“Dottore, se tocco qui mi fa male”
“E lei allora non si tocchi”
Scorrendo i nomi iscritti nell’infermeria della Rogers Cup, il sesto Masters 1000 dell’anno, c’è da rabbrividire: assenti Djokovic, Murray, Wawrinka, Cilic. E poi Karlovic, Cuevas, Fognini, Verdasco, tutti top player che con la loro defezione minano la spettacolarità e l’interesse del torneo. Spazio ai giovani, certo: entrano in tabellone Chung, Tiafoe e Donaldson, ma interessa a pochi considerando la piega che questa stagione sta prendendo. Djokovic ha detto stop per il resto dell’anno, Wawrinka lo segue a ruota e “neanche Murray si sente tanto bene” (cit.); la strada è di nuovo spianata per i soliti due, che freschi e tosti stanno ancora là a contendersi il primato in classifica.
Alla Rogers Cup, che quest’anno in virtù dell’alternanza si disputa a Montréal (le donne giocano a Toronto), è infatti in palio il numero uno del ranking: chiunque abbia scommesso su una situazione del genere, non meno di un anno fa, ha una birra e una visita alla neuro pagate. Mentre Murray è sulle Alpi per curare l’anca, a Nadal basterebbe raggiungere la semifinale per poter riagguantare il trono. Federer può solo sperare di racimolare punti preziosi, in vista di un assalto concreto a Cincinnati. Di ricambi nemmeno l’ombra.
Già lo scorso anno, a Toronto, solo due top 5 erano presenti in tabellone, Djokovic e Wawrinka: c’era l’attenuante olimpica, con i Giochi di Rio a pochi giorni di distanza e buona parte dei migliori a preservare le proprie energie. Tanto l’oro lo vince sempre Murray. Stavolta è diverso. Wawrinka ha deciso di operarsi al ginocchio, mentre Djokovic ha optato per una definitiva pausa dallo stress che lo attanagliava visibilmente da svariati mesi (ma ha vinto Eastbourne eh?!). Per entrambi, arrivederci al 2018. Tutto sembra nascere dalla decisione che Federer aveva preso poco più di un anno fa: lungo stop, sei mesi fuori e rientro col botto (tutto chiaramente previsto). Roger sembra aver scoperchiato il vaso di Pandora, come se il suo ritorno ad altissimi livelli dopo il riposo adesso fosse visto come la strategia migliore. La moda del relax, il trend setting della pianificazione.
A soffrirne fisiologicamente è il movimento tutto: perché i tornei a venire saranno molto meno tesi e combattuti, perché il divario tra la vetta e il resto del monte sarà ancora più vasto, perché “vincono ma non hanno avversari, Baghdatis in finale Slam” e tutto il resto che sappiamo a memoria. Per una volta Federer potrebbe addirittura aver danneggiato il tennis: potrebbe aver incredibilmente suggerito una soluzione positiva ai suoi avversari, che però rischia di far affondare, o quanto meno beccheggiare violentemente, l’intero sistema. Certo potrà giovarne sul campo, e di fatto è quello che gli interessa e il motivo principale per cui ha lavorato. O non lavorato, nei famosi sei mesi di stop. Insomma, che gliene frega.
L’ultima finestrella che si apre è la solita, che non chiuderemo mai del tutto. Senza i dominatori, o parte di essi, potrebbe esserci spazio per le nuove leve. Zverev porta alto il vessillo NextGen, già a Washington sta facendo benissimo (eliminato Nishikori in semifinale), e un Masters 1000 in bacheca lo ha già messo. Per gli altri millennials, che come spesso si dice sono forse in ritardo, non c’è altro da fare se non giocare al meglio le proprie carte: senza Djokovic, Murray e gli altri big, potrebbe esserci qualche corridoio utile in cui infilarsi. Basta evitare Thiem. E Raonic. E Berdych, Tsonga, Dimitrov, Goffin. E dopo prendersi sei mesi di pausa magari.