Quello appena passato è stato proprio un gran bel settembre per Aleksandra Krunic. La tennista serba ci ha infatti infilato, nell’ordine, il terzo turno agli US Open, con la vittoria al primo turno sulla testa di serie n. 7 Johanna Konta, il quarto di finale a Tokyo, la finale a Guangzhou ed un altro quarto a Tashkent. L’exploit settembrino ha permesso alla 24enne nata e cresciuta a Mosca – dove i genitori, serbi, si sono trasferiti per motivi di lavoro – di raggiungere lunedì scorso il suo best ranking, n. 53 WTA (e questa settimana è sempre lì attorno, al n. 54). Con la soddisfazione aggiuntiva di essere diventata la n. 1 serba ed anche l’unica giocatrice del suo paese nella top 100, dato il contemporaneo crollo verticale in classifica di Jelena Jankovic, che in un mese ha perso quasi settanta posizioni ed è sprofondata al 136esimo posto. Ma i segnali della rinascita di Aleksandra Krunic erano già iniziati a giugno, con la prima vittoria in un torneo WTA, il 125s di Bol, ed erano continuati con i quarti a Baastad a luglio e la vittoria su Ostapenko a Cincinnati in agosto.
Parliamo di rinascita, perché di Aleksandra si era iniziato a parlare tre anni fa proprio in occasione degli US Open, quando dopo aver superato le qualificazioni si spinse sino agli ottavi di finale, eliminando giocatrici come Keys e Kvitova, prima di arrendersi solo per 6-4 al terzo a Vika Azarenka. Un risultato che la proiettò a ridosso delle top 100, dove entrò stabilmente pochi mesi dopo, a dicembre, in seguito agli ottavi raggiunti nel torneo Premier della sua città natale e alla vittoria in un torneo ITF in Turchia. In quel momento sembrava proprio che la 21enne Krunic fosse l’ennesimo talento serbo destinato ad affermarsi, dato che in quel periodo il paese balcanico poteva già contare sulle due campionesse affermate Ivanovic e Jankovic, che gravitavano a ridosso della top 10, e sulla giovane Bojana Jovanovski, classificata tra le prime quaranta al mondo. In quell’occasione Aleksandra aveva raccontato il motivo per cui per un anno e mezzo era rimasta attorno alla centocinquantesima posizione mondiale prima che a New York in lei scattasse qualcosa. Era una questione di testa.
“A New York sono stata più tollerante con me stessa: di solito sono una perfezionista e quando qualcosa non va perfettamente, reagisco come se la cosa non mi interessasse. Ma in campo tutto va alla perfezione al massimo in cinque partite all’anno. A New York sono scesa dal mio piedistallo: tutti sbagliano, posso sbagliare anch’io“ disse per spiegare cosa era accaduto dentro di lei per consentirle di alzare il livello del suo gioco e raggiungere quei risultati.
La prima metà del 2015 confermava la crescita della tennista di origine moscovita, che si faceva nuovamente notare a livello Slam raggiungendo il terzo turno al suo esordio nel main draw di Wimbledon, dove eliminava una dopo l’altra le campionesse in carica del doppio, Roberta Vinci e Sara Errani, prima di arrendersi a Venus Willams. Subito dopo arrivavano i quarti a Bucarest e la posizione n. 62 del ranking e sembrava che l’obiettivo dichiarato ad inizio stagione – “Voglio entrare nella top 50” – fosse ormai a portata di mano. Invece Aleksandra, d’improvviso, si fermava. Infilava sei sconfitte consecutive al primo turno e i suoi sogni di gloria svanivano. I quarti di finale a Linz le consentivano di arrestare temporaneamente il crollo in classifica, ma tra la fine del 2015 e i primi quattro mesi della stagione successiva un’altra striscia negativa di otto tornei in cui non arriva mai al secondo turno del main draw, la facevano scivolare oltre la 120esima posizione mondiale. C’è da dire che in quel periodo si era messo di mezzo anche un problema di salute, dato che si era dovuta operare per asportare un tumore – benigno – alla tiroide.
Nel prosieguo della 2016 raggiungeva in tre occasioni i quarti di finale a livello WTA, ma Aleksandra sembrava tornata quella di più di due anni prima, quella che in campo si complica un po’ la vita da sola. Anche la classifica certificava questa regressione, dato che era tornata esattamente al punto in cui si trovava prima di quei fantastici US Open 2014: attorno alla 150esima posizione mondiale. Si era trattato di una meteora? Aleksandra Krunic era stata una delle tante giocatrici di talento che avevano assaggiato per un po’ il dolce sapore della top 100 e poi, nonostante le potenzialità, si erano perse nelle retrovie?
