Non è semplice valutare la qualità media di un torneo, anche perché è oggettivamente impossibile seguire tutti i match che lo compongono. Per quanto ho avuto la possibilità di vedere, considero il Premier Mandatory di Madrid, uno dei migliori tornei di questa stagione. Lo metterei ai vertici insieme a Indian Wells. Tante partite ben giocate, tanti spunti interessanti, a dispetto di una partecipazione di pubblico non straordinaria. Per ragioni di spazio ho deciso di limitarmi alle quattro semifinaliste, e ai temi che i loro match hanno suggerito.
Caroline Garcia
Nel 2017 il tennis francese aveva raggiunto la finale di Madrid con Kiki Mladenovic, sconfitta da Simona Halep al termine di un match duro e appassionante (7-5, 6-7(5), 6-2). Quest’anno Mladenovic si è fermata nei quarti contro Maria Sharapova, ma a sostituirla fra le protagoniste c’è stata Caroline Garcia. Un passaggio di consegne transalpino, coerente con il rendimento recente delle giocatrici. Kiki infatti è calata a partire dall’agosto scorso, mentre da settembre 2017 Garcia ha infilato una serie di risultati positivi che l’hanno portata sino alla Top 10.
Nei primi turni di Madrid Caroline ha seguito un percorso netto: due set a zero contro Cibulkova (6-1, 7-5), Martic (6-3, 7-5), Goerges (6-2, 6-4) e Suarez Navarro (6-2, 6-3). Tutti match in cui è riuscita a tenere a distanza le avversarie, e in questo modo ha evitato che diventassero decisivi gli aspetti mentali. Anche se un piccolo scricchiolio si è intravisto contro Martic, quando dopo aver condotto per 6-3, 4-1 (con doppio break) ha perso due volte il servizio, ritrovandosi sotto 4-5 prima di ricomporsi e chiudere sul 7-5.
Poi però in semifinale ha perso seccamente contro Kiki Bertens: un doppio 6-2 subito praticamente senza reagire, e con in sovrappiù un coaching avvenuto quasi in lacrime nel finale di secondo set, quando il padre (che è anche l’allenatore) era sceso in campo a parlare con lei. Ci sono tanti casi di sodalizi tecnici tra genitori e giocatrici, con risultati alterni. Senza andare troppo lontano: attualmente in Francia Mladenovic è seguita dalla madre, mentre Oceane Dodin dal padre. Però vedendo Caroline così scossa, mi sono chiesto se si sarebbe lasciata andare fino a quel punto durante un coaching con un semplice allenatore. Forse dialogare con un tecnico “estraneo” l’avrebbe spinta a mantenere un atteggiamento più controllato e, in ultima analisi, più utile di fronte alla difficile situazione.
Credo sia eccessivo trarre dalla partita di Madrid conclusioni definitive, però rimane la perplessità sul rendimento nei turni decisivi di Garcia. Se escludiamo i quindici giorni “magici” in cui vinse consecutivamente Wuhan e Pechino, nel 2017 e 2018 Caroline ha perso tutte le semifinali affrontate, con un solo set vinto. Il parziale è quindi 2 partite vinte (quelle in Cina) e 7 perse.
Contro Bertens che le offriva sistematicamente palle di peso e parabole differenti, Garcia molto spesso è finita fuori giri, perdendo senza dare l’impressione di provare a fare qualcosa di differente. Eppure sono sicuro che Caroline avrebbe le possibilità di variare molti aspetti di gioco, visto che sul piano tecnico è una delle giocatrici più complete della sua generazione.
Karolina Pliskova
Pliskova era reduce dalla vittoria di Stoccarda: cinque partite per un totale di 10 set a favore e solo uno perso, contro Ostapenko. A Madrid ha esordito contro Vesnina (6-4, 6-2) poi ha superato al fotofinish Azarenka (6-2 1-6 7-5), che sappiamo essere una numero 98 del ranking del tutto particolare. Poteva essere interpretato come un segnale di appannamento dopo la vittoria in Germania, invece nel turno successivo ha lasciato appena cinque game a Sloane Stephens (6-2, 6-3). Ma il picco lo ha raggiunto nei quarti di finale, dove ha sfoderato una prestazione impressionante contro la bi-campionessa in carica del torneo e numero 1 del mondo Simona Halep (6-4, 6-3).
Ampiamente sfavorita per i bookmaker (1,45 a 2,75), Karolina dopo aver perso i primi due game ha smentito tutti prendendo in mano il gioco e dominandolo sotto ogni aspetto: servizio, risposta, scambio. E così Simona, che pure non ha giocato male, ha potuto solo contenere le perdite, visto che nel primo set ha rischiato di subire un punteggio anche più duro. La partita è risultata ancora più sorprendente se confrontata con quella degli Australian Open 2018, vinta senza difficoltà da Halep per 6-3, 6-2 (allora significava sesta sconfitta di Pliskova su sette confronti).
Invece a Madrid Karolina ha giocato praticamente senza sbavature. Addirittura nel secondo set ho avuto l’impressione che lo stato di grazia fosse tale da spingerla a provare colpi sempre più difficili, che regolarmente le sono riusciti. E così abbiamo assistito non soltanto agli abituali ottimi servizi ma anche a risposte fulminanti, a scambi vinti sia con l’uno-due che con soluzioni più articolate. Ma forse quello che mi ha colpito di più è stata la qualità nelle fasi di contenimento: la capacità di allungare il palleggio nelle situazioni difficili, l’utilizzo molto efficace dei chop difensivi, al punto da rovesciare l’inerzia dello scambio e chiudere il quindici a proprio favore.
Questa straordinaria partita ha rilanciato due temi aperti nei confronti di Pliskova. Il primo: malgrado ancora le statistiche ci dicano che in carriera su terra ha una percentuale di vittorie inferiore rispetto alle altre superfici, non si può non sottolineare come negli ultimi tre tornei affrontati su terra il risultato sia: una semifinale al Roland Garros, una vittoria a Stoccarda e una semifinale a Madrid. Dato complessivo: 14 vittorie e solo 2 sconfitte (87,5%).
Secondo tema: dopo la delusione negli ultimi tre Slam (in particolare Wimbledon 2017, dove si era presentata da favorita per i bookmaker) “questa” Pliskova rilancia la propria candidatura come una seria concorrente anche per i Major. Su qualsiasi superficie. Sempre che riesca a non farsi sopraffare dalla troppa responsabilità.
a pagina 2: Kiki Bertens