Rassegna a cura di Daniele Flavi
Sascha il grande. Al Foro è nata la stella Zverev
Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 22.05.2017
Si chiama Alexander, dunque porta il nome di un condottiero che ha attraversato la storia con il sogno immortale di conquistare il mondo. Il cognome è russo, Zverev, perché il padre, onesto manovale della racchetta, trovò ad Amburgo il circolo dove insegnare tennis con profitto e crescere due figli con la stessa vocazione. Il piccolo Sascha divenne ben presto la mascotte del torneo che viene ospitato in città e a quattro anni, negli spogliatoi, inciampò per caso nei piedi di Federer. A 12, poi, già assai promettente, si vedeva dominatore a breve: a quell’età pensavo che avrei vinto quattro o cinque Slam prima dei vent’anni, ma a 16 mi sono reso conto che non era un obiettivo troppo realistico…Vent’anni li ha compiuti un mese e due giorni fa: di Slam non ne sono ancora arrivati, in effetti, ma sarà solo questione di tempo. Intanto, Alessandro Magno è il nuovo imperatore di Roma, il Master 1000 della grande tradizione sulla terra, la prima porta verso il paradiso. Che sia nata una stella, anzi che sia esplosa con la potenza luminosa di una supernova, lo dicono numeri impressionanti: degli ultimi 101 tornei di questa categoria, è soltanto la 10′ volta che si esce dal quadrilatero Federer-Nadal-Djokovic Murray e nessun giocatore nato negli anni 90 era ancora riuscito nell’impresa. Per avere un vincitore più giovane al Foro, bisogna tornare al 2006, quando il diciannovenne Rafa trionfò per la seconda volta contro Roger. Oggi, poi, Zverev assaporerà la gioia del debutto in top ten, 21 più giovane di sempre a entrare nel gotha del ranking. Cosa aggiungere? Magari che Djokovic non aveva mai perso una finale contro un giocatore più giovane, e stavolta è stato massacrato. In campo, il tedesco ha comandato per personalità e lucidità, quasi fosse lui il vecchio marpione imbattibile e non l’implume al primo snodo cruciale della carriera. Sono le indubbie stimmate di un fuoriclasse. Nole, dopo la lezione a Thiem,torna nel limbo, abulico e falloso (27 gratuiti), come certifica il break subito già nel primo game senza mettere la prima per cinque punti consecutivi. Uno strappo capace di indirizzare immediatamente il match, perché Sascha al servizio sarà una sentenza e non concederà mai più di un 30 all’avversario. Senza contare le sventole da fondo e l’aggressività in risposta: .11 mio più bel match – sorriderà Zverev, primo tedesco a vincere un 1000 da Haas a Stoccarda nel 2001 – sono stato bravo a non fargli prendere il ritmo. Io favorito per Parigi? Prima di Roma, pensavo di avere lo zero per cento di possibilità, ma adesso ho dimostrato di poter competere alla pari con i più forti. Se vi piace mettermi nell’elenco, fate pure, da me non sentirete nulla in proposito. E poi il Roland Garros ha un solo, grande favorito, che è Nadal.. CON AM MO Certo, uno Slam dura due settimane, le partite sono al meglio dei cinque e sulla terra servono resistenza, fisico, strategia. Intanto, però, Sascha nel suo piccolo ha fatto meglio di Becker, che non conquistò mai un torneo sul rosso:. Non scherziamo, Boris ha giocato tante finali su tutte le superfici.. Qualcuno dice che adesso potrebbe anche fargli da mentore, mentre l’ex pupillo Djokovic, preso a sassate, ha scelto Agassi….:
Zverev re di Roma, il futuro è adesso
Stefano Semeraro, la stampa del 22.05.2017
Per demolire in finale Novak Djokovic il re della Next Gen (Nuova Generazione, gli Under 21 del tennis) Alexander Zverev ha usato lo stesso punteggio che era servito al 23enne Dominic Thiem per congedare Rafa Nadal nei quarti: 6-4 6-3. Una coincidenza, che dà però il senso di un’imminenza. Di un futuro che sta iniziando davvero ad addentare il presente. Anche la vincitrice del femminile, Elina Svitolina, trionfatrice nella finale femminile di una Halep azzoppata, è una giovane, 22 anni (i due hanno avuto un flirt in passato), ma è lecito sospettare che nell’albo d’oro degli Internazionali il nome dell’ucraina brillerà un po’ meno di quello del tedesco. Perché Sascha è un Predestinato, un n. 1 annunciato. A vent’anni (compiuti il 20 aprile) ha vinto il suo primo Master 1000, il sesto più giovane di sempre a riuscirci, da oggi è numero 10 del mondo.E anche il primo tedesco di sempre a vincere al Foro, ma guai a parlargli di Boris Becker non gradisce il paragone. Boris del resto ha vinto molto, mai però un torneo sulla terra, mentre Zverev ha già dimostrato di saper masticare tutte le superfici, compreso il rosso dove ieri fin dall’inizio non ha lasciato un centimetro a Nole: il