Garbiñe Muguruza è indubbiamente una tennista molto forte. A 24 anni ha vinto due Slam – ok, c’è chi alla sua età ne aveva vinti il triplo, ma chiedete al coetaneo Thiem se non vorrebbe avere il suo palmares – e si è guadagnata un posto nella ristretta cerchia di giocatrici in grado di battere Serena Williams nella finale di un Major. Questo club esclusivo conta appena altri quattro nomi – Kerber, Stosur, Sharapova e la sorella Venus – accomunati da un’innegabile tigna sul campo da gioco, conditio sine qua non per togliere uno Slam a Serena. E se le personalità di Kerber e Venus possono definirsi mansuete, più votate alla compostezza che all’esuberanza, quelle di Stosur e soprattutto Sharapova viaggiano sulle latitudini della sfrontatezza. Garbiñe non ha ancora scoperto tutte le sue carte ma la sua personalità non è di quelle che passano inosservate. Ben prima del suo successo londinese, interrogata sulla finale di Wimbledon che avrebbe voluto vedere, aveva prontamente risposto ‘La mia‘, tra sorriso e ambizione. A volte sull’orlo del collasso emotivo, come a Parigi dopo la sconfitta della scorsa stagione, a volte dominante sul campo, a volte sonnacchiosa al punto da rimediare vere e proprie sconfittacce. Ma dotata, senza dubbio alcuno, di quella luccicanza che non accompagna tutti i talenti sportivi. Il suo sì.
A TUTTO TENNIS: SLAM, NUMERO 1 E… ‘VOGLIO CHE TUTTE MI TEMANO’
Di tennis Garbiñe ha parlato, e anche parecchio. A partire dai suoi primi passi. “Molte cose sono già cambiate, inizio a sentirmi una veterana. Prima ero uno delle più giovani, ora vado a giocare in Asia o in Australia e nel tabellone leggo anche 15 nomi che non conosco. Insomma, il tempo è passato e io sono maturata. Se mi manca giocare senza pressione? Beh, quando ero giovane sembrava tutto un gioco: se vinci bene, se non vinci… bene lo stesso. Forse avevo tempo di fare molte altre cose nella mia vita ma non tornerei indietro“. Oggi la realtà si chiama partire favorita negli Slam, i palcoscenici che peraltro sembra prediligere: una volta ha dichiarato che avrebbe firmato per vincere uno Slam all’anno e fare anche solo da comparsa negli altri tornei. “Era un modo di dire. È chiaro però che vincere uno Slam da un grosso impulso alla tua carriera, sono i tornei che la storia ricorda. Quindi sì, se in una stagione vinci anche soltanto uno Slam è comunque un anno positivo, non importa cos’altro succede. Anche se riconosco che non esistono solo gli Slam”.
Appena dopo vincere uno Slam, la massima aspirazione di una tennista è salire in vetta al ranking. Muguruza lì in alto ci è già stata; tornarci le interessa, ma fino a un certo punto. “Nella passata stagione puntavo esplicitamente a diventare la prima del ranking perché non mi era mai riuscito. Ricordo ancora le fantastiche sensazioni di quei giorni, dopo gli Us Open. La prima cosa che ho fatto, il lunedì, è stata fare uno screenshot della classifica WTA con il mio smartphone. Ritornare numero 1? A chi non piacerebbe, però posso dire che non è una mia priorità nel 2018”. Cambia la prospettiva. E c’è una ragione, spiega Garbiñe: “Dovrei prendere ogni volta la calcolatrice per vedere quanti punti mi mancano, non è la mia aspirazione. Per l’equilibrio che regna nel circuito, credo che ci saranno diversi cambiamenti in vetta alla classifica con il passare delle settimane. Se dovesse capitare l’occasione ci farei caso, altrimenti no”. Le occasioni di salire in vetta si sono moltiplicate, appare ovvio, per l’assenza di Serena Williams. “L’errore è credere che possa esistere un’altra giocatrice come lei. C’è una sola Serena Williams, è evidente. La normalità non è vincere 23 Slam, ma che ad ogni occasione ci siano diverse pretendenti pronte a lottare. Difficile che un’altra tennista riesca a vincere 23 Slam“.
L’ambizione però, a casa Muguruza, è un’inquilina fissa. “Qualche giorno fa ci stavo pensando e mi sono detta: quest’anno voglio che nessuna tennista sia contenta all’idea di affrontarmi“. Non è un proclama che si legge abitualmente nel mondo ‘vellutato’ della racchetta, sebbene in WTA sia più comune inciampare in frecciatine e polemichette tra colleghe. Le stesse rispetto alle quali Garbiñe si sente differente, se non altro per una questione atletica: Halep e Kerber, che assieme a Wozniacki stanno dominando la scena in questo inizio di stagione, sono prototipi di atlete perfette. “La verità è che non mi interessa guardare la loro struttura fisica. Sono diverse da me, più basse e se non sono estremamente preparate atleticamente rischiano di perdere le loro caratteristiche peculiari. A me non interessa essere troppo muscolosa, cerco di avere più forza possibile affinché il mio servizio e i colpi da fondocampo facciano male, ma non voglio avere, per esempio, dei gran bicipiti“.
