Dopo Kerber e Williams, ai vertici della classifica WTA 2017 sono arrivate tre diverse giocatrici: Karolina Pliskova, Garbiñe Muguruza, Simona Halep. Con il susseguirsi dei nomi, un interrogativo ha spesso aleggiato intorno alle ultime protagoniste: è meritato o no quel numero uno del ranking? Cosa deve avere vinto una leader per essere “degna”? Chi non è convinto del primato di una giocatrice comincia a soppesare il suo palmarès annuale e poi, se non basta, anche quello di carriera. E spesso storce il naso se non trova almeno uno Slam.
In fondo sono situazioni che si ripetono: critiche per essere approdate ai vertici del ranking senza avere vinto Slam sono state fatte in passato a Caroline Wozniacki o a Dinara Safina. Ma ci sono nomi anche più lontani; oggi consideriamo Kim Clijsters una campionessa (ed effettivamente lo è stata); ma nel momento in cui divenne per la prima volta numero uno del mondo (agosto 2003) non aveva vinto Major: vantava solo due finali perse, come oggi Simona Halep. Clijsters avrebbe perso altre due finali prima di riuscire a vincere uno Slam, a cui poi nel proseguo di carriera ne avrebbe aggiunti altri tre.
Stessa cosa per Amélie Mauresmo: prima volta in cima al ranking nel settembre 2004, con nel curriculum una sola finale Slam, persa; proprio come Karolina Pliskova. I due titoli vinti in carriera sarebbero arrivati due anni dopo, nel 2006.
Lo ricordo perché a volte si cerca di valutare le giocatrici in attività paragonandole a quelle del passato, trascurando però che un conto è il palmarès di chi ha già concluso la carriera, un conto è quello di chi sta ancora giocando, e magari è ancora piuttosto giovane. Pliskova e Halep non ci sembrano all’altezza? Prima di condannarle in modo definitivo ricordiamoci non solo di Safina o Jankovic ma anche di Clijsters e Mauresmo.
Però di tutte queste discussioni il tema che personalmente trovo più interessante e di respiro più generale, è quello sulla differenza tra i tornei dello Slam e gli altri tornei WTA: sull’importanza e il prestigio dei diversi eventi, e su quanto sia difficile vincerli. In ultima analisi, sul valore tecnico che dobbiamo attribuire loro.
In passato fuoriclasse come Evert e Navratilova hanno saltato diversi Major per giocare eventi pagati meglio; oggi una rinuncia volontaria a uno Slam sarebbe inconcepibile. Ai giorni nostri gli Slam hanno assunto un’importanza ancora superiore, e la distanza con tutti gli altri tornei è cresciuta rispetto al passato.
Ormai il primo parametro che si considera per valutare una giocatrice è se ha vinto o no Slam. È quello che può fare la differenza: in termini di prestigio, ma anche di popolarità, di sponsor e di guadagni; un cambiamento di status che nessun Premier consente. Pensiamo a quanto era conosciuta Jelena Ostapenko prima che vincesse a Parigi e come viene considerata oggi. Stessa cosa a livello più alto, nei confronti storici tra campionesse: il primo dato che fa da termine di paragone è il numero di Slam conquistati.
La domanda a cui vorrei provare a rispondere è: tecnicamente gli Slam sono davvero così diversi rispetto ai Premier? In fondo le donne giocano sempre al meglio dei tre set, e quindi lo sforzo per vincere la singola partita rimane lo stesso. Per me la risposta è ugualmente: sì, gli Slam sono davvero profondamente differenti. Per almeno cinque motivi.
Ma prima di entrare nel merito un paio di note.
Ricordo che gli Slam sono gestiti dalla ITF e dalle quattro Federazioni locali, mentre tutti gli altri tornei del calendario sono invece sotto il controllo della WTA. Anche il ranking è deciso dalla WTA, che stabilisce i criteri di assegnazione dei punti. Lo sottolineo perché una critica che spesso viene sollevata è che i 2000 punti per la vittoria Slam siano troppo pochi se confrontati con i 1000 di un Premier Mandatory, o i 900 dei Premier 5. Probabilmente è vero, ma è comprensibile e quasi inevitabile che la WTA cerchi di tutelare l’importanza degli eventi che organizza, per non farsi schiacciare dalla forza dei quattro Major, che non sono di sua diretta competenza.
Ma al di là dei punteggi WTA, a noi osservatori rimane lo spazio per approfondire la differenza tecnica che c’è tra uno Slam e un Premier. Per provare a capire, ad esempio, perché certe giocatrici riescono a vincere i Premier e non gli Slam, anche se il lotto di avversarie è sostanzialmente uguale.
Un’ultima avvertenza: per ragioni di brevità da qui in poi definirò con il termine generico “Premier” le due categorie di tornei che assegnano 1000 e 900 punti alla vincitrice (Premier Mandatory e Premier 5). I Premier semplici (da 470 punti e che possono avere anche solo 32 partecipanti) non sono considerati. Ecco dunque le cinque ragioni che a mio avvisto differenziano in modo sostanziale Slam e Premier.
a pagina 2: le scelte delle più forti e le differenze di base tra Slam e Premier