PARIGI – Chi pensava che Rafa Nadal avesse vinto tutto, non sa che invece al Roland Garros ha perso tutto. Da 15 giorni. Sono i contatti che aveva sul suo cellulare. Ha toccato malamente qualche tasto e così non ha potuto rispondere al giornalista spagnolo che gli ha chiesto se Roger Federer gli avesse mandato un messaggio di congratulazioni. Probabilmente lo ha fatto, ma Rafa non lo sa per certo. Non è che le comunicazioni siano così frequenti da riconoscere a occhio il suo numero di telefono.
“Ho ricevuto un sacco di messaggi, ma non capisco chi li ha mandati perché si vede solo il numero di telefono e devo ricostruire tutto… appena arrivo a Manacor lo farò”. Quella che scrivo ora è la traduzione dell’intervista esclusiva fatta a Rafa Nadal dall’amico e collega de L’Equipe Julien Reboullet in auto, quando Rafa si apprestava a raggiungere la boutique della Nike sui Champs Elysées. Intanto la notizia dell’ultim’ora relativa al tennista di Manacor è il suo forfait al Queen’s, che avrebbe dovuto giocare in preparazione a Wimbledon.
L’INTERVISTA
Nessuno si era mai svegliato con dieci titoli del Roland Garros nel suo palmares… come ci si sente?
Sono molto stanco. Ho dormito pochissimo, e non perché abbia fatto grandi celebrazioni, ma c’erano tanti obblighi, la cena, la serata, sono andato a dormire verso le quattro e mi sono svegliato verso le sette. A parte ciò la mia vita non cambierà. La verità è che ogni volta che rientro a Maiorca (lo ha fatto ieri sera, ndt) ricomincio a vivere una vita normale e l’ordinaria tranquillità.
Ma questa volta torni a Maiorca con 10 Roland Garros sotto braccio… dieci!
Era difficile poter immaginare che ciò potesse accadere, ma è successo! Capisco che può sembrare stupido dirlo, ma è il frutto di tutte quelle mattine in cui mi alzo per andare ad allenarmi, per lavorare, per cercare di migliorare. Ero arrivato a nove successi, e ora sono a dieci, ma non sono più speciale, diverso… adesso.
Sei anche a 15 Slam, a quanti ti fermerai?
Capisco che tu mi ponga questa domanda, molti la fanno, ma io non vedo le cose così. Sei mesi fa ci si chiedeva se ero finito e quella domanda non si poneva. Non sono il tipo che diventa euforico nel momento del successo o che si deprime quando le cose vanno male. Sono semmai piuttosto equilibrato e cerco di accettare tutto quel che mi accade con serenità. Non faccio mai grandi drammi.
Beh però è inevitabile che si parli della tua caccia ai 18 Slam di Federer, soltanto tre più dei tuoi…
La sola cosa sulla quale mi voglio concentrare è come affrontare Wimbledon nel miglior modo possibile. Non ho voglia di guardare più avanti, e a una rincorsa a Federer. Quel che è successo in questi quindici giorni a Parigi premia il lavoro fatto. La mia grande speranza, più che raggiungere Federer, più che diventare n.1, è di continuare a giocare bene, di conservare la salute… perché quando ce l’hai è tutto molto più semplice. Il mio solo obiettivo finale è… essere felice.
Hai passato tre anni senza vincere uno Slam, dal Roland Garros 2014 a domenica. Sono stati i tre anni più… lunghi della tua vita?
No, non necessariamente. In ogni caso non per l’assenza dalle vittorie. Mi si vede forse come un atleta ossessionato dal dover vincere, ma non è assolutamente così. In queste ultime due, tre stagioni, ci sono stati molti periodi nei quali non ero nelle condizioni d’essere competitivo. È dura incassare tanti colpi come quelli che ho subito (il polso destro, l’appendicite, il calo di fiducia…). Ed è iniziato tutto lontano nel tempo: nel 2013 ho cominciato la stagione in ritardo; nel 2012 non aveva potuto giocare che metà stagione. Sono parecchi colpi duri nel corso di una carriera. Ma, ecco, ho sempre avuto voglia di continuare.
Una voglia collegata alle emozioni che vivi sul campo, come domenica, sulla tua terra rossa?
