0 – le volte in cui Coco Vandeweghe era arrivata ai quarti di finale nel 2018. La tennista nata a New York nel dicembre del 1991, quest’anno aveva giocato poco e male, perdendo all’esordio in due dei tre tornei ai quali aveva partecipato (contro Babos a Melbourne e con Collins a Miami) e fermandosi al secondo turno a Indian Wells, dove perse con Sakkari. Tutte sconfitte contro tenniste non incluse nella top 50 al momento in cui si sono giocate le partite. La statunitense, due week-end fa sconfitta da Mladenovic in Fed Cup, era iscritta al ricco Porsche Tennis Grand Prix, torneo della categoria Premier che si gioca a Stoccarda, dove partecipava per la seconda volta, senza aver mai mostrato tra l’altro attitudine per la terra rossa: era arrivata solo una volta nei quarti, a Madrid l’anno scorso, in un torneo su questa superficie. Sembrava lontana per lei la condizione del 2017, che le aveva permesso di entrare nella top 10 e di sconfiggere due numero 1 del mondo, peraltro durante dei Majors (Kerber a Melbourne, Pliskova a New York). Coco era stata anche grande protagonista in Fed Cup, vinta in finale in Bielorussa grazie ai suoi punti in singolare e in doppio (in quest’ultimo caso con l’aiuto di Rogers): ma non solo, era stata decisiva anche nei turni precedenti, con quattro vittorie in quattro incontri. A Stoccarda per arrivare in finale la scorsa settimana, ha avuto la meglio su tre top 10: ha prima sconfitto (6-2 6-0) Sloane Stephens, 9 WTA; poi Siegemund (6-4 4-6 6-3), 100 WTA (ma a Stoccarda campionessa nel 2017 e finalista nel 2016). Nei quarti ha nuovamente avuto la meglio (6-4 6-1) su una numero 1, Simona Halep, mentre in semifinale a capitolare (6-4 6-1) è stata Garcia, 7 WTA. In finale la statunitense, pur avendo vinto tre dei cinque precedenti, si è arresa a Karolina Pliskova, 6 WTA, uscita vincitrice dal confronto con il punteggio di 7-6(2) 6-4. Coco is coming back.
1 – la vittoria nel circuito maggiore di Lorenzo Sonego prima di partecipare all’ATP 250 di Budapest. Il quasi 23enne piemontese (compie gli anni l’11 maggio), dopo essersi qualificato a Melbourne (eliminando anche Tomic) aveva ottenuto lo scorso gennaio una bella vittoria su Robin Haase, in quel momento 43 ATP. Dopo l’exploit australiano, che aveva confermato le possibilità nel grande tennis fatte intravedere già al Foro Italico nel 2016, quando perse d’un soffio da Joao Sousa, Lorenzo si era iscritto alle quali di Sofia e si era poi dedicato al circuito Challenger, grazie al quale, con la semifinale di Bergamo e ai quarti a Quijing, aveva guadagnato un’altra ventina di posizioni, salendo sino al 157esimo posto della scorsa settimana. Una crescita che aveva mostrato come la vittoria su Haase non fosse stato un episodio isolato, come avvenuto invece con la bella prova agli Internazionali d’Italia 2016. Infatti, dopo quella partita, giocata da 330 ATP, Lorenzo era addirittura sceso in classifica sino a sprofondare, a fine settembre 2017, al 440 ATP. Per fortuna, però, la vittoria del Challenger di Ortisei e la finale in quello di Ismaning, oltre che due finali successive in tornei Futures, gli avevano fatto raggiungere la migliore classifica di sempre, poco sotto ai primi 200, al termine dello scorso anno. Una evoluzione lenta ma costante confermata appunto questa settimana a Budapest, dove è stato innanzitutto bravo a qualificarsi sconfiggendo (6-3 6-2) Gerald Melzer, 116 ATP; e Yannick Maden (duplice 6-4). Nel tabellone principale ha prima eliminato con lo score di 6-7 (2) 7-6(8) 6-4, al termine di una battaglia di 2 ore e 40 minuti -e dopo aver salvato due match point– il qualificato polacco Hurkacz, 182 ATP. Negli ottavi ha ottenuto lo scalpo sin qui più prestigioso della carriera, sconfiggendo Richard Gasquet, 29 ATP, col punteggio di 6-4 7-6 (5). Nei quarti, opposto a Aljaz Bedene, 57 ATP, si è arreso allo sloveno, vincitore col punteggio di 6-3 3-6 6-2. Lorenzo cresce, a piccoli passi, ma questa volta non vuole fermarsi.
