Rassegna a cura di Daniele Flavi
Chung, la rivincita del nerd. Un baby fenomeno (miope) va all’esame di Djokovic
Stefano Semeraro, la stampa del 22.01.2018
II tennis è popolare in Corea? «Non molto». Hai la fidanzata? «Purtroppo no». Credi che aver battuto il numero 4 del mondo ti aiuterà a trovarne una? «Non credo». Il punto forte di Hyeon Chung, il primo coreano della storia ad arrivare nei quarti di uno Slam, lo avrete capito, non è la parlantina. Con un residuo di acne e gli occhiali da secchione che sono insieme la croce e la risorsa del suo tennis sempre a fuoco, Hyeon sembra il protagonista «Emo» di un romanzo di Murakami, ma a guardare bene oltre le lenti correttive scorgi sempre il guizzare di uno spirito veloce, il sorriso allegro di un giovane-adulto che sa stare bene in campo e non vede l’ora di trovare la sua posizione nella vita. Figlio di un maestro di tennis che non ama comparire, Hyeon in realtà tutto avrebbe dovuto fare, nella vita, tranne che l’atleta professionista. A sei anni gli fu diagnosticato un disturbo della vista, prescritto l’uso degli occhiali («senza vedo le persone, ma non la pallina») e raccomandato di guardare il più possibile oggetti di color verde, possibilmente in movimento. «Puoi provare con il tennis, ma non illuderti di diventare forte», gli spiegarono oculisti poco lungimiranti. Papà Seok-in gli allestì in fretta un campetto nel giardino di famiglia e da li, con i primi match giocati insieme al fratello maggiore immaginando di essere Federer e Nadal, è iniziata un’altra storia. Next Gen a Milano Quattro anni e mezzo fa, con molti meno muscoli addosso e una montatura nera da vero nerd, ma la palla che gli usciva già bene e musicale dalle corde, Hyeon ha perso la (male di Wimbledon Under 18 contro Gianluigi Quinzi. Fra i 13 e i 15 anni ha frequentato l’ Academy di Nick Bollettieri in Florida, oggi è tornato ad allenarsi in patria, a Suwon. E n. 58 del mondo, ormai vicino a superare il record del miglior coreano di sempre, Hyung Taik-Lee, numero 36 nel 2007, da novembre anche il campione in carica delle Atp Next Gen Finals. Uno dei giovani più promettenti della leva tennistica 1996, mentre Quinzi, che se lo è ritrovato davanti da wild card proprio a Milano, naviga a quota 334. A Melbourne, dopo aver eliminato il fratello maggiore Mischa, due giorni fa ha stroncato anche lo Zverev buono, Sascha, il n. 4 Atp che a Milano era transitato solo in visita pastorale sulla strada per il Masters dei grandi. «Se gioca così, non sono in tanti che possono batterlo», ha sibilato fra l’incazzato e lo stupito Sascha. «Penso però che sia già arrivato al massimo. Ora bisogna vedere per quanto tempo riuscirà a mantenere questo livello». L’incaricato di sottoporlo alla prova del nove, stamattina sulla Rod Laver Arena, si chiama Novak Djokovic e gli Australian Open li ha già vinti sei volte. I due si sono incontrati a Melbourne già due anni fa, e Nole al primo turno se la sbrigò in tre set veloci, stavolta potrebbe finire diversamente. «Djokovic è il mio modello», spiega Hyeon. «Per come gioca e per la sua solidità mentale». Nel descrivere il suo modello Chung parla anche di se stesso, del suo tennis magari meno scintillante di quello di Rublev, dello stesso Zverev o del più giovane Shapovalov, ma impenetrabile e scoraggiante come un muro di gomma. Il tennis, insomma, c’è. L’amore, della Corea e delle coreane, prima o poi arriverà.