n.2 Atp, il campione uscente e 4 volte vincitore del torneo. Volontà e potenza Una impressionante dimostrazione di potenza. Anzi, di volontà di potenza Di personalità, di sfrontatezza. Djokovic, la miglior risposta del circuito, sul suo servizio è arrivato appena una volta a 30esiè fatto umiliare tutte le volte che ha provato a fare (un po’ bovinamente) braccio di ferro con il rovescio. «Contro Thiem avevo giocato uno dei miei migliori match sulla terra», ha spiegato il Joker. «Oggi non sono mai riuscito a trovare il ritmo». Ma sono stati match, stili di gioco e avversari diversi. Dal Roland Garros probabilmente lo aiuterà a trovare tattiche più efficaci Andre Agassi, ufficialmente ingaggiato come nuovo coach via telefono («ci parliamo da due settimane, non c’è un accordo a lungo termine ma lui ha l’esperienza e i valori umani per essermi d’aiuto sia fuori sia dentro il campo»). A Sascha invece si srotola davanti un 2017 da protagonista assoluto. Doveva essere la stella del Masterino Under 21 di Milano a novembre, ormai pasteggia con i grandi. «E bello vedere che i giovani si fanno avanti, ora fra i primi 100 ce ne sono parecchi. Nole mi ha visto crescere, e quando ci siamo abbracciati alla fine mi ha augurato il meglio, io ho sempre sognato di entrare fra i primi 10 ma farlo a 20 anni è incredibile. Se penso di vincere Parigi? D favorito vero resta Nadal, dietro sono in tanti sullo stesso livello. E non datemi dell’arrogante se mi ci metto anch’io».
L’epifania di Zverev, Djokovic chiede aiuto ad Agassi
Gianni Clerici, la repubblica del 22.05.2017
Ha vinto Sascha Zverev e, nel mio piccolo, mi sono sbagliato una volta di più. Avevo infatti scritto ieri che, a tenerlo a battesimo, era stato un eccezionale padrino quale Rod Laver. Non avevo capito che il battesimo del bambino russo si sarebbe nuovamente svolto, per necessità di spettacolo e che il padrino di oggi sarebbe cambiato, si sarebbe chiamato Nole Djokovic. Quello che ha fatto il serbo in favore del piccolo era difficile da pensare a chi l’avesse ammirato contro Del Potro e soprattutto la sera del monomatch contro Thiem. Il miraggio di un Djokovic ritornato se stesso ci aveva tutti affascinato, facendoci dimenticare altre visioni, dell’inizio del torneo, magari la partita contro quel raccattapalle mancato di Bedene. Bravissimo, certo, il bambino Sascha di oggi, ma dissimile il Nole della finale da quello della semifinale, tanto da ingannare addirittura quelle volpi dei bookmakers, che lo davano alla pari contro il 5 a 1 del suo avversario. Se e quando Sascha vincerà uno Slam, ricorderà dati incredibili di questo match, il primo break con tre palle gratuite, il secondo eguale al primo, e mai una sola palla break avversa nei suoi games di battuta, un dettaglio troppo evidente per essere sfuggito anche al Signor Mattarella, che ha beneficato il Foro con la sua presenza. Non so se Djokovic ricorderà, delle sue novantasette finali, una in cui gli sia riuscita una simile prodezza negativa, una vicenda che l’ha certamente indispettito sino al punto da fargli subire un warning dall’arbitro britannico Murphy, in un momento in cui ha reagito alle proprie nefandezze, dopo un controllo di una palla incerta e un game poi terminato a zero in favore di Sascha. Nel rileggermi, nel ripescare l’istante del warning tra le mie note, mi rendo conto della difficoltà che Djokovic deve aver incontrato nel vedere la propria immagine negativa riflessagli dalla vicenda. E’ stato eguale a se stesso soltanto nella sportività, Nole, nell’abbraccio finale al suo vincitore, nelle parole, pronunciate in italiano, la quinta lingua in cui sa esprimersi. Quanto a Zverev, va ammirata la sua concentrazione che poteva essere scalfita da circostanze imprevedibili, quali il progresso del punteggio odierno. Non so cos’abbia provato, nel vedersi in testa, come aveva certo sognato, forse dal giorno in cui, bambino quattordicenne chiese di fare un palleggio con Djokovic. Ha dimostrato, Sascha, di saper credere a quanto gli stava accadendo, ed è questa una ragione superiore agli ammirevoli rimbalzi messi in campo, con una continuità ben diversa da quella del suo avversario, continuità che ha limitato i suoi errori a 14, contro i 27, se ci credete, di Nole. Diventerà probabilmente un campione vero, se qualcosa non verrà a falsare una vita sviluppata in casa, dal giorno in cui è nato, da genitori che hanno visto in lui il realizzarsi delle proprie speranze di tennisti mancati. Intanto viene annunciato che il prossimo coach di Djokovic si chiamerà Andre Agassi. Il mio modesto consiglio di aficionado è di leggere ‘Open’, e di riflettere.
