C’è voglia di crescita a Shanghai. E non stiamo parlando del PIL o della bilancia commerciale del gigante asiatico, parliamo del nostro “piccolo” mondo del tennis. Passeggiando per i corridoi di un impianto troppo grande per l’evento che ospita, con infrastrutture tali da consentire la conclusione regolare del torneo anche in una settimana in cui è piovuto per quattro giorni su otto, appare evidente come la scatola sia pronta per una sorpresa più grande. Poco importa se l’afflusso di pubblico è il più basso di tutti i Masters 1000 (“si tratta di un problema culturale e generazionale” ci dicono) e se in questo frangente di stagione post-US Open ci sono un bel po’ di tennisti che si trascinano malvolentieri in questa trasferta asiatica. D’altra parte “pecunia non olet” e se a Shanghai ci sono dei problemi, non sono sicuramente problemi di denaro, tanto che sono disposti a mettere sul tavolo un montepremi ad otto cifre per avere quello che vogliono.
Già nei primi giorni della settimana si era intuito qualcosa, tra i sussurri in sala stampa e qualche parola confidata a microfoni spenti, ma poco prima del week-end finale dello Shanghai Rolex Masters 2017 si è avuta la conferma ufficiale che il torneo cinese è molto vicino ad ottenere dall’ATP un allargamento del proprio tabellone a 96 giocatori, con una conseguente estensione della sua durata a 10-11 giorni, sulla falsariga di quello che già accade per Indian Wells e Miami ed in linea con quello che sembra essere il destino anche di Roma e Madrid. Con l’eccezione che a Shanghai non hanno alcun interesse a coinvolgere nel loro progetto anche le signore: niente “combined”, quindi, anche perché il “combined” di lusso sembra essere nelle mire dell’altro torneo cinese, quello di Pechino, che già ospita un Premier Mandatory WTA in “coabitazione” con l’ATP 500 più ricco dell’anno (ben oltre 4 milioni di dollari di montepremi) e che non fa mistero di puntare alla qualifica di Masters 1000 per la propria competizione maschile.
Il direttore dello Shanghai Rolex Masters Michael Luevano ha spiegato alla reporter francese Carole Bouchard, nostra dirimpettaia in sala stampa nella settimana del torneo, che la proposta per questo upgrade è già stata presentata all’ATP nel corso degli incontri che hanno preceduto gli ultimi US Open, e sperano di poter ottenere un voto per l’approvazione definitiva già alle ATP Finals a Londra il prossimo novembre. Ovviamente si tratta di una decisione che ha un impatto abbastanza profondo sulla struttura del calendario, dal momento che si tratterebbe di arrivare a occupare un periodo più lungo della tradizionale settimana: sembra che la soluzione prevista sia quella di un inizio alla domenica per arrivare a disputare la finale il mercoledì, ovvero a metà della “seconda settimana”. Non è ancora chiaro quale tipo di riassestamento coinvolgerà gli altri tornei della tournée asiatica, tuttavia è già noto che dal 2019 dovrebbero esserci alcuni cambiamenti nel calendario globale dell’ATP: l’associazione giocatori è infatti impegnata da oltre 12 mesi in assemblee e incontri con tutte le parti in causa (giocatori, organizzatori e tornei vari) per preparare il nuovo assetto della stagione professionistica che dovrebbe essere comunicato nei prossimi mesi, probabilmente all’inizio del 2018.