Rafa attento la solidità di Cilic arma in più
Paolo Bertolucci, la gazzetta dello sport del 22.01.2018
Marin Cilic è stato uno dei pochi eletti a spezzare il lungo dominio dei Fab Four, vincendo gli Us Open nel 2014. Non ci si impone in una prova così prestigiosa per caso o per un colpo di fortuna. Per riuscirci bisogna possedere qualità fisiche, tecniche e mentali e concentrarle nel giro di pochi giorni. La porta girevole della carriera era arrivata a seguito della squalifica di quattro mesi rimediata per aver assunto una minima quantità di stimolanti. Da quel momento aveva lasciato in disparte il tennis interlocutorio mettendo in mostra un gioco più aggressivo e propositivo. E’ vero che, a volte, accusa improvvisi cali di tensione dando fiato e vigore agli avversari, ma con il tempo è riuscito a limitarli diventando più duro e esigente con se stesso. Indubbiamente la cattiveria agonistica, celata sotto la pelle da bravo ragazzo, non sempre esce allo scoperto mettendo così in mostra alcuni limiti caratteriali. Il croato basa molto del suo tennis sul consistente servizio, sulla capacità di accorciare gli scambi e di creare i presupposti per comandare il gioco con i solidi colpi di rimbalzo. Quando è in grado di colpire comodo e di non perdere terreno durante lo scambio, Marin può scardinare anche le difese più ostiche. Con Nadal, prossimo avversario, dovrà essere perfetto, ma non parte già battuto.
Dimitrov si candida «Sono più maturo»
Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 22.01.2018
Il Maestro è nell’anima del torneo. E adesso che comincia la settimana in cui si decidono le magnifiche sorti del primo Slam dell’anno, Grisha avverte il peso del ruolo che accompagna il numero tre del mondo e soprattutto il vincitore dell’ultimo Masters: così, di fronte a un avversario in fiamme e a un paese intero, l’Australia, in misericordiosa attesa di un nuovo messia, abbandona il grigiore dei primi turni e snocciola la miglior prestazione agli antipodi di quest’anno. Chiamatelo il terzo incomodo dietro Roger e Rafa, o magari il quarto, se Djokovic si ricorderà in fretta come si fa. NUOVO LIVELLO Ormai Dimitrov si è affrancato dal pesante assillo che gli derivava dall’ingombrante soprannome di Baby Fed, e la vittoria alle Finals a novembre, insieme a una classifica adesso di superlusso, lo richiedono sempre lassù, tra i big, in una nuova dimensione. E la vittoria sul lanciatissimo Kyrgios, che era imbattuto nel 2018, è un segnale che il bulgaro manda agli avversari, ma soprattutto a se stesso: perché conquistare tre tie break contro un fenomenale battitore come il Kid di Canberra, 36 ace alla fine e sostanzialmente tutti i servizi, prima o seconda non importa, sopra i 200 all’ora, significa saper leggere le situazioni e, tecnicamente, possedere piedi e braccio per rispondere anche alle spingardate. In aggiunta, Grigor condisce una partita a tratti stellare (per merito di entrambi, va detto, come dimostrano i 140 vincenti complessivi) con appena 27 gratuiti e l’80% di punti con la prima: «Ho imparato — dirà alla fine — che sono in grado di alzare il mio livello quando i momenti lo richiedono ed è una lezione che ho appreso lottando. Nei primi tre turni non trovavo bene la palla, ma questa volta sono cresciuto quando serviva. RINASCITE In verità, nella rinascita di Grisha, o più semplicemente nella sua presa di consapevolezza che solo i grandi successi producono (dall’inizio del Masters ha un record di 11-1), rimane una piccola ombra, cioè la tendenza a perdere il controllo emotivo quando il clima agonistico si fa davvero caldo. Contro l’australiano, a cui lo lega un sincero rapporto di amicizia come dimostrato dagli abbracci e dai complimenti con cui si accomiatano alla fine, succede nel decimo game del secondo set, quando non sfrutta una palla per chiudere il parziale e finisce per perdere la battuta, e ancora nel nono game del quarto set, quando si ritrova a servire per il match e arriva appena a 15, regalando pure un doppio fallo di puro braccino. Due peccati emendati con due tie break favolosi, ma sono amnesie che se probabilmente non incideranno in un quarto abbordabile contro Edmund, potrebbero rivelarsi letali in una possibile semifinale con Nadal. Sarebbe la rivincita di quella dell’anno scorso, quando l’uomo di Haskovo arrivò a un battito di ciglia dall’impresa ma lo tradì, guarda caso, un cuore non così leonino nelle fasi cruciali: «Non ci penso, contro Nick non è stato facile, per le sue qualità e per l’atmosfera: da parte mia, un grande match. Cui va accomunato senz’altro Kyrgios, pure lui forse definitivamente rinato se le parole del post partita avranno seguito: «L’anno scorso, dopo l’Australia, ero annoiato e non sapevo che fare, adesso voglio tornare a giocare in fretta e a godermi un anno alla grande». Bene. Perché il tennis ha bisogno di te.