Sicuramente il suo tipo di tennis non l’aveva aiutata. Una giocatrice alta 1,63 non può certo metterla sulla potenza contro avversaria a cui rende centimetri e chili, ma deve fare affidamento sul suoi punti forti: la rapidità negli spostamenti, l’agilità fisica e la grande varietà di gioco. E per variare il gioco e mettere in difficoltà chi può spazzarti a suon di bordate da fondo campo devi essere sempre lì con la testa, concentrata e attenta.
E Aleksandra si è messa lì. Non si è arresa e ha lavorato per indirizzare correttamente la sue energie mentali in campo. Come ha raccontato al sito WTA dopo la vittoria contro Konta al primo turno a New York.
“Ho cercato di lavorare in modo di non “incasinarmi” da sola. In silenzio, si tratta di star zitta e giocare. Come mi dice spesso la mia allenatrice (l’ex giocatrice olandese Elise Tamaela, ndr): “Alex, semplicemente taci! È un gioco.” Ecco, fino a quando capisco che è solo un gioco, va bene.”
Non è stato facile ed il processo non si può dire certo dire sia stato completato, tanto che deve usare qualche espediente per tenere tutto sotto controllo.
“Nella mia testa, semplicemente ripeto a me stessa: il prossimo punto, il prossimo punto. Anche se mi arrabbio per le decisioni che ho preso, faccio il mio “bla bla” per una decina di secondi – non funziono senza quello – o mi rivolgo al mio team. Dico a qualcuno, che ne so, “hai un terribile taglio di capelli”, e dopo vado a giocare il punto successivo. Sembra un po’ schizofrenico, ma è ok, e sto migliorando.”
Un passaggio fondamentale è stato quello di decidere finalmente di seguire l’istinto, invece di rimanere invischiata in quel suo chiacchiericcio mentale.
“Io ho sempre seguito il mio istinto in tutto, eccetto che sul campo da tennis. A 24 anni ho finalmente capito che questo non aveva molto senso. Farci affidamento fuori dal campo ma non dentro era completamente sbagliato per me. Sto finalmente cercando di trovare la mia strada, affinché il mio fisico, il mio talento, tutto quello che mi è stato dato e quello per cui ho lavorato diventino una cosa sola.”
E anche quello di lasciar andare il suo eccessivo perfezionismo, questa volta definitivamente.
“Ora accetto di non essere perfetta. Ovviamente in campo sono una perfezionista, ma è veramente dura cercare di raggiungere qualcosa che non si può raggiungere. Ora so che la perfezione è una cosa che non esiste.”
Per arrivare a fare questo salto a livello mentale la tennista serba si è affidata ad uno specialista, come ha rivelato in un’intervista concessa qualche settimana fa ad un magazine serbo.
“Biljana Veselinovic, che è stata la mia allenatrice, mi ha indirizzato da uno psicoterapeuta e questa persona mi ha aiutato per quanto riguarda la mia vita personale, il mio perfezionismo. Andare da lui per una terapia cognitivo-comportamentale è stata la cosa più intelligente che ho fatto, il miglior investimento del mio tempo e dei miei nervi. Questo, ovviamente, ha avuto impatto anche sulle mie prestazioni, sono molto grata per tutto ciò. Sarò sincera, la mia mente mi ha frenato molto. Non posso colpire la palla forte come molte delle mie avversarie, mi è servito un po’ più di tempo per mettere a posto tutti i tasselli nella mia testa. Mi mettevo a pensare se giocare un colpo oppure un altro e poi alla fine ne sceglievo un altro ancora. Adesso tutto questo è cambiato, in meglio.”
In un percorso di crescita come quello intrapreso da Krunic, la fiducia in se stessi e l’autostima sono fondamentali, perché più aumentano e più danno stimoli ed energia per continuare sulla strada intrapresa. E da questo punto di vista, le vittorie contro delle top player, come quelle citate contro Ostapenko a Cincinnati e Konta a New York, sono paragonabili ad iniezioni di dosi massicce di fiducia e sicurezza nelle proprie possibilità.
“Al termine di match come questi ho tanti motivi per credere che anch’io, un giorno, potrò essere lì se continuo a lavorare in questo modo. Entro la fine dell’anno vorrei entrare tra le prime cinquanta. Non ho molti punti da difendere, credo sia una cosa fattibile.”
Curioso come la tennista originaria di Mosca si ritrovi di nuovo ad un punto in cui era già arrivata, sempre a poco più di due anni di distanza. Come detto, anche nell’estate del 2015 la top 50 sembrava infatti una cosa fattibile. Ma questa è una Aleksandra Krunic diversa, che sta dimostrando di aver imparato dai propri errori e di sapere come si fa a non replicarli ripartendo dallo stesso punto. Questa ha messo la testa a posto.