FUORI DAL TENNIS: MODA, SOGNI E ANDALUSIA
Garbiñe Muguruza supera il metro e ottanta di altezza. È slanciata, radiosa, indubbiamente una bella ragazza. Se arrivasse la proposta di Sports Illustrated, per esempio, lei poserebbe come hanno fatto di recente Bouchard e Stephens, e lo scorso anno anche Serena Williams? “No, è una cosa che non mi piace. Per come sono fatta, non mi vedrei a posare per quel tipo di scatti. Riconosco che si tratta di una vetrina prestigiosa, perché devi essere una grande atleta o comunque aver realizzato qualcosa di grande. Ma se potessi scegliere non sceglierei di posare in bikini; piuttosto una rivista di attualità, o di moda“. La moda è anche una delle sue grandi passioni, eredità di mamma Scarlet che da piccola sognava di essere una disegnatrice di abiti. Passione che potrebbe ritornare nel futuro di Garbiñe, forse neanche troppo lontano: “Giocare fino a 36 anni come Serena? Non credo proprio, per il mio tipo di gioco e per il mio fisico. A quell’età vorrei fare una vita diversa“, è la sua netta presa di posizione. “Piacerebbe anche a me disegnare abiti un giorno, sicuramente qualcosa fuori dal tennis. Poi ho indossato abiti sportivi per una vita intera e ogni volta che posso mi piace vestire diversamente: mettere i tacchi ad esempio, anche per andare a fare la spesa! Mi piace fare praticamente tutto, a parte cantare, infatti non ho le idee molto chiare; sono in una fase in cui un giorno voglio fare il medico e il giorno seguente l’archeologo“.
Dalle parole della 24enne di Caracas traspare la sensazione che abbia la sveltezza di pensiero necessaria per affrontare anche argomenti lontani dall’universo tennistico, o che lo tocchino solo di riflesso. E se esiste un topic dominante nel dibattito pubblico degli ultimi mesi questo è senz’altro il sessismo. “Sì, penso che anche nel tennis esista una quota di sessismo e forse non scomparirà mai. È uno sport che dà grande visibilità, anche dal punto di vista estetico per via dell’outfit con cui scendiamo in campo a differenza di sport come il basket o il calcio. Se sei una tennista di bell’aspetto e di successo, vieni classificata come un sex symbol. Succede anche tra gli uomini, anche se in modo meno evidente“.
La spagnola non fa troppa fatica a dire quello che pensa anche se si tratta dei media del suo paese, con i quali non ha un rapporto idilliaco. “Non ho mai ricominciato a leggere i giornali spagnoli e ora vi spiego anche il perché. Ricordo quando ho vinto il Roland Garros, obiettivo per cui mi sono allenata tutta una vita. Nei commenti era tutto un ‘beh, se non vince Rafa qualcuno doveva pur vincere’. Non potevo crederci quando l’ho letto: forse gli spagnoli sono davvero troppo abituati ai successi. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso“. Non avrà contribuito a ricucire lo strappo la sua assenza nella sfida di Fed Cup di Chieti, dove il team di Anabel Medina-Garrigues è stato sconfitto a sorpresa dalle ragazze di Tathiana Garbin. “Essere arrivata per tempo a Doha mi aiutato a far meglio, inutile negarlo. Rientrando dalla nazionale avrei avuto maggiori difficoltà, come è capitato ad altre giocatrici (il riferimento a Suarez Navarro sembra chiaro, ndr). I capitani sono sempre ex giocatrici: hanno il dovere di provare a chiamare quelle che ritengono le migliori – conclude – ma anche il buon senso di capire perché in certe occasioni può essere meglio non giocare. Poi il filo è sempre sottile: se si vince hai fatto bene, se invece si perde…”.
È chiaro, quindi: Garbiñe Muguruza è spagnola, ma più che altro d’acquisizione. Tanto da non essere immune al fascino di una terra che conosce molto meno di quanto si possa credere. “Dopo il Masters di Singapore sono andata a Bali, perché ero lì vicina. Poi stavo per volare in Costa Rica e all’improvviso mi sono detta ‘Ma cosa ci faccio su un altro aereo?’, quindi sono andata in Andalusia, ho noleggiato un’auto e mandato al diavolo un volo e una destinazione paradisiaca. Mi sono divertita tantissimo perché conosco a malapena la Spagna! Tutti si aspettano racconti di vacanze da favola a Bora Bora: io rispondo che ho noleggiato un’auto e sono andata in Andalusia. Ho mangiato prosciutto e scoperto un sacco di posti nuovi“. That’s Muguruza.
l’intervista è rielaborata da quella originale di Joan Solsona (Marca)