Federer e Djokovic avanti senza sudare (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Hai pagato 56 sterline, cioè 68 euro, per il tua bel posto sul Centrale, in fremente e fervente attesa di Djokovic e soprattutto di Federer, dopo un’ora e 27’ di spettacolo non troppo esaltante che ha regalato il secondo turno alla solita, traballante Kerber. E invece, in sorte dai due supereroi, ti capitano appena 83 minuti di tennis, 40 e 43 rispettivamente, perché i loro avversari, prima Klizan e poi Dolgopolov, si ritirano praticamente allo stesso punto del match, sotto di un set e di un paio di game (tre per l’ucraino) nel secondo, accusando dolori a un polpaccio e un fastidio alla caviglia destra.
Quando anche il rivale di Roger abbandona mestamente la scena, perfino il composto e tradizionalmente entusiasta pubblico del tempio rumoreggia deluso, mentre dagli schermi della Bbc il puntuto McEnroe vomita il suo sdegno sulla vicenda: «Ci dovrebbero essere regole che impediscono a chi non è a posto di scendere in campo, questa situazione non fa bene a nessuno».
E così, mentre Nole negli spogliatoi la butta sul ridere non appena si ritrova davanti Fed («ehi amico, noi due dovremmo uscire là fuori e giocare un set d’esibizione per tenere calda la gente») e gli organizzatori ci mettono una pezza dirottando sul Centrale il match della Wozniacki, la questione riemerge prepotente ogni qual volta si produce un’ecatombe al primo turno (qui, otto abbandoni).
Non è che le 35.000 sterline (40.000 euro) garantite comunque a chi perde il match d’ingresso siano un bottino troppo ghiotto peri moribondi? E’ una cifra che per tanta parte dei peones del circuito vale un tratto di stagione, ma certo indietro non si torna: impensabile ridurre i premi (…)
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McEnroe contro Serena, tutto sbagliato (Franco Arturi, Gazzetta dello Sport)
Un argomento scivoloso molto più che controverso, sul quale siamo entrati altre volte, ma che torna d’attualità. Vale la pena di riaffrontarlo, anche per sottolineare le contraddizioni e il non detto. E soprattutto i pericoli «ambientali» e i danni collaterali, tutti a carico dello sport femminile. C’è anche della filologia comparata spicciola da fare. Tutto è nato dal fatto che McEnroe, oggi apprezzato opinionista televisivo e ieri genio dei court, si sia rifiutato (giustamente) di definire Serena «the greatest player» del tennis. Come invece pretende la Williams, dall’alto dei suoi 23 Slam, che nessun uomo avvicina (Federer è il primo a 18: parliamo di vittorie in singolare). In inglese player sta sia per giocatore che per giocatrice. In italiano si direbbe invece che Serena «è la più grande giocatrice di tutti i tempi» senza problemi, che nascerebbero soltanto aggiungendo «uomini inclusi». McEnroe ha fatto benissimo a rifiutarsi al giochino della Williams e del suo ego ipertrofico, ma ha sbracato in modo miserevole quando ha aggiunto che Serena sarebbe la numero 700 del mondo se giocasse con gli uomini.
Qui è uscito tutto il maschilismo, purtroppo ancora merce comunissima a molti livelli. È inutile che John affermi che tennis maschile e femminile sono come arance e mele, imparagonabili, se poi il paragone lo fa per schernire le donne. E un gioco sporco. E la Williams, che ha affermato a suo tempo (giustamente) che il tennis maschile «è completamente un altro sport», perché deve rivendicare la sua superiorità statistica sugli uomini? Anche nelle sue risposte social alla polemica scatenata da McEnroe è ambigua, quando sostiene di non aver mai giocato contro classificati uomini: e perché diavolo avrebbe dovuto farlo? Al di là del caso specifico, c’è un’arretratezza generale sul tema. Dovrebbe risultare ovvio che uomini e donne, esseri umani con gli stessi diritti e opportunità, competono in categorie differenti perché muscoli e fisiologia sono completamente diversi fra i due sessi. Eppure nella testa di molti uomini e purtroppo ancora di tante donne (non è così strano considerando la storia sessista che abbiamo alle spalle e i meccanismi psicologici connessi) esiste un «più e un meno» nelle prestazioni di maschi e femmine. E indovinate dove stanno i più e dove i meno.