Zverev, il futuro è adesso per il nuovo re di ghiaccio
Daniele Azzolini, tuttosport del 22.05.2017
L’Era del Pupo comincia da qui. O forse dei Pupi, ché sono in tanti e premono sempre più sfrontati sugli antichi campioni, convinti, chissà, che quel “Fab” che li raggruppa in un club fra i più esclusivi, sia alla portata di tutti, proprio come a Roma, dove un “dottò” non si nega a nessuno. Il più forte è lui, Aleksander “Sasha” Zverev, vent’anni, che si definisce cento per cento amburghese neanche fosse un galletto. Costruito per forgiare grandi imprese, per farle apparire addirittura facili. Come vincere a Roma disinnescando Novak Djokovic fin dal primo game, e finire un’ora e mezzo dopo senza nemmeno esultare, solo un filo di emozione. Il ragazzo di ghiaccio? No di tolla, ché quella serve. Una bella fodera di latta sul bel viso da cherubino. A nascondere emozioni e intenzioni. Gli chiedono se si sentisse pronto per un’impresa del genere. «Lavoro per questo», la risposta che mette a disagio. Ma onesta, e documentata. Fa bene Djokovic a rivolgersi ad Agassi. La sua crisi non è finita, la semifinale di sabato non conta, dubbi e perplessità sono ritornati a galla contro Zverev, e quando gli scambi si sono infitti«Favorito Nadal «Rafa da battere al Roland Garros. C’è Thiem, Novak cresce. Poi, certo, ci proverò» ti, è stato Nole a mollare per primo. Tradita la dieta vegana (ha reintrodotto uova e pesce nel menù), licenziato lo staff che lo ha cresciuto sin da bambino, il Djoker continua a non fare i conti con se stesso. Forse sarà questa la prima cosa che gli dirà Agassi. Il connubio prenderà forma al Roland Garros, e da lì in poi si vedrà se sono fatti l’uno per l’altro. Qualche dubbio c’è, ma se Nole sprecherà anche questa occasione, sarà dura poi rimettersi sulla retta via. «Sasha ha giocato molto meglio di me, io ho avuto difficoltà a trovare i colpi. Ho fatto molto poco, sono deluso. Qui i campi cambiano spesso, più lenti, più veloci, più ventosi, ma lui è stato perfetto. Per me una buona settimana. SI, attendo di incontrarmi con Agassi, spero ne venga qualcosa di buono». Una famiglia di architetti del tennis, dietro il rapace Sasha Papà Alexander è stato giocatore professionista, mamma Irina è maestra di tennis. La famiglia si trasferì ad Amburgo nel 1991, spinta dagli entusiasmi di una Germania senza muri. Il primo prodotto venne abbastanza bene, non benissimo. Misha, dieci anni più di Sasha, aveva colpi incantevoli e carattere volubile. Sasha invece è Agassi coach di Novak II serbo: «Andre spero mi aiuti. Sono deluso, ma Sasha ha meritato. Lascia già il segno» venuto su alla perfezione. Modernissimo nel tennis, che è violento senza sforzo, il carattere forgiato in una lega di acciaio e tungsteno, una corazza da super eroe a mascherare i sentimenti e renderlo impenetrabile alle delusioni. «E solo l’inizio», promette. E sembra quasi una minaccia. Tutto in un torneo. La prima vittoria in un Masters 1000, e l’approdo fra i primi dieci del mondo. La classifica Atp di questa mattina riporta Gofiïn fra gli inseguitori e colloca Zverev in coda al gruppo dei più forti. Non solo, grazie a lui si riaffaccia nel grande tennis anche la Germania, che aveva vinto l’ultimo Masters Series nel 2001 con Tommy Haas. Sono passati sedici anni. «Il mio Paese ha sempre avuto buoni giocatori, ma il tennis è uno sport molto particolare. Uno come Boris Becker non ha mai vinto un torneo su terra rossa, e ci ha provato per anni, è buffo, no? A me è capitato il contrario, e sono appena all’inizio della mia camera». E la terra non è nemmeno la superficie sulla quale si trova meglio. «Magari, dopo aver vinto a Roma, potrei cambiare idea», dice Sasha, con una battuta secca, inferiore alle 140 battute. Twitter è uno dei suoi campi d’azione preferiti. «Credo che fra i primi cento vi siano sei, sette ragazzi sotto i ventuno anni», dice Sasha, spostando l’attenzione sul nuovo che avanza. In realtà sono nove (compresi i ventunenni), in cinque ne hanno 22, in quattro 23. I ventiquattrenni sono sei. Il rinnovamento c’è, è sotto gli occhi di tutti, Sasha fa da capo fila, tira il gruppo. «Mi fa piacere andare a Parigi con una vittoria così», si limita a dire. Salvo poi mostrare la sudetta tolla «Ma al Roland Garros è Nadal il netto favorito. Poi c’è Thiem che ha giocato molto bene qui, anche io che ho vinto. E Djokovic ha mostrato qui di essere in crescita». Roma apre il tennis alla nuova generazione. Non è un male che sia successo proprio qui. La vittoria di Zverev farà da trait d’union con il Master della Next Gen, nell’anno del debutto (in novembre, a Milano), e pazienza se le regole prospettate dall’Atp (i seta quattro game) siano strampalate. A Sasha la Coppa l’ha consegnata Rod Laver. Dall’uomo che ha fatto il tennis, al ragazzo che lo farà. Anzi, come dice Djokovic, «lo sta già facendo, sta già lasciando il segno».
Zverev meglio di Becker: primo tedesco re di Roma
Marco Lombardo, il giornale del 22.05.2017
Abbiamo un campione, e della cosa si sospettava. Adesso abbiamo anche una certezza e Roma si ricorderà di aver battezzato l’ingresso di Alexander Zverev nell’autostrada verso l’eternità del tennis. Battuto Novak Djokovic 6-4, 6-3, il ragazzo tedesco allenato dal papà russo a soli 20 anni vince il suo primo grande titolo e non è un caso che proprio Nole – che oggi compie 30 anni – fece la stessa cosa a Miami 10 anni fa. Il paragone insomma non è sacrilego, anzi, perché se gli stili sono diversi, l’età parla chiaro e la fame è proprio quella. Questo dunque si legge negli occhi e nel gioco di Zverev, tra l’altro il primo tedesco a vincere Roma e quindi anche meglio di Becker («Di lui non so molto, tranne che è una leggenda»). Sasha che è stato capace di reggere il confronto con la sua prima grande occasione senza mostrare il minimo cedimento, dimostrando che il suo è un talento al limite dell’incoscienza, la sua un’attitudine al limite dell’arroganza quella che serve appunto per diventare un numero uno. D’altronde: gioca veloce e parla chiaro, come quando in conferenza ti fa rilevare di aver risposto a una domanda già il giorno prima. Antipatico? No, sicuro di sè. Esageratamente, come si conviene in questi casi: «La terra non è la mia superficie preferita, ma sono stato molto solido nel servizio e nei miei colpi preferiti tutta la settimana». Ovvero dritto e rovescio a due mani, mentre sul gioco a rete servono ancora ripetizioni. «È bello che ci siano giovani come me capaci di vincere, per fortuna nostra i Top 4 non giocheranno per sempre. Emozioni? Quando giochi non hai tempo di pensarci. Vincere Parigi? All’inizio di questa settimana non mi avreste chiesto se pensavo di vincere questo torneo, per cui domani torno ad allenarmi…». Già, Parigi: domenica si parte con un favorito e un coach in più, visto che Djokovic ha annunciato che si affiderà ad Agassi. Separatosi da tutto il suo team storico, con la moglie Jelena in attesa del secondo figlio e il santone Pepe Imaz- quello del amor y paz – come amico, Novak ha deciso di svoltare per tornare dov’era: «A Roma ho ritrovato la gioia di giocare, in semifinale ho disputato la miglior partita della mia vita sul rosso. Andrè è stato un grande campione, ha passato tutto quello che ho passato io, è un uomo di grandi valori ed è stato anche un rivoluzionario del tennis. Sono sicuro che andremo d’accordo». Anche perché è vero che l’amore è bello, ma con la pace a tennis difficilmente si vince. Ps. Elena Svitolina ha battuto Simona Halep 4-6, 7-6, 6-1 nella finale di femminile, quella di un torneo che lo stesso presidente della Fit Angelo Binaghi – meritatamente soddisfatto per i numeri record di spettatori (223 mila, più 9% dall’anno scorso), ha definito «un po’ in tono minore. La Halep ha pagato una distorsione alla caviglia alla fine del primo set e si è arresa all’evidenza. Complimenti a Elena dunque, le emozioni però sono un’altra cosa.