Il Roland Garros è chiaramente il posto più importante della mia carriera e quel che è favoloso è che non solo io sento tutto l’affetto del pubblico, ma anche della gente dell’organizzazione, delle persone che lavorano alla federazione francese. Ogni volta che torno mi sento un po’ come a casa, ho l’impressione di conoscere tutti quelli che lavorano al Roland Garros. Ma sapete qual è forse il momento più emozionante di questi quindici giorni? Quando il primo giorno ho giocato sul Suzanne Lenglen e ho sentito l’annuncio del mio curriculum (e al microfono dello stadio sempre più velocemente venivano annunciati, anno dopo anno, i tornei vinti). È stata un’emozione fortissima.
Raggiungere tutto ciò a 31 anni, quando ci si ricorda il messaggio che lanciò Andre Agassi sul fatto che il tuo corpo non avrebbe potuto sopportare a lungo tali sforzi, ti fa impressione?
Avevo sempre pensato che mi sarebbe stato impossibile essere al livello cui sono oggi a quest’età. Soprattutto a causa di un problema che ebbi a un piede nel 2005. Era una cosa piuttosto grave, i medici mi dissero che avrebbe potuto diventare una cosa maledettamente seria con il passare del tempo.
Si direbbe che hai trovato il modo di ridurre un po’ il tuo gran dispendio fisico con i progressi che hai fatto nel rovescio… non hai più bisogno di cercare sistematicamente di girare attorno alla palla per colpire tutti dritti.
Il mio rovescio non è migliorato ieri. È qualche stagione che ha fatto progressi. Ancora una volta si è trattato di un’evoluzione naturale. Ho incorporato alcune cose nel mio gioco, ne ho perse altre. È certo che a livello di intensità, se si riguardano le immagini dell’US Open 2013, o della mia stagione 2008, forse si notano delle differenze. In effetti è una ricerca permanente che si deve fare per compensare certe qualità che magari si perdono. Il mio servizio, ad esempio, è assai migliore rispetto ad un tempo. Tecnicamente sono migliore, fisicamente no. Ma non mi riesce dire se sono complessivamente migliore. Il Nadal di oggi batterebbe il Nadal del 2008? Non lo so e non mi pongo questa domanda. Non sono il solo a cambiare, guardate immagini di Djokovic e Federer 6 anni fa e vedrete. Il mio gioco è cambiato tatticamente, ma è successo a tutti. E vi ricordo che è sul dritto che io avevo perso fiducia. Se io riuscirò a mantenere su quel colpo le sensazioni che ho ritrovato, le cose andranno bene… molto bene.
Questi cambiamenti positivi sono tali perché sei stato enormemente superiore a tutti in questo Roland Garros?
Enormemente superiore no. Sapevo di giocare bene. Dai primi allenamenti a Parigi mi sono accorto che sentivo bene la palla, ma in nessun momento mi sono detto: “È fatta”.
Non era già da un paio di mesi che pensavi che questo torneo sarebbe stato tuo?
No, assolutamente no. Sapevo che avrei potuto vincere, ma che avrei vinto no davvero. Ho sempre il massimo rispetto per tutti i miei avversari. E il mio primo match non è stato semplicissimo.
Contro Benoit Paire ti sei sentito più in pericolo che negli altri match?
Diciamo che è stato il momento nel quale sono stato più vicino a perdere un set. È sicuro (ha dovuto annullare una palle per il 5-3). Ma perdere il match… è un’altra cosa (ha vinto quella partita 6-1 6-4 6-1, ndt).
In effetti hai avuto il controllo totale di tutti i match durante tutto il torneo…
Non mi sento mai in controllo totale. È sempre difficile vincere un torneo come questo, anche se questa volta tutto è quasi filato alla perfezione, devo riconoscerlo.
Non è stato tutto perfino un po’ troppo facile?
Non è mai troppo facile. Certo che ho vissuto tornei nei quali ci sono state maggiori emozioni sul campo, dei match più “drammatici”, ma andare avanti a quel modo nel torneo che per me è il più importante resta una grande sensazione.
Come spieghi che hai demolito anche Thiem e Wawrinka alla fine?