Serena non si rende conto che intrecciare le classifiche maschili e femminili produce confusione e soprattutto reazioni scomposte dall’altro versante, a tutto danno delle sportive di oggi e di domani. McEnroe, dal canto suo, dovrebbe vergognarsi di aver dato la misura della sua misoginia reale. Lo sforzo comune, soprattutto per quanto riguarda gli spettatori, è rivolto a evitare confronti impropri. Una partita di caldo femminile non si guarda con i parametri utilizzati per assistere a quelle maschili. Così come la misura della primatista dell’alto donne non va mai messa in riferimento a quella del recordman. Se appena ti azzardi a farlo, sei già impantanato nel giudizio di valore, anche se non ne avresti avuto l’intenzione. E guai a usare espressioni, anche di spirito elogiativo, tipo «gioca come un uomo»: contiene veleno sessista (…)
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Quei ritiri a catena che aprono la strada a Federer e Djokovic (Gianni Clerici, La Repubblica)
Il lettore dovrebbe sapere che ho il vizio di scrivere sulle partite che vedo. In caso contrario dovrei scrivere per un similblog, e dovrei portare con me un paio di brutte imitazioni umane – è possibile ? – del vero Clerici. Oggi, per chiarire, mi ero posto un duplice obiettivo. Assistere sul Center Court, alle partite di Novak Djokovic e di Roger Federer, per rispondere alle domande di tre lettori della Repubblica incontrati ieri. Non sono invece in grado di rispondere, e mi scuso, perché si è verificato un fenomeno insolito nel nostro gioco. Tutti e due i possibili vincitori del torneo hanno superato per ritiro gli avversari, lo slovacco Klizan, essendosi ritirato dopo 40 minuti contro Djoko, e l’ucraino Dolgopolov avendo fatto la stessa cosa contro Federer in 43.
Entrambi non vanno certo biasimati, perché questo è diventato un lavoro, lo scopo del quale è anche ritirare un premio di 40.000 sterline per giocare una partita. Klizan era comunque consapevole di non poter correre, e aveva la gamba sinistra ampiamente fasciata, quasi si trattasse di un’ingessatura. Quanto a Dolgopolov, tennista talentuoso ma non affermato, il suo vecchio allenatore Reader mi aveva confidato che soffriva di sbalzi di pressione, oggi probabilmente dovuti alla presenza di Federer. Mi par giusto affermare che ho rivisto il Federer in gran condizione della finale di Halle, nella quale aveva dominato il bambino Alex Zverev. La curiosità di questo match non verteva sul nome del vincitore, ma secondo i miei vicini Semeraro e Steve Flink sullo storico fatto di un incredibile record di Sua Federarità, al quale mancavano sei aces, (servizi vincenti non sfiorati ) per raggiungere il record di 10.000.
Nonostante i soli 6 games di battuta, Federer ha raggiunto l’insolito record, portandolo a 10.004, e rimanendo così terzo nella classifica dell’Era Open, dietro a Karlovic, con 12.018, certo aiutati da 2 metri e 11 di statura, e Ivanisevic, raggiungibile con i suoi 10.131. Ci riuscirà in questo Wimbledon, Roger? Vincendo al contempo il titolo? Lascio la domanda agli statistici, e mi dico che, invece che sul Center Court, avrei forse dovuto assistere al modesto ma meritevole match di un qualificato italiano, Stefano Travaglia, del quale mi dà notizia un mio vicino e maestro di tennis, Luca Baldissera (…)
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Wimbledon, la paura non svuota il Tempio (Angelo Mancuso, il Messaggero)
Wimbledon è il Tempio. Qui, nel sud ovest di Londra, ogni anno va in scena una liturgia immutabile. E’ il più antico appuntamento del tennis e gli inglesi lo chiamano “The Championships”. L’uso dell’articolo determinativo vuole sancire il primato su tutti gli altri eventi sportivi. E’ nato nel 1877 e Spencer Gore, che vinse la prima edizione, intascò 14 ghinee. Una quisquilia rispetto all’assegno di 2,2 milioni di sterline che quest’anno andrà al vincitore e alla vincitrice. Fascino e tradizione non vengono scalfiti neppure dalla paura. Gente di ogni nazionalità si dà appuntamento nel parco su Church Road dove si forma la “Queue”, la famosa fila di appassionati a caccia del biglietto, nonostante nell’era di Internet i tagliandi siano acquistabili sul web. Non importa, è bello esserci. Peccato per i blocchi di cemento sparsi da quest’anno lungo tutto il perimetro dell’immenso prato verde: il paesaggio è violato, ma l’allerta terrorismo è altissima. Quegli sbarramenti sono un riparo contro i mezzi a 4 ruote e garantiscono la sicurezza degli oltre 500mila spettatori previsti nelle due settimane del torneo.
