volta ha superato il primo turno in un main draw ATP, battendo Klizan, e ha poi sfiorato la vittoria contro Ramos-Vinolas. Prestazioni che gli hanno dato la consapevolezza a livello mentale di essere in grado di ottenere dei risultati in futuro” ha spiegato ancora Petrovic.
A tale proposito, è curioso notare come le prestazioni nel torneo nordafricano lo avessero portato nuovamente a stretto ridosso di quello che sino a quel momento era stato il suo miglior risultato a livello di ranking, dato che dopo Marrakech Djere era di nuovo risalito attorno alla centosettantesima posizione (n. 171). Come se anche quei numeri che fino a quel momento erano lì a mostrargli i suoi limiti, avessero voluto fargli capire che era giunto il momento di superarli e spiccare il volo. E Laslo a questo punto il volo lo spicca per davvero, dato che la settimana dopo, a Budapest, supera di nuovo le qualificazioni e poi infila tre entusiasmanti vittorie nel tabellone principale, le ultime due addirittura contro due top 40: Troicki e Verdasco. Nella sfida contro il 33enne spagnolo, ex n. 7 del mondo, vince in rimonta, annullando persino un match point nel secondo set poi vinto al tie-break, e qualificandosi così per la sua prima, sorprendente, semifinale ATP. “Sapevo di stare giocando bene, ma non mi aspettavo un risultato simile a Budapest. A dire il vero non ci sperava nessuno, soprattutto dopo che al primo turno delle qualificazioni avevo salvato tre match point. Ho giocato partita dopo partita, ho fatto un passo alla volta e cercato di dare sempre tutto quello che avevo. La semifinale significa molta per me, perché ho dimostrato a me stesso che posso giocare a livello ATP” ha detto Djere.
Il 21enne serbo ci prende gusto e subito dopo si regala un’altra grande settimana. A Istanbul, entrato direttamente nel tabellone principale di un ATP 250 per la prima volta in carriera, elimina un altro top 40, l’azzurro Paolo Lorenzi, a furia di mazzate di dritto. Prima che il connazionale Troicki si prenda la rivincita e lo elimini nei quarti di finale. Comunque un altro ottimo risultato, che gli consente di entrare finalmente nei top 150 (attualmente è n. 135, suo best ranking). Ed ora? Ora cosa cambierà per quel ragazzino di Senta che iniziò a giocare a cinque anni perché il papà voleva imparare a giocare a tennis e lo portava con sé quando andava al tennis club e che poi all’età di sette anni già iniziò a giocare tornei? Quel ragazzino che aveva avuto come idoli prima Lleyton Hewitt e Andy Roddick e poi i migliori giocatori serbi, quelli che avevano conquistato la Coppa Davis nel 2010, ora è un giovane professionista che ha la risposta ben chiara al riguardo: non cambia nulla, bisogna continuare a lavorare sodo. Cosa che peraltro lui fa da sempre.
Se infatti Novak Djokovic e Ana Ivanovic da ragazzini si allenavano nelle piscine vuote di Belgrado, per Laslo a Senta la situazione non era molto diversa: lui d’inverno si poteva solo allenare su campi allestiti in magazzini vuoti privi di riscaldamento. Condizioni difficili, che però gli hanno insegnato l’importanza ad ogni singolo allenamento: perché non hai tempo da perdere se ti alleni al freddo e al gelo, devi sfruttare ogni momento. “Indipendentemente dal fatto che mi alleni durante un torneo o in fase di preparazione, io cerco di dare il massimo in ogni allenamento. Lavoro costantemente sui miei difetti e quello che è accaduto non è successo in una notte, ma possiamo dire che è il risultato di anni di lavoro. Intendo continuare così. Sembra che il gioco per stare a livelli più alti ce l’abbia, però devo lavorare sulla continuità, per riuscire a giocare partite così ogni settimana. I miei fondamentali sono buoni, anche se bisogna comunque continuare a lavorarci. Ma in particolare devo lavorare sul servizio”. Un lavoro sul campo e non solo. Quel “click” a Marrakech è anche frutto di un lavoro specifico a livello mentale. “Lavoro con una psicologa da diverso tempo. Non so gli altri, ma a me piace andare da lei e condividere le sensazioni vissute nei tornei, cosa ho fatto e cosa ho provato in determinate situazioni. Per me è importante poter dire a qualcuno cosa mi disturba, cosa mi innervosisce e sento che questo finora mi ha aiutato” ha dichiarato al riguardo il tennista serbo, che da ragazzo – proprio poco prima di conquistare l’Orange Bowl – aveva anche vissuto un lutto importante, la perdita della madre, mai facile da metabolizzare a quell’età.
Laslo quindi continuerà a lavorare sodo, anche perché ha obiettivi da raggiungere e sogni da realizzare. Alcuni li ha già realizzati, come quello di conoscere e addirittura giocare con quelli che un tempo erano i suoi idoli. “Due anni fa Novak mi ha chiamato per giocare assieme il doppio a Dubai, e ci siamo anche visti diversi volte durante gli Slam. Ho buoni rapporti con tutti i giocatori della squadra serba di Coppa Davis. Tutti mi hanno dato ottimi consigli, soprattutto Janko Tipsarevic me ne ha dati tantissimi” ha raccontato Djere, rivelando anche che in realtà manca ancora qualcosa per realizzarlo completamente. “In questo momento abbiamo dei giocatori veramente bravi ed è difficile entrare in nazionale. Il sogno è quello di giocare con la Serbia e mi piacerebbe, almeno una volta, essere in squadra almeno come quinto giocatore, perché non sono mai stato convocato. Spero che un giorno la convocazione arrivi”. Il tennista serbo ha ben chiari anche i suoi obiettivi. E le difficoltà per raggiungerli. “È difficile sfondare, è difficile entrare nell’élite del tennis mondiale. Si può dire che ne fanno parte i primi 100 giocatori del mondo: il mio obiettivo è quello di entrarci a fine anno. Il programma per il resto della stagione è quello di riuscire a giocare con continuità a livello di circuito ATP, i risultati col tempo arriveranno. Allo stesso tempo, quest’anno vorrei anche riuscire a vincere un Challenger, e darò il massimo per riuscirci”.
Perché Laslo Djere ci avrà forse messo un po’ di tempo ad arrivare, ma adesso non ha nessuna intenzione di fermarsi.