Ho giocato veramente bene, mi sono sentito davvero al massimo delle mie sensazioni. Sono sempre riuscito a controllare il mio gioco su quel campo, lungo tutta la mia carriera. È un campo diverso da tutti gli altri, è grandissimo. Come mi sento lì non mi sento su nessun altro campo.
Se continui a giocare su questi livelli chiuderai l’anno da n.1?
Non lo so davvero. Restano ancora molti mesi da giocare. Sono super-contento del mio inizio d’anno, prendo le cose come vengono giorno per giorno, e non mi pongo quella domanda. Se riesco a giocare così bene tutto l’anno vedremo quel che succederà a livello di classifica. Ma c’è anche Roger… e poi sono sicuro che Andy e Novak ritroveranno il loro miglior livello e la seconda metà dell’anno sarà entusiasmante.
Ora è un bel po’ di tempo che non ti fai male. Pensi che possa durare a lungo?
La storia dice di no. Ma io spero di sì. Nei tre anni in cui non ho vinto alcuno Slam sono stato comunque felice. E se sono ancora là dove mi trovo adesso lo devo a tutte le persone che mi aiutano dall’inizio della mia carriera. Tutto è provvisorio nella vita, ma è super poter lottare ancora per le cose importanti.
Per continuare su questa falsariga la tua programmazione deve essere minuziosa…
Certo. Usciamo da tre quattro mesi di grande intensità, di alto livello. Non ho dovuto conquistare vittorie troppo pesanti in questo torneo sul piano fisico, ma tutte comportano tuttavia un peso emotivo. Il calendario che seguirò è molto importante per preservare tutte le energie mentali e fisiche. Voglio arrivare bene a Wimbledon.
Comincerai ad allenarti subito?
No, mi prenderò qualche giorno di riposo.
Roger Federer ha drasticamente ridotto i suoi impegni agonistici. Tu pensi che farai la stessa cosa, lo imiterai?
Cioè giocare molti meno tornei? Ognuno fa quel che pensa essere la miglior cosa per lui. È un rischio quel che ha fatto Federer: può pagare ma fermandosi tre mesi non è facile ritrovare subito il proprio miglior livello con lo schioccar delle dita. Io non credo che con me quel sistema funzionerebbe. Ma non bisogna nemmeno forzare il motore ogni settimana. Fermarsi così tanto per il mio corpo… penso che non sarebbe una cosa buona.
Da 15 anni in effetti non sei stato tu a scegliere le tue pause.
Sì, disgraziatamente conosco bene le vicende che mi hanno fermato. Ripartire da zero, avere dei dolori, riabituare il corpo a spingere, la sofferenza che serve per tornare su. Considerato tutto sono contento di aver mantenuto la voglia di competere per tutti questi anni, con la passione necessaria per fare in modo che le cose andassero avanti nel modo più giusto.
Quanti Roland Garros pensi che giocherai ancora con lo stesso spirito? Due? Tre?
Sarà molto dura. Ho 31 anni. È difficile fare progetti. Ma spero di poter tornare a Parigi più volte e ogni volta con le armi giuste per poter essere competitivo. Oggi sono felice. E giocherò fino a quando sarò felice di farlo. E sarò felice di giocare fintanto che avrò la speranza di poter vincere.
Che cosa conta di più ai tuoi occhi? Quello che hai già saputo conquistare o quello che vorresti ancora conquistare?
Tutto ha un suo valore. Ho realizzato cose davvero molto speciali e sono grato alla vita per tutto ciò che ho avuto e sono stato capace di fare fino a qui. Ciò mi dà la voglia di lavorare e di battermi. Quando si vince è più facile ricominciare ad allenarsi. Ma sai anche che non puoi dormire sugli allori perché le cose possono cambiare alla svelta se non fai attenzione.
Non mi sembri il tipo che si possa addormentare sui famosi allori…
No, ma perché vale sempre la pena di lavorare, di fare degli sforzi. Uno sforzo in più porta sempre una ricompensa. Non necessariamente la vittoria ma la sensazione di avere fatto quel che si doveva fare. La soddisfazione personale di poter dire: “Ho fatto tutto quel che potevo”. Non sono uno che ha l’impressione di avere perso delle occasioni in carriera per mancanza di investimento nel lavoro, nella lotta quotidiana. Sono un tipo serio!