Dicono che l’erba è più lenta, ma il tennis sui prati resta unico nel suo genere con il suono ovattato della pallina. Si gioca all’All England Lawn Tennis and Croquet Club, il circolo più esclusivo del mondo con 4 tipologie di membership: Full, Life, Honorary e Temporary. Le prime due contano 375 soci, la terza accoglie i campioni del torneo, l’ultima è rinnovata annualmente con tanto di lista di attesa. A Wimbledon i giocatori si vestono di bianco: guai a trasgredire. Solo pochi eletti possono entrare nel Royal Box del Centre Court: 74 selezionatissimi posti. La tradizione di inchinarsi davanti alla tribuna reale è stata abolita nel 2003, tranne nei casi in cui sono presenti la Regina o il Principe di Galles. Sua Maestà Elisabetta si è vista solo nel 1957, 1962, 1977 e 2010 e da quest’anno ha lasciato il ruolo di madrina di Wimbledon alla nuora Kate.
La moglie del principe Williams è arrivata indossando un abito a pois di Dolce e Gabbana del valore di 1650 sterline. I reali sono una istituzione, come gli immancabili “shower”: a Wimbledon è tutto iconico, compresa l’interruzione per pioggia. Gli organizzatori si sono piegati alle tv e dal 2009 sul Centre Court c’è il tetto scorrevole. Uno analogo è stato costruito sul Court 1 e sarà in funzione a partire dal 2019. Eppure che Wimbledon sarebbe senza qualche acquazzone?
Banditi i bastoni per gli autoscatti: vanno lasciati a casa, senza se e senza ma. Vietato l’uso di Periscope: in ballo ci sono i diritti tv. Però è possibile fare una scorpacciata di fragole con panna. L’inizio del torneo inaugura anche l’estate britannica e le tradizioni del torneo non si limitano al tennis. Se ne consumano 150mila porzioni al costo di 2.50 pound ciascuna: una quantità pari a un milione e mezzo di fragole, 30mila chili. C’è poi il Pimm’s, il drink più gettonato: ne vengono serviti 250mila bicchieri durante il torneo. E ci sono le storie che Wimbledon sa regalare. Ad esempio la favola di Marcus Willis, il maestro di tennis che un anno fa ha sfidato Federer (…)
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Il tennis parlerà greco e russo (Claudio Giua, repubblica.it)
Il DNA dei giovani greci viene dai lombi di un dio del Monte Olimpo appassionato di tennis. È il caso di Stefanos Tsitsipas, quasi 19 anni, ATP 192, madre e padre maestri di lob e volée, che dopo aver superato le qualificazioni ha provato a raggiungere il secondo turno degli Championships affrontando il serbo Dusan Lajovic, 27 anni, ATP 79. La sconfitta di misura in tre set (6-4 6-4 6-4) aiuterà a forgiare le notevoli qualità del talento ateniese.
Se lo stesso DNA ellenico viene rinforzato dai geni degli antipodi, tennisticamente più evoluti, il risultato è l’australiano Nick Kyrgios, 22 anni, ATP 20, che quand’è fisicamente e psicologicamente a posto (non adesso, acciaccato com’è all’anca e sfiancato nel morale) può battere chiunque.
