Marcone M. e Mazzoni M., Racchette e abitudini. Aspetti psicologici di rituali e scaramanzie con aneddoti sui giocatori, Libreria dello sport, Recco (GE), 2017
Si sa, il tennis è lo sport del diavolo e il diavolo dimora nei dettagli, del nostro cervello. È lì che bisogna guardare. Anche se sai esplodere dritti sulle linee a occhi chiusi non è detto che saprai farlo quando serve. I demoni sono sempre in agguato, soprattutto in chi è sballottato in giro per il mondo senza quei punti di riferimento quotidiani che costituiscono parte della nostra identità. Il libro in questione attraversa il concetto di abitudini, quegli schemi rituali che gli sportivi, soprattutto quelli di sport individuali come il tennis, utilizzano per esorcizzare i demoni interiori, o quel grande caos che si chiama vita di cui il campo è solo una metafora. “Il serbo Djokovic che non si lava mai due volte nella stessa doccia, la rumena Dulgheru che entra in campo sempre con il piede destro, l’argentino Del Potro, molto attento ai polsini, l’americano Courier che al cambio di campo nell’ATP Finals 1993 si mette a leggere il libro “Maybe The Moon” di Armistread Maupin, mentre c’è chi come Serena Williams chiede un caffè e prima di servire lascia rimbalzare la palla cinque volte”.
Il libro di Marcone e Mazzoni è un incrocio tra una seduta psicanalitica e un rosario di aneddoti\abitudini dei tennisti. L’assunto è che l’abitudine è il momento di sintesi tra il vissuto esistenziale e la dimensione agonistica. Tuffandosi nel primo si può capire e dare voce al secondo. Insomma Freud più Nick Bollettieri. Più o meno. La prima parte del libro è un viaggio bizzarro tra manie, aneddoti e relative implicazioni. Quando Tiriac propose a Vilas di diventare testimonial di una nota marca sportiva lui accettò ma solo a patto di poter conservare il feticcio dei suoi colori preferiti. Esaudito il desiderio il problema fu il suo mancinismo. Nelle foto il marchio sulla maglietta veniva sempre coperto dal movimento del dritto. Quando gli proposero magliette col marchio invertito si oppose, perché ogni piccolo dettaglio può mettere in crisi quel delicato equilibrio psicofisico, direi paranoico, in cui un campione si muove. A un’attenta analisi quasi tutti i dettagli connotativi di un campione nascono da un aneddoto esistenziale in cui il campione trasferisce “magicamente” su un tic, o un oggetto, un momento di svolta rispetto a un problema o un passaggio esistenziale. La fascia di Cash, la barba di Borg o cose più divertenti come il rito di Ivanisevic “che ha visto, ogni mattina, una puntata in tv dei Teletubbies per non interrompere il suo “flusso positivo” nel corso della campagna vittoriosa a Wimbledon 2001”.
Sfogliando il libro scoprirete che Muster è un discreto pittore (e batterista) e non è un caso che amava (e vinceva) il torneo di Firenze tra una visita ai musei e la realizzazione di quadro en plain air. Con una leggerezza priva della morbosità di certo giornalismo il libro esplora tematiche tabù come il ciclo delle donne, l’omosessualità (femminile) o un must della psicanalisi che per un tennista è una tragedia: la paura di volare. Insomma un libro anomalo, leggero in cui paradossalmente non viene descritto nemmeno un colpo, ma viene analizzato tutto quello che c’è prima o dopo: alberghi, adattamenti, voli, racchette, docce, cibo, massaggi, scaramanzie e probabilmente troppa solitudine.
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