Shanghai ha dunque fatto le proprie mosse per ottenere un posto al sole facendo leva sul suo potere economico e sull’accesso al più grande mercato in crescita del mondo. Ma non si tratta in verità di una sorpresa assoluta: già poco meno di due anni fa, nel marzo 2016, poco prima di compiere uno dei più clamorosi passi falsi nella storia recente del tennis, l’ex direttore del torneo di Indian Wells Raymond Moore aveva già anticipato la volontà di ritagliare un ruolo più importante per il BNP Paribas Open, insieme con Shanghai e i tornei europei sulla terra battuta di Madrid e Roma. Poi si lanciò nel suo famoso “harakiri” producendosi nella spiegazione di come la WTA dovrebbe inginocchiarsi a ringraziare il tennis maschile, finendo così per ricevere il benservito il giorno seguente, ma aveva comunque anticipato ciò che si stava muovendo dietro le quinte e che ora sembra sul punto di concretizzarsi. Lo stesso anno i due tornei principali della stagione sul “rosso”, Madrid e Roma, si erano scambiati “gentilezze” a colpo di comunicati stampa, lasciando intendere come fosse in corso una competizione per diventare un torneo “a-la-Indian Wells”, con tabelloni da 96 giocatori e giocatrici e una durata di 10-11 giorni. Sembra che la competizione sia finita con un nulla di fatto, con entrambi gli eventi che cresceranno di dimensione e arriveranno a occupare tre settimane di calendario, circa 10-11 giorni ciascuno, con il primo che vedrà le fasi finali disputarsi di mercoledì mentre l’altro avrà uno svolgimento dei vari turni più “canonico” con la conclusione domenicale.
Se questo misto di indiscrezioni e dichiarazioni ufficiali dovesse essere confermato, si verrebbe a creare di fatto una super-categoria all’interno dei Masters 1000 che vedrebbe Indian Wells, Miami, Madrid, Roma e Shanghai stagliarsi sugli altri, per durata, dimensioni del tabellone e montepremi, lasciando Montecarlo, la Rogers Cup, Cincinnati e (soprattutto) Parigi Bercy a rincorrere. Al momento non sembrano previste modifiche nella classificazione, ovvero tutti quanti dovrebbero assegnare sempre lo stesso numero di punti, ma sembra chiaro che la situazione non potrebbe essere sostenibile nel lungo periodo, e che a fronte di un impegno economico ed organizzativo così chiaramente più pesante i “Super-Masters 1000”, se così li vogliamo chiamare, arriverebbero in tempi brevi a reclamare un trattamento privilegiato.
Bocche cucite al momento da parte dell’ATP, che ha declinato la nostra richiesta di un commento, probabilmente perché siamo alla vigilia della votazione che potrebbe dare il via libera a questa mini-rivoluzione ancora allo stato embrionale sulla carta, ma, stando alle voci sempre più insistenti che arrivano da più parti, ormai abbastanza definita. Se così dovesse essere, bisognerà vedere come reagirà (e se reagirà) la WTA, che si troverebbe a dover stare al gioco almeno per quel che riguarda i “combined” di Madrid e Roma, e che potrebbe decidere di ripensare la propria classificazione dei tornei, quantomeno nella nomenclatura, al momento estremamente confusa con 21 dei suoi 53 tornei che possono al momento godere dell’etichetta di “Premier”, all’interno della quale però si distinguono 4 Premier “Mandatory”, 5 Premier “5” e 12 Premier… e basta.
La mini-rivoluzione maschile potrebbe esacerbare la situazione del più debole dei Masters 1000, ovvero il Rolex Paris Masters in corso di svolgimento questa settimana della Accor Hotels Arena di Bercy, che a causa della sua collocazione in calendario è sempre stato il più traballante dei nove Masters 1000 in calendario. Posizionato alla fine di una stagione sempre più lunga e faticosa, troppo vicino alle ATP Finals (anche se ha ottenuto una settimana di cuscinetto un paio di anni fa), ha sempre fatto fatica ad ottenere quello che il suo status dovrebbe garantirgli di diritto, ovvero la presenza di tutti i migliori per un tabellone di grande livello. Sfortunatamente non sembra esserci una soluzione semplice alla questione: qualche anno fa si vociferava di un possibile spostamento a febbraio, facendo diventare l’appuntamento parigino quindi il primo Masters 1000 della stagione il fulcro della stagione indoor invernale europea, ma queste voci non hanno mai avuto seguito e il Rolex Paris Masters è rimasto il “figlio problematico” della nidiata, il cui status privilegiato sta sempre più diventando una potenziale preda delle aggressive tigri asiatiche, come il torneo di Pechino di cui si parlava in precedenza.
Anche se nulla è ancora ufficiale, molto sembra già deciso. Tra non molto sapremo come sarà il calendario ATP 2019, che potrebbe essere il primo di una nuova era, nel bene o nel male.