Non deve essere facile, reggere l’enorme peso delle aspettative di un intero movimento. Arrivare in vetta nemmeno maggiorenni, per poi confrontarsi con il mondo dei grandi, gli stessi che cercano disperatamente un sostituto per le leggende che pare siano agli sgoccioli, e invece non lo sono. Servono spalle larghe, larghissime come quelle che Borna Coric mette in mostra sotto una aderente t-shirt celeste, ancora umido dopo la doccia. Lo avevamo raggiunto in esclusiva al Roland Garros, dopo la vittoria di routine all’esordio contro Mathias Bourgue. Perderà poi al turno successivo contro Steve Johnson, spaccando la racchetta con violenza belluina al momento della sconfitta: come se a un certo punto quel corpo palestrato non contenesse più l’energia, la voglia e perché no anche la frustrazione di progetti che stentano a decollare. Si è messo di mezzo quel tedeschino biondo, a togliergli le telecamere di dosso: si è messo a vincere quello che Coric non ha ancora mai vinto, ed ecco che adesso si parla di promesse non mantenute, di quasi fallimento. Non deve essere facile, per chi a vent’anni già si vede definito come un ex speranza.
Ieri sera però è stato lui a prendersi la scena. Con un match da libro scolastico, tatticamente perfetto, fatto di sudore, gambe e lavoro. Un risultato di rilievo, in un 2017 che può ancora dargli soddisfazione: è già il secondo successo personale contro Zverev (sebbene il primo sia datato 2015). Quest’anno il primo titolo ATP, a Marrakech, dove in finale ha salvato cinque match point contro Philip Kohlschreiber. Forse qualcosa è scattato: “Fu un torneo interessante, molto positivo. Anche la finale, un match che non dimenticherò. A inizio settimana non stavo bene fisicamente, poi sono stato fortunato, e coraggioso allo stesso tempo. Mi ha dato molta carica per il resto della stagione”. Nel 2016 un fastidioso infortuno al ginocchio lo aveva limitato, andando a incidere anche sulla sua mentalità e la sua fiducia: “La testa è fondamentale nel tennis, lo sappiamo benissimo. L’anno scorso ho avuto un calo di fiducia importante, dovuto ai guai fisici che ho avuto. Ma la vittoria a Marrakech mi ha fatto capire che posso ancora giocare ai livelli più alti, posso ancora battere avversari quotati. Posso ancora vincere tornei, e questo mi aiuta molto a credere in me stesso”.
Sudore e lavoro, come sempre nella sua giovane ma già ricca carriera. E a dargli una mano, da inizio stagione, una vecchia conoscenza del circuito: Ivica Ancic, fratello ed ex coach di Mario, top 10 nel 2006 (semifinalista a Wimbledon nel 2004). Il nuovo dritto di Coric è un suo regalo: “Sì, lavoriamo da otto mesi insieme ormai e ci siamo concentrati molto su servizio e dritto: sono le parti più importanti del mio gioco, stiamo cercando di accorciare gli swing, di essere più rapidi. I frutti stanno arrivando”. Negli ultimi anni Borna ha cambiato una discreta serie di allenatori: Ryan Jones (2012-2014). Zeljko Krajan (2014-2015), Thomas Johansson (2015) e Miles Maclagan (2015-2016). Chissà che questa non sia la volta buona per instaurare un rapporto duraturo: “Siamo molto amici fuori dal campo, e questo aiuta. Discutiamo ma non litighiamo praticamente mai, è molto positivo. E mi trovo, ci ho vinto il primo titolo!”, per poi sciogliersi, e nemmeno tanto, in un sorriso. Prima di sedersi sulla enorme poltrona dell’area interviste smanetta incessantemente con l’iPhone, scrive, digita, parla: ma durante la chiacchierata è sereno, concentrato.
Numero uno del mondo Juniores, dopo il trionfo agli US Open di categoria nel 2013 (aveva già fatto semifinale a Wimbledon e Roland Garros); una carriera già segnata dalle stimmate del campione, di cui forse adesso sta un po’ faticando a dare conferma. Il successo di ieri su Zverev però è un segnale forte, come a dire che i riflettori devono essere puntati anche su di lui. E non si arriva a questo punto senza una mentalità da lottatore, consapevole e soprattutto autocritica: “C’è sempre qualcosa che può andare meglio, posso sempre lavorare più duramente. Credo sia positivo aspirare al meglio, non accontentarsi; ma nel complesso posso dire di essere contento della mia vita”. E gli obbiettivi, adesso? “A inizio anno mi ero prefissato la top 20. Non ho giocato granché nei primi mesi, è come se mi fossi ritrovato con una stagione più corte a disposizione e adesso mi manca un po’ il tempo. Ma sono pronto a dare tutto”. Come al solito.
Quando parla si ferma a fissare spesso nel vuoto: non ha un atteggiamento simpatico, figlio forse della pressione che da anni ormai gli vieni sparata sulla schiena. Prima di iniziare l’intervista, l’addetto alle Public Relationships sentenzia: “Cinque minuti, deve fare altre quattro interventi tra radio e TV”. Cinque appuntamenti con i media. Dopo un primo turno stravinto, anonimo. A vent’anni. E a proposito di età, Coric è abbondantemente in gara per le NextGen Finals di Milano, il Masters U21 di fine anno: è terzo nella Race, dietro Khachanov e l’irraggiungibile Zverev (che ha un imbarazzante vantaggio di quasi quattromila punti sul secondo). “Ho saputo dei cambiamenti che sperimenteranno, credo siano molto cool, mi piacciono. È una bella trovata per sponsorizzarci. E io non vedo l’ora di esserci, so di potercela fare”. Ora il terzo turno degli US Open contro Kevin Anderson, l’unico enorme ostacolo tra Coric e il miglior piazzamento Slam della sua carriera. Avrà di certo le spalle abbastanza larghe per sopportare il peso delle aspettative. Ancora una volta.