Era uno degli “Handsome Eight“, gli otto belli del tennis anni Sessanta (insieme a John Newcombe, Niki Pilic, Butch Bucholtz, Roger Taylor, Cliff Drysdale, Dennis Ralston e Tony roche) e, ancora oggi, a 76 anni, Pierre Barthes conserva nel volto tracce di quel fascino che, oltre al tennis, ha contribuito a renderlo celebre. Originario di Béziers – la città natale di Richard Gasquet – Barthes è stato n. 1 di Francia alla fine degli anni Sessanta e nel 1972. Con il suo storico partner Niki Pilic ha vinto il torneo di doppio allo US Open nel 1970 e i due hanno disputato lo stesso anno anche la finale a Montecarlo. Sono sette i titoli vinti dal francese nella suddetta specialità. Tennista “dilettante” dal 1959 al 1965, vince sette tornei; poi, da professionista con contratto (dal 1965 al 1970) ne conquista altri tre. Disputa inoltre altre dieci finali. Nell’era Open è stato n. 57 ATP (1974). Barthes raggiunge gli ottavi di finale in tutte le prove dello slam e vanta quattro vittorie contro i n. 1 del mondo, tre con Rod Laver e una opposto a Stan Smith. Presente a Genova al seguito della squadra dei “Bleus”, è stato intervistato dal Direttore Ubaldo Scanagatta dopo la vittoria di Lucas Pouille con il nostro Fabio Fognini.
Pouille ha vinto in quattro set, ha salvato tre setpoint. È stato più solido di Fognini? Qual è la tua opinione?
È un po’ sorprendente perché Fognini ha un po’ “giocato per noi” nel senso che ha “aiutato” Pouille a riprendere fiducia e a rientrare in partita mentre lui è un po’ uscito dal match. Quindi bravo a Pouille ad aver vinto ma Fognini aveva tutto per far suo questo incontro. Nel secondo set stava dominando e Pouille non sapeva bene cosa fare, sentiva la pressione, e a questo punto Fognini ha mollato la presa e Pouille è potuto rientrare in partita; ha acquistato fiducia, ha cominciato a servire meglio, il match a questo punto è girato ed è Fognini poi che ha perduto le staffe. È strano perché Fabio gioca un tennis assolutamente eccezionale, davvero eccezionale. Pochi tennisti sanno fare quello che sa fare lui a volte. Ha un tennis talmente meraviglioso, intelligente, con tutte le qualità che possiamo chiedere a un giocatore, con la percezione del gioco, la distribuzione degli scambi, le accelerazioni, è straordinario ma…
Non è mai entrato tra i primi dieci perché non è costante?
Non è carino quello che sto per dire e forse mi sbaglio ma trovo che non rispetti abbastanza il tennis. Il tennis è molto più grande di lui ed è stato dimostrato anche oggi. Non si gioca con il tennis, ma si gioca a tennis, punto dopo punto, con molta modestia. Credo che Fabio viva meravigliosamente bene una partita, è un vero tennista, un giocatore meraviglioso ma penso che, talvolta, ci voglia più modestia.
La Francia non vinceva in Italia in Coppa Davis dal 1927. È anche un po’ colpa tua o non avevi giocato (ride)?
Non ho mai giocato la Coppa Davis contro l’Italia. All’epoca ho disputato dei match tra Francia e Italia, contro Nicola Pietrangeli per esempio, ma erano incontri diversi che si giocavano una volta l’anno o ogni due anni. E poi per sei anni non ho potuto giocare perché ero diventato professionista, prima del tennis Open.
Facevi parte degli otto belli del tennis…
Beh, ma ancora prima giocavo con Rod Laver, Pancho Gonzales, Pancho Segura, Lew Hoad… Sono stato molto fortunato di condividere parte della mia vita con quei giocatori.