Poi c’è Thanasi Kokkinakis. Sento da così tanto tempo parlare di lui come dell’australiano in prospettiva più forte (“Lascia stare Kyrgios, è l’altro il greco d’Australia che devi seguire”, mi disse nel 2014 un amico cresciuto a rovesci e canguri) da farmi pensare che il ragazzo si stesse rivelando l’ultima delle molte speranze deluse dell’ex Eldorado australe dei gesti bianchi. L’avevo perso di vista dopo che nel 2015 a Parigi aveva stupito per la qualità del gioco, cedendo solo a Novak Djokovic al terzo turno. A Wimbledon era uscito di scena al primo turno per mano dell’argentino Leonardo Mayer, ma comunque aveva chiuso la stagione saldamente piazzato tra i Top 100.
Classe 1996, ora ATP 486, originario di Adelaide, dove i genitori si erano trasferiti dalla Grecia, due anni fa Thanasi era molto alto e troppo magro (77 chili per 196 centimetri). Forse fu quella l’origine dei guai alla spalla e poi ai pettorali che l’hanno tenuto fuori per più di un anno dal giro che conta. Nel frattempo ha messo su qualche chilo di muscoli e scelto di avere al proprio fianco Mark Philippoussis, altro grande tennista grecoaustraliano. Oggi sul campo 2, opposto al totalmente recuperato Juan Martin Del Potro, Kokkinakis ha confermato d’essere un potenziale Top 30. Ha perso (6-3 3-6 7-6 6-4) ma sempre tenendo sulla corda l’argentino grazie al servizio e alla capacità di mettere la palla negli angoli o tra i piedi dell’avversario. Da non perdere più d’occhio.
Un consiglio: attenti anche ai russi. Anzi, ai moscoviti. Fosse definitiva la classifica della Road to Milan, quella degli otto Under 21 (o che compiono 21 anni nell’anno in corso) che dal 7 all’11 novembre si affronteranno nel supertorneo della Fiera di Rho, sarebbero qualificati tre ragazzi nati nella già capitale degli imperi zarista e sovietico: Karen Khachanov (numero 2), Daniil Medvedev (4) e Andrey Rublev (6). Chi potrebbe comprare il biglietto per Linate o Malpensa senza timore di buttare i soldi è il tedesco di genitori russi Alexander “Sascha” Zverev, di gran lunga il numero 1 mondiale della sua generazione, che da Capodanno ha incassato oltre il triplo dei punti di Khachanov (2540 contro 740), ha già all’attivo un Masters 1000 (Roma) e oggi ha affrontato un altro moscovita, Evgeny Donskoy, 26 anni, sudando più del previsto per prevalere: 6-4 7-6 6-3 in un’ora e 50 minuti.
Piccoli russi crescono, dunque. Lunedì Medvedev ha eliminato a sorpresa nel primo turno in quattro set la testa di serie numero 4 Stan Wawrinka, recente finalista al Roland Garros. Khachanov ha faticato un po’ prima di aver ragione al quinto set di Andrey Kutnetsov, ventiseienne russo di Tula.
Rublev, 20 anni in ottobre, ATP 95, ha trovato sulla propria strada l’ascolano Stefano Travaglia, 25 anni, ATP 155. Entrambi approdati sul main draw proveniendo dalle qualificazioni, hanno dato vita a un match equilibrato e lunghissimo risolto dopo 3 ore e 27 minuti. L’italiano ha a lungo dominato e, nel quinto set, è stato capace di recuperare fino al 5 pare, per poi cedere (6-7 6-3 7-5 1-6 7-5).
Oltre agli altri quattro potenziali qualificati per le Next Gen Finals – il croato Borna Coric (numero 3), il coreano Hyeon Chung (5) e gli americani Frances Tiafoe (7) ed Ernesto Escobedo (8) – a mio giudizio sono da tenere d’occhio Tsisipas (26 del ranking Road to Milan) e Kokkinakis (43), il norvegese Casper Ruud (10) che ha solo 18 anni e cinque mesi, l’americano Taylor Fritz (12), 19 anni e 6 mesi, e due di famiglia russa ma che hanno scelto altre nazionalità, l’esuberante kazako Alexander Bublik (13) e il canadese nato a Tel Aviv Denis Shapovalov (14),18 anni e due mesi. I primi italiani della Road to Milan sono il 28 Matteo Berrettini e il 29 Gianluigi Quinzi, entrambi oltre i 21 anni da qualche mese (…)