3 – i tennisti italiani capaci, negli ultimi dodici anni, di conquistare tornei ATP. Oltre a Paolo Lorenzi (vincitore a Kitzbuhel nel 2016), erano stati solo Fognini, con sei titoli (Stoccarda e Amburgo 2013, Vina del Mar 2014, Umago 2016, Gstaad 2017, San Paolo 2018) e Seppi con tre (Eastbourne 2011, Mosca e Belgrado 2012) a tirare la carretta del tennis maschile italiano. Più volte si è denunciata l’assoluta mancanza di ricambi dello stesso livello di questi due tennisti, ormai più che trentenni, ma autori, quando il loro bilancio può essere solo parziale, di ottime carriere. Fabio e Andrea, anzi, come evidenziato la settimana scorsa, sono autori di una prima parte di stagione tra le migliori della loro più che decennale carriera, ma non si intravedeva chi nel breve periodo potesse prima affiancarli e poi sostituirli. Questa settimana, arriva in tal senso qualche piccola buona notizia, seppur non da enfatizzare e sebbene si debba attendere la riprova del campo nei prossimi mesi. Infatti, Gianluigi Quinzi, sin qui arrivato al massimo tre volte in semifinale a livello Challenger, ha conquistato, perdendo nel suo cammino un solo set, a Francavilla il suo primo titolo a questo livello, sconfiggendo Casper Ruud nell’atto conclusivo del torneo. Ma, soprattutto, Cecchinato, a 25 anni e mezzo, ha conquistato il primo titolo ATP, trionfando in finale a Budapest su Millman. Ancora è impossibile poter sperare che il siciliano ricalchi la carriera di Fognini e Seppi: Marco prima di questa settimana a livello ATP aveva raggiunto solo una volta i quarti di finale, a Bucarest nel 2016, e ancora deve vincere a livello del circuito maggiore un match non giocato sulla sua amata terra battuta. Fatte queste premesse, Cecchinato è stato però bravo a sconfiggere un avversario in difficoltà di risultati e già da lui superato in due circostanze, quel Dzhmur, 32 ATP, eliminato a Budapest col punteggio di 6-3 6-1. Per il resto, non ha dovuto eliminare nessun top 50, ma sono comunque buone le vittorie ottenute contro due tennisti in forma. Ci riferiamo ai successi nei quarti con Struff (5-7 6-4 6-2), 61 ATP; e in semifinale con Seppi (5-7 7-6(4) 6-3), 55 ATP. Due partite che mostrano due grandi qualità di Cecchinato, la capacità di non arrendersi mai e la voglia di arrivare nel grande tennis. Per dire se ci arriverà davvero, dovremo aspettare, ma questo successo potrebbe aiutarlo molto psicologicamente e rappresentare, come gli auguriamo, un trampolino di lancio della sua carriera. Se a tutto questo si aggiungono i quarti raggiunti, sempre nell’ATP 250 di Budapest, da Sonego, si può ben dire che qualcosa (vedremo quanto buono sia) bolle in pentola nel tennis italiano.
4- le volte (Australian Open, Dubai, Indian Wells e Miami) nelle quali Karolina Pliskova nel 2018 si era fermata ai quarti di finale. Solo in una circostanza aveva fatto meglio (a Brisbane, dove è stata sconfitta da Svitolina) e in appena una peggio (a Doha, fermata dalla Bellis). Una serie di piazzamenti che l’avevano comunque fatta arrivare nella top ten della Race 2018, pur in un anno senza acuti, nel quale aveva perso tutte e tre le volte che aveva affrontato una top 10. L’ex numero 1 del mondo è arrivata a Stoccarda, una settimana prima, protagonista nel week-end della semifinale di Fed Cup, nel quale aveva ottenuto la prima vittoria del 2018 contro una top 20, Kerber, perdendo poi da Georges. La terra rossa non è certamente la superficie preferita di Karolina, che sul mattone tritato aveva raggiunto solo una finale, perdendola nel 2014 nel piccolo International di Norimberga da Bouchard, e appena due semi (Praga 2016 e Roland Garros 2017). Le condizioni indoor in cui si gioca a Stoccarda hanno magari aiutato la ceca, in ogni caso capace di esprimere un buonissimo tennis, sin dai primi due turni, nei quali ha sconfitto senza patemi prima Bertens (duplice 6-2), 22 WTA, poi la qualificata russa Veronika Kudermetova (7-6 6-3), 193 WTA. Nei quarti la vittoria (5-7 7-5 6-4) sulla detentrice del Roland Garros, Jelena Ostapenko, 5 del mondo, ha fatto da apripista per il successo (6-4 6-2) in semifinale su Kontaveit. In finale, superando Vandeweghe, 16 WTA, col punteggio di 7-6(2) 6-4 ha conquistato il decimo titolo in carriera, rompendo un digiuno che durava dallo scorso giugno, quando la ceca vinse a Eastbourne.
15 – le sconfitte nelle ultime diciassette partite giocate nel circuito da Paolo Lorenzi. Il toscano tennisticamente è rimasto purtroppo a New York e all’ottavo di finale giocato contro Kevin Anderson. Dopo quella partita, nella quale Paolo nel quarto parziale era un break avanti per portare il match al quinto, il 2017 si era concluso con sole sconfitte, ben sette. Il 2018 sembrava essere partito in maniera diversa: dopo aver perso a Doha in tre set con Monfils (che avrebbe poi vinto il torneo), erano arrivate due vittorie a Sydney e la partita persa in cinque set contro Dzhumur a Melbourne. Con l’arrivo dei tornei sulla terra sudamericana, tutto sembrava far pensare che Paolo si potesse riprendere, ma la fascite plantare ha scombussolato i suoi piani e, dopo la sconfitta al primo turno di Quito, il toscano è tornato in campo solo a fine marzo. Sono arrivate purtroppo ben cinque sconfitte consecutive al primo turno, tutte contro avversari non nella top 50, tutti tennisti che il Paolo dell’anno scorso avrebbe molto probabilmente sconfitto. L’ultimo episodio di questa triste vicenda si è verificato a Budapest, contro quel Basilashvili, sconfitto da Lorenzi in occasione della finale di Kitzbuhel 2016, suo unico titolo in carriera a livello ATP: il toscano ha perso col netto punteggio di 6-4 6-2. Conoscendo Paolo, risorgerà dalle sue ceneri.
40 – il best career ranking di Pauline Parmentier, vincitrice della undicesima edizione dell’International di Istanbul, un torneo che vanta nel proprio albo d’oro star del tennis come Venus Williams, Dementieva, Radwanska, Svitolina (campionessa nel 2017) e Wozniacki. La trentaduenne francese non ha sin qui brillato negli appuntamenti che contano: non ha mai sconfitto una top ten, non è mai giunta nei quarti di un torneo Premier e solo una volta è arrivata alla seconda settimana di un Major, nel 2014 al Roland Garros, quando fu fermata agli ottavi da Muguruza. Prima di Istanbul, aveva vinto già due tornei, entrambi piccoli e molto datati: nel 2007 si impose a Tashkent su una diciottenne Azarenka, nel 2008 a Bad Gastein su Hradecka, un successo che le garantì il miglior piazzamento in classifica e l’accesso nella top 40. Nel 2018, pur giocando anche diverse quali e ITF, aveva vinto prima di Istanbul appena tre partite, scivolando al 122° posto del ranking WTA. Pauline era arrivata in Turchia reduce dal nefasto week-end di Fed Cup, durante il quale aveva perso, senza conquistare un set, entrambi i singolari giocati contro Keys e Stephens. A Istanbul la transalpina, a distanza di quasi dieci anni dall’ultima volta, ha raggiunto la finale nel circuito maggiore sconfiggendo nell’ordine: la wild card locale Aksu (duplice 6-2), 222 WTA; Putinsteva (6-2 2-6 6-3), 83 WTA; la numero 2 del mondo Wozniacki (ritiratosi all’inizio del terzo set); Begu (6-3 6-4), 37 WTA. In finale, la francese si è imposta sull’altra sorpresa del torneo, Polona Hercog, 75 WTA: Pauline ha conquistato il titolo col punteggio di 6-4 3-6 6-3.
77 – i set vinti, a fronte di solo 4 persi, da parte di Rafael Nadal sulla terra battuta dal 2017 in poi. Una serie incredibile di trentacinque vittorie e una sola sconfitta (contro Thiem nei quarti di Roma lo scorso anno) che sbalordirebbe chiunque, se non si stesse parlando del tennista più forte di tutti i tempi sul rosso. Il numero 1 al mondo sta dominando i suoi avversari anche nella fase matura della carriera, quella di atleta ormai trentenne: molti ipotizzavano che una volta persa la capacità atletica di atleta fresco ventenne, Rafa avrebbe avuto serie difficoltà anche sulla sua superficie preferita. Un dato può far capire meglio di mille parole il suo dominio e come le cassandre siano state smentite: nei settantasette set vinti nel lasso temporale considerato, solo in cinque occasioni i suoi avversari hanno fatto almeno cinque game. Inoltre, sempre analizzando i suoi dati sulla terra battuta dal 2017 in poi, solo in dieci occasioni, nelle trentasei partite giocate, i tennisti da lui affrontati hanno terminato l’incontro con una media superiore ai tre game vinti per set: numeri incredibili nel tennis moderno, così equilibrato, uno sport dove ormai moltissimi giocatori si aiutano quantomeno col servizio per non prendere “imbarcate”. Anche a Barcellona, seppur aiutato da un buon tabellone, che gli ha fatto incontrare un solo top 50 (Goffin) Rafa ha confermato come, se in salute, tra lui e gli altri tennisti, sulla terra battuta, vi siano diverse spanne di differenza. Nadal ha sconfitto nell’ordine Carballes Baena (duplice 6-4), 77 ATP; Garcia Lopez (6-1 6-3), 69 ATP; Kilizan (6-0 7-5), 140 ATP. In semifinale, non c’è stato scampo (6-4 6-0) nemmeno per Goffin, 10 ATP, mentre in finale ad inchinarsi è stato il giovane greco Tsitsipas, al quale sono stati lasciati appena tre giochi (6-2 6-1) per conquistare per l’undicesima volta l’ATP 500 di Barcellona. Rafa XI, imperatore e dominatore assoluto di Montecarlo, Roma, Madrid, Parigi e di tutti i campi di tennis al mondo in terra rossa.
94 – la classifica della scorsa settimana per John Millman, australiano classe 89 finalista all’ATP 250 di Budapest. Il tennista nato a Brisbane, sulla terra non aveva mai ottenuto buoni risultati, non solo a livello ATP, dove prima della tappa ungherese non aveva mai vinto una partita, ma anche a livello challenger, dove aveva raggiunto appena una finale (Vicenza 2015) e un quarto di finale. Una settimana di agosto del 2016 era stata sinora la sua migliore esperienza nel circuito maggiore: a Winston Salem, arrivò alle semifinali – prima e unica volta nel circuito maggiore – dopo aver eliminato nei quarti Gasquet, allora 15 ATP. Il suo best career ranking – 60 ATP nel maggio 2016 – era stato del resto costruito grazie a una serie di buoni risultati nei challenger giocati sul cemento all’aperto (9 successi e 5 finali sin qui), una superficie sul quale si era concesso anche il lusso di sconfiggere Kyrgios al primo turno degli ultimi US Open, in quella che è sin qui l’altra vittoria prestigiosa della sua carriera. A causa di alcuni malanni fisici (già l’anno scorso è finito sotto i ferri) si era ritirato nelle ultime settimane dalle quali di Rotterdam e dal tabellone di Houston, arrivando a Budapest con appena quattro eventi ATP giocati nel 2018. In Ungheria, prima ha sconfitto (6-4 7-5) Radu Albot, 97 ATP; poi ha ottenuto al secondo turno il successo più importante relativamente alla classifica dell’avversario sconfitto: John ha estromesso dal torneo (6-3 6-4) Pouille, 14 ATP. Nei quarti ha superato anche la più classica delle prove del nove, eliminando (2-6 6-1 6-4) Maden, 134 ATP. In semifinale è venuto fuori da una partita spezzettata in due giorni a causa della pioggia e durata in campo 2 ore e 52 minuti, al termine dei quali ha raggiunto la finale col punteggio di 2-6 7-6 (3) 7-6(5) dopo aver annullato tre match point a Bedene, 57 ATP. Nell’ultima partita del torneo, nulla ha potuto contro il nostro Cecchinato, vincitore col punteggio di 7-5 6-4.
207 – la classifica di Stefanos Tsitispas, appena 52 settimane fa. Il greco, che a fine marzo 2017 perdeva in una semi di un Futures a Santa Margherita di Pula dal nostro Giustino, è stato autore di una crescita eccezionale negli ultimi mesi, in particolare dallo scorso settembre, quando ha vinto il Challenger di Genova e è arrivato in finale in quello di Brest. Nei mesi finali della passata stagione, soprattutto, ha sconfitto un top 50 (Struff), due top 40 come Kachanov a Shanghai e Cuevas ad Anversa. Nella città belga, soprattutto, il greco si è dimostrato capace di sconfiggere – al tie-break del terzo set – il beniamino di casa David Goffin, che nelle settimane successive sarebbe assurto ad assoluto protagonista del tennis mondiale con la finale al Masters e in Davis. Nel 2018 erano sin qui arrivate tre vittorie importanti contro top 50 (Gasquet a Doha, Kohlschreiber a Dubai e Shapovalov a Montecarlo) e due quarti di finale (sempre in Arabia, all’ATP 250 di Doha e all’ATP 500 di Dubai), piazzamenti che proprio la scorsa settimana, quando ad agosto compirà 20 anni, lo avevano portato al numero 63 ATP, best career ranking. Un record che verrà ritoccato dopo lo splendido torneo fatto a Barcellona, dove ha costruito il migliore risultato della sua giovanissima carriera. Stefanos è arrivato infatti in finale senza perdere un set, sconfiggendo, tra gli altri, un top 10 e un top 20. Nell’ordine, ha infatti superato (6-4 6-1) Moutet, 137 ATP; poi Schwartzman (6-2 6-1), 17 ATP; Ramos Vinolas (6-4 7-5), 40 ATP e nei quarti il finalista del torneo catalano nel 2017, Dominic Thiem (6-3 6-2), 7 ATP. In semifinale, anche l’undicesimo tennista del ranking, Carreno Busta, è stato sconfitto col punteggio di 7-5 6-3. In finale, il greco non ha potuto fare altro che inchinarsi allo strapotere di Nadal, vincitore col punteggio di 6-2 6-1. Il suo rovescio a una mano e il suo essere un personaggio interessante, dotato di un tennis potenzialmente brillante, fanno credere che lo potremo vedere diverse altre volte